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La Stampa Rassegna Stampa
12.04.2007 Sionista di destra non vuol dire "fascista"
Angelo D'Orsi recensisce una biografia di Vladimir Jabotinsky, e cambia le carte in tavola

Testata: La Stampa
Data: 12 aprile 2007
Pagina: 39
Autore: Angelo D'Orsi
Titolo: «Jabotinsky l'ebreo cattiva»

Vladimir Jabotinsky non fu un fascista e non fu un fautore della violenza fine a se stessa.
Si incontrò con Mussolini in funzione antinglese,  ma sostenne la necessità di combattere in armi il nazismo.
Sostenne l'autodifesa ebraica non la vendetta.
Il ritratto che Angelo D'Orsi, estensore di un fazioso
appello antisraeliano durante la guerra del Libano fa del fondatore del sionismo di destra, recensendo il libro di Vincenzo Pinto "Imparare a sparare" è deformato e inattendibile.
Anche quando lo storico propone una diversa chiave interpretativa :
 "il suo lavoro può anche essere letto come una scelta europea, in qualche modo «cristiana», o se vogliamo antigiudaica, e in definitiva umanizzatrice della figura dell'ebreo, tratta dalle scatole nere del dettato biblico, immobilizzata da secoli di persecuzioni, di rinunce, di separatezza.".
Che cosa vi sia di "antigiudaico" nel nazionalismo ebraico di Jabotinsky, cosa di "cristiano", che cosa significhi "umanizzare la figura dell'ebreo" non ci è affatto chiaro.
Le espressioni di D'Orsi sono, quanto meno, profondamente ambigue. Su un tema delicato che esigerebbe chiarezza.

Ecco il testo: 


La «questione mediorientale» rappresenta da decenni il cuore scuro e sanguinante dell'attualità. Una questione che può anche, in modo un po' sbrigativo, essere letta come l'irrisolto e secondo molti irresolubile problema Israele/Palestina. Al di là del conflitto quotidiano con le sue tragiche quotidiane conferme, e le speranze sempre rinascenti e sempre spente, il problema è stato posto sotto i riflettori da alcuni casi recenti come quello, controverso, del libro di Ariel Toaff; il discorso del presidente Napolitano (che ha liquidato l'antisionismo come una forma di antisemitismo); le prese di posizioni esattamente contrarie di prestigiosi intellettuali di origine ebraica angloamericani; alcuni manifesti circolati durante la guerra del Libano della scorsa estate, all'insegna della ribellione al «ricatto dell'accusa di antisemitismo» a chi critica i governanti israeliani…
Ora un libro porta nuova legna al fuoco. Si tratta della biografia di un personaggio poco noto, ma importante nella vicenda che ha portato alla costituzione d'Israele (Vincenzo Pinto, Imparare a sparare. Vita di Vladimir Ze'ev Jabotinsky padre del sionismo di destra, Utet, pp. XXI-370, € 22,50). Jabotinsky, chi era costui? Una dozzina d'anni fa, Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, in una corrispondenza dal Museo dell'Irgun (il movimento più radicale del sionismo), a Tel Aviv, faceva riaffiorare la figura intrigante del «sionista venuto dalla Rivoluzione». Nato nel 1880 a Odessa, nell'Ucraina provincia dell'Impero zarista, Jabotinsky, conosciuto quale leader del sionismo di destra, violentemente antisocialista, secondo Galli - influenzato dall'interpretazione defeliciana - proprio come Mussolini, era in realtà figlio della tradizione sovversiva russa, che dai «narodniki» dell''800 avebbe condotto sino ai bolscevichi.
Anche il sionismo in Russia risentì di tale scia di violenza e di eversione, coinvolto in quell'inesausto desiderio di vendetta, nella tenace volontà di far pagare il sangue col sangue, che accomunò destra e sinistra. Israele, come Stato indipendente, sarebbe nato, dunque, anche da questa tradizione, che vide il terrore protagonista non secondario dell'azione di coloro che poi divennero i padri del nuovo Stato, in Palestina, anche quando furono divisi da profonde avversità (ad esempio Jobotinsky fu l'anti-Ben Gurion).
Giornalista, romanziere, letterato, ideologo, organizzatore, Vladimir Ze'ev morì a New York nel 1940, senza riuscire a vedere realizzato il suo sogno, la nascita di Israele: ora possiamo saperne molto di più, grazie a questa documentata biografia, per la verità non del tutto soddisfacente, anche per lo stile un po' sibillino e sentenzioso dell'autore. Il titolo rinvia all'opzione militare e violenta portata avanti dal sionismo «revisionista» incarnato da questo «apolide metafisico», per dirla con Cioran, non estraneo agli influssi nichilistici di un Nietzsche o a quelli estetici di un D'Annunzio. La Russia, ma anche l'Italia (dove si formò nell'università di Roma, seguendo pare fra gli altri i corsi di Antonio Labriola, il padre del più autentico marxismo nostrano), la Francia, l'Impero d'Austria, Francia, Svizzera, Gran Bretagna, e infine gli States videro l'attivismo infaticabile del letterato che si trasformava in organizzatore, dell'ideologo che faceva politica in senso stretto.
Il cosmopolita Jabotinsky fu contemporaneamente un nazionalista ebreo e un sionista estremista, collocato su sponde antisocialiste e illiberali, e si adoprò senza mezzi termini (uccisioni mirate, già allora!; rapimenti; attentati…), e con il cinismo di un politico consumato per imprimere una svolta militarista al sionismo; del resto già nella Grande Guerra, contro il neutralismo prevalente nel movimento, convinse gli inglesi alla creazione di una «Legione Ebraica», e addirittura cercò una sponda nel fascismo mussoliniano, in nome della comune rivolta contro il liberalismo e il socialismo. Ma il suo lavoro può anche essere letto come una scelta europea, in qualche modo «cristiana», o se vogliamo antigiudaica, e in definitiva umanizzatrice della figura dell'ebreo, tratta dalle scatole nere del dettato biblico, immobilizzata da secoli di persecuzioni, di rinunce, di separatezza. Non riuscì nell'intento, è il giudizio del biografo, condivisibile; gli ebrei sono ancora largamente «diversi», sospesi tra assimilazione e tradizione, a prescindere dal ruolo di Israele e dai giudizi, non univoci, sulla sua esistenza e la sua politica. Un nodo problematico su cui, guardando ai temi dell'oggi, dal dramma del Medio Oriente, alla complessa questione dell'«ebraicità», conviene riflettere.

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