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Il Manifesto Rassegna Stampa
10.04.2007 Gli Stati Uniti non smentiscono, il quotidiano comunista li condanna
per aver appoggiato il "terrorismo" contro i pasdaran

Testata: Il Manifesto
Data: 10 aprile 2007
Pagina: 2
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Dall'Afghanistan alle terre di mezzo, la guerra della Cia ai confini dell'Iran»
Una smentita americana ( o israeliana) non è una prova a discapito. Ma l'assenza di una smentita è una prova di colpevolezza.
Chi deliberatamente uccide donne e bambini nel democratico  Israele è un "resistente", ma chi colpisce i pasdaran iraniani, cioè i corpi scelti di un regime criminale, è senza dubbio un terrorista.
Questi criteri sono evidenti confrontando ciò che abitualmente si legge sul quotidiano comunista con  questo articolo sulle azioni del gruppo Jundallah, basato in Pakistan.
Dal MANIFESTO del 10 aprile 2007:


La Cia balbetta mentre dall'amministrazione Bush non è ancora arrivata una smentita secca del lungo servizio giornalistico, preparato da Brian Ross e Christopher Isham, che la Abc ha trasmesso la scorsa settimana sul sostegno che gli Stati uniti offrono a Jundallah (Soldati di Allah), una organizzazione estremista sunnita che, partendo dalla regione pakistana ricca di gas del Beluchistan, compie attentati sanguinosi in territorio iraniano (dove vivono un milione di baluchi). Un appoggio di cui, hanno riferito alla Abc fonti governative pakistane, hanno discusso il presidente pakistano Pervez Musharraf e il vice presidente Americano Dick Cheney durante il loro incontro a febbraio. «Di solito non commentiamo le conversazioni tra il vicepresidente e i leader stranieri», si è limitata ad affernare la portavoce Usa Megan McGinn. Il servizio della Abc ha confermato la linea americana che da un lato condanna il terrorismo e in nome della lotta contro di esso invade altri paesi, e dall'altro lo sostiene contro gli stati che considera nemici, come l'Iran. Jundallah, che formalmente lotta per l'indipendenza del Baluchistan e delle regioni iraniane abitate da baluchi, è una organizzazione formata da centinaia di militanti che nell'ideologia e nel modo di combattere assomiglia molto ai talebani. E il suo capo e fondatore (nel 2003), Abdel Makel Rigi, è proprio un ex talebano con un passato di narcotrafficante che si vanta di aver personalmente decapitato lo scorso anno alcuni degli otto militari iraniani fatti prigionieri dai suoi uomini. Due mesi fa una autobomba lanciata contro un autobus di pasdaran (guardie della rivoluzione) a Zahedan, capoluogo della provincia di Sistan-Baluchistan (una regione dove negli ultimi 25 anni quasi 4mila persone sono morte nella guerra condotta dall'Iran contro i narcotrafficanti), che ha ucciso 11 militari e ferito altri 31, è stata rivendicata da Jundallah: i pasdaran si accingevano a dare il cambio ai loro commilitoni quando sono stati raggiunti da intense raffiche di mitra e non hanno neppure avuto il tempo di reagire. Il gruppo islamico sostiene inoltre di avere nelle sue mani altri soldati e ufficiali dell'esercito iraniano e minaccia di ucciderli. Dopo la strage di Zahedan il Centro studi strategici statunitense Stratfor aveva indicato che dietro quell'attentato e altre attività armate contro Teheran potrebbe esserci la mano di Washington, interessata a gettare benzina sul fuoco della rivolta etnica e religiosa in modo mettere sotto pressione il regime iraniano. Non sarebbe perciò un caso che l'anno scorso, soprattutto nelle zone orientali dell'Iran, si sia verificata un'ondata di rivolte e manifestazioni seguita da attentati contro soldati e rappresentanti governativi compiuti non solo dai baluchi ma anche dai curdi nell'ovest, gli azeri nel nord-ovest, gli ahwazi (arabi) nel sud-ovest (circa il 40% degli abitanti dell'Iran non sono persiani: 16 milioni sono azeri, 7 milioni curdi, 5 milioni ahwazi e un milione baluchi). I finanziamenti per i separatisti baluchi e di altre etnie verrebbero dal bilancio riservato della Cia e Fred Burton, un ex agente del dipartimento di stato, ha dichiarato che «gli ultimi attacchi verificatisi in Iran hanno visto il coinvolgimento statunitense nell'approvvigionamento e la formazione delle minoranze etniche iraniane per destabilizzare il regime». Naturalmente Teheran abbraccia in pieno questa tesi e denuncia che le armi usate nell'attentato di febbraio erano di costruzione britannica e Usa. Il capo del think tank neocon «Sicurezza globale» di Washington, John Pike, da parte sua ha commentato: «Le attività dei gruppi etnici si sono surriscaldate negli ultimi due anni e sarebbe uno scandalo se non fossero almeno in parte il risultato dell'attività della Cia». A Washington starebbero ora valutando anche la possibilita' usare contro Teheran il braccio armato del Mujahedeen-e Khalq (Mek), un gruppo di opposizione iraniano che, peraltro, è nell'elenco delle «organizzazioni terroriste» del dipartimento di stato. Secondo Pike qualcuno suggerisce di usarli perché, anche se non appaiono in grado di rovesciare il regime iraniano, possono ugualmente provocare molto danno, in modo particolare se la loro azione sarà in anticipo o parallela a un eventuale attacco Usa o di Israele alle centrali atomiche iraniane. Proseguono infatti i preparativi americani dell'attacco all'Iran. Una seconda portaerei ha raggiunto le forze navali statunitensi nelle le acque a sud dell'Iran mentre sei caccia bombardieri pesanti sono stati trasferiti dalla base di Diego Garcia nel Pacifico alla base di Al Udeid nel Qatar. D'altronde Dick Cheney nelle settimane passate aveva sottolineato come l'intervento militare costituisca una «alternativa realistica» alle sanzioni economiche e all'isolamento politico dell' Iran.

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