Israele "luogo dello spirito" ? No, "Stato e Stato democratico" l'ambiguità delle parole di Fausto Bertinotti nell'analisi di Oscar Giannino
Testata: Libero Data: 12 aprile 2007 Pagina: 1 Autore: Oscar Giannino Titolo: «E Bertinotti fa pure lo spiritoso su Israele»
Da LIBERO del 12 aprile 2007
Fausto Bertinotti è un interlocutore di prima classe. Di fronte alla caduta del comunismo, non ha abbracciato né il sentiero dell'irrilevanza, al quale sono condannate le eresie del marxismo-leninismo "storico" e "scientifico" come il maoismo, il trotskismo e il bordighismo, né la confusa dissolvenza anarcoborghese che pulsa in gran parte del pensiero postfrancofortese, quello che si abbevera ai testi di Jacques Derrida, Michel Foucalt, e Gilles Deleuze, il magico trio che insegnava al Collegio internazionale di Filosofia dove trovava rifugio e palestra intellettuale anche Toni Negri. Per meglio dire, Bertinotti fa sue molte delle premesse e delle critiche asperrime dei quadrumviri che abbiamo citato, all'Occidente, al Mercato e all'Impero - la formula del famoso libero di Toni Negri e Michael Hardt di ormai 7 anni fa in cui già si trovavano compiutamente dispiegati tutti i semi della devastante critica della sinistra europea e dell'insorgenza islamista alla presidenza repubblicana americana. Ma la differenza è che Bertinotti ha imparato negli anni a guardarsi dalle fumisterie sociologiste, e di fronte alla crisi di radicamento e rappresentanza dei partiti della sinistra storica italiana si è comportato da leader politico, non da intellettualino o da sindacalista antagonista. Così, attraverso la rottura netta con ogni forma di violenza nella contestazione al cosiddetto «pensiero unico» neoliberista, e praticando una solida mediazione con la necessità di governare - senza di cui non ci sarebbe stato né il governo Prodi del '96 né quello attuale - ecco che oggi Bertinotti è il leader ideale per candidarsi a guidare un'area federativa a sinistra del nascente Partito Democratico che può spingersi addirittura sino al 15% dei voti, rispetto al magro 23% certificato ieri da Renato Mannheimer per la somma di margheritini e diessini, al momento più somma di stati maggiori alla ricerca di certezze più che moto ideale capace di parlare al cuore del cosiddetto "popolo ulivista". Il prossimo leader della sinistra radicale
Ecco le ragioni per le quali Bertinotti è oggettivamente uno degli interlocutori più lucidi della sinistra italiana attuale. E, dunque, per leggere il suo ultimo libro, La città degli uomini (Mondadori), antiagostiniano per eco letterario ma assai meno nello spirito che l'impronta, visto che in alcuni passaggi - vedi il capitolo sulla formazione e sui «maestri» definiti dall'attuale presidente della Camera «riformisti rivoluzionari», da Lelio Basso a Pietro Ingrao - sembra riecheggiare apposta la nostalgia che il grande di Ippona aveva per la sua gioventù scapestrata a Cartagine. Naturalmente, il libro va letto - dal nostro punto di vista - per affilare meglio le armi di una polemica intellettuale e politica che con Bertinotti ci vede agli antipodi, anche se con molto rispetto. Bertinotti pensa che la globalizzazione sia negativa perché essa, rispetto alla fine dell'800, ha portato da uno a cinque a uno a ottanta il divario tra i consumi più elevati e quelli più bassi nel mondo, e dimentica che il maggior divario coincide però con centinaia e centinaia di milioni di esseri umani usciti dalla pura soglia di sopravvivenza e avviati all'ascensore sociale del benessere, in Cina come in India. Afferma che la logica conseguenza della globalizzazione dispensatrice di disuguaglianza è la guerra animata dall'Impero americano sulla scena internazionale, e la precarietà e la disgregazione nei singoli Paesi, mentre noi pensiamo che il terrorismo islamista sia la guerra portata alle classi dirigenti moderate musulmane da chi sogna il califfato, e che la precarietà tanto deprecata nei Paesi occidentali coincida col loro picco di possibilità per ceti sino a pochi decenni fa totalmente marginali, a cominciare dal nostro Paese e da quegli anni '60 che Bertinotti tanto rimpiange. Bertinotti depreca un mondo trainato dal commercio mondiale e invoca meno esportazioni, mentre è il Wto il maggior ascensore sociale per miliardi di esseri umani. Affonda la democrazia borghese e mette al bando i neoliberismi affermatisi senza consenso, dimenticando che Reagan e Thatcher non li hanno certo imposti colpi di stato militari. Ma insomma, malgrado tutto l'abisso che serenamente ci divide avremmo comunque speso una parola sincera di ammirazione e difesa, di fronte al capitoletto centrale di questa ideale maxi relazione congressuale bertinottiana, laddove si afferma che «la me- diazione è parte costitutiva dell'etica della politica ed è aperta a ogni possibilità»: è proprio questa, la frasetta chiave attraverso cui Bertinotti rilancia il peso della componente antagonista nel governo futuro del Paese, e la candida a mordere profondamente nelle carni dell'esangue ala riformista, alle prossime elezioni in cui un Partito Democratico nato stanco avrebbe poco appeal. Lo scivolone sul Corriere
Senonché, la voglia di celebrare Bertinotti ieri ci è passata, quando abbiamo letto i resoconti della presentazione romana del libro, officiata da quel gran maestro di cerimonie storico-politiche che è Paolo Mieli. Perché il direttore del Corriere ha giustamente stuzzicato Bertinotti su uno dei suoi revisionismi che più ci entusiasmano, la difesa del diritto a esistere dello Stato di Israele. Ma a quel punto il presidente della Camera se n'è uscito con una frase che ci ha fatto sinceramente rabbrividire. «Rispetto per Israele, è un luogo dello spirito», ha titolato il Corriere. Perché il presidente della Camera, secondo i resoconti, ha proprio detto che per un ebreo romano o torinese parlare di Israele è come farlo di un vissuto diventato parte costitutiva di se stessi, un «luogo dello spirito», appunto. Eh no, maledizione, ci siamo detti. Proprio sul più bello della difesa di Israele che fa imbestialire tutti i filo Hamas e i filo Hezbollah che continuano a infittire la sinistra italiana, ecco che Bertinotti cade in uno dei più classici luoghi comuni dell'antisionismo e dell'antisemitismo. Sostenere che Israele va difeso come luogo dello spirito è un'astuzia marxista analoga a quella per il quale con il capitalismo tutto ciò che era solido si dissolveva nell'aria. Perché una volta che si difende Israele solo come luogo dello spirito, si dissolve nell'aria la radice e la storia stessa del sionismo, volto fin dall'Ottocento a costituire in una precisa e concreta identità statuale il focolare nazionale del popolo ebraico, oppresso e perseguitato nella Diaspora. E l'antisionismo ostile al fatto che Israele sia Stato e Stato democratico, dal 1967 in avanti è stato il copione obbligato dell'antisemitismo "di sinistra", da quando Tsahal commise agli occhi dei nemici di Israele l'errore di vincere la guerra dei Sei Giorni contro Egitto, Siria, Giordania e Iraq coalizzati contro di lei, e di continuare a tenere i Territori Occupati oltre i confini fissati dall'Onu nel 1947 fino a che i Paesi arabi non avessero sottoscritto accordi di pace veri, basati sul pieno riconoscimento di Israele entro confini sicuri, e sulla rinuncia a sostenere i terroristi che per decenni hanno insanguinato le vie di Gerusalemme e di ogni centro abitato, dal Negev all'Alta Galilea. Speriamo almeno che si sia sbagliato
Bertinotti sa benissimo, come e meglio di noi, che per far digerire alla sinistra antagonista e antisionista Israele, che dal 40 anni lo raffigura come odiato bastione dell'Impero Americano, occorre proprio difendere Israele come Stato e Stato democratico. Altroché luogo dello spirito. È proprio perché i nazisti ridussero milioni di ebrei a puro spirito, cremandoli nei forni e dissolvendoli nell'aria, che Israele nacque come Stato sovrano per volontà della comunità internazionale. Ed è per questo che, ancor oggi, la difesa delle prerogative sovrane e sicure di Israele costituisce un crinale invalicabile: tra chi pensa che libertà e democrazia non siano formule vuote di un'Occidente sconfitto e puro ostaggio della sopraffazione capitalista, e chi invece non ha mai letto la Storia dell'antisemitismo di Leon Poliakov che andrebbe invece assunto nelle scuole italiane come libro di testo, oppure pensa che Israele sia la nuova Germania nazista ed Hezbollah e Hamas i nuovi ebrei perseguitati. Siamo disposti a credere che Bertinotti non l'abbia fatto apposta. Chissà. Forse gli è solo scappato. Forse, è stato solo un antico riflesso condizionato. Ma se chiarirà il suo pensiero, siamo onestamente disposti a dargliene atto.
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