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La Stampa Rassegna Stampa
10.04.2007 Mario Lozano racconta la sua versione
sulla morte di Nicola Calipari

Testata: La Stampa
Data: 10 aprile 2007
Pagina: 7
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La vita spezzata del soldato Lozano»
Da  La STAMPA del 10 aprile 2007:

Rispettai le regole d’ingaggio, fu l’automobile guidata da Nicola Calipari a non rispettare gli ordini, evitando di fermarsi al posto di blocco». Il soldato americano Mario Lozano racconta la sua verità su quanto accadde a Baghdad il 4 marzo 2005 ad appena una settimana di distanza dall’apertura a Roma del processo che lo vede accusato di «omicidio politico» per l’uccisione dello 007 italiano Nicola Calipari.
Finora Lozano aveva scelto di chiudersi nel più assoluto silenzio ma, avuto il via libera delle autorità militari, decide di affidare la propria versione dei fatti alle pagine del tabloid «New York Post» che titola l’intervista «Dovevo eliminarlo», dedicandogli la prima pagina. Lozano afferma di ricordare bene il momento nel quale si trovava al comando della mitragliatrice posizionata sulla torretta di una humvee blindata al posto di blocco sull’autostrada verso l’aeroporto. Vide arrivare l’auto con Calipari a bordo a grande velocità, superò «la linea di allarme e quella di pericolo» ed arrivò alla «kill line», la linea oltre la quale si spara per uccidere al fine di proteggersi da attentati.
Il timore di Lozano era che si trattasse di un’auto kamikaze come quelle sovente adoperate dai terroristi iracheni per fare strage. «Chi esita in simili situazioni torna a casa dentro una scatola e io non volevo farlo, due giorni dopo in circostanze analoghe due soldati furono uccisi per non aver fatto fuoco in tempo». Di fronte alla vettura di Calipari, e con a bordo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena appena liberata dai sequestratori, Lozano assicura di aver seguito tutte le procedute previste in simili casi: prima ha acceso un raggio luminoso «da 300 milioni di watt che fa attivare i freni a qualsiasi iracheno» e poi ha sparato dei colpi verso terra prima di fare fuoco sul motore al fine di bloccare la corsa della vettura. «Non potevo esitare, qualsiasi soldato in quella situazione avrebbe fatto lo stesso».
La ricostruzione del militare è stata considerata valida dalle autorità americane che lo hanno assolto da ogni responsabilità, ma ciò non toglie che il 17 aprile sarà processato in Italia. Del procedimento che si apre Lozano non dice nulla al «New York Post» mentre coglie l’occasione per rivolgersi alla Sgrena, reduce da un tour a New York dove ha presentato il proprio libro «Fuoco Amico: la rimarchevole storia di una giornalista sequestrata in Iraq, salvata da un agente segreto italiano e colpita dalle forze americane». La versione dei fatti della Sgrena non convince troppo Lozano: «Sono sicuro che la sua versione non è come la mia, lei sta facendo dei soldi ed è diventata famosa mentre io mi trovo a convivere con il fatto che una persona è stata uccisa perché non rispettò gli ordini e io mi trovai ad essere quello che tirò il grilletto». Come dire: sto pagando io per l’errore che fu commesso da Calipari. Lozano tiene a mettere distanza fra la Sgrena che racconta di agguati e vende libri e se medesimo, che ha pagato prezzi pesanti, a cominciare dal divorzio, dalla rinuncia a diventare poliziotto come il fratello Emiliano e dalla dipendenza dai farmaci necessari per fare fronte al ricordo di quanto avvenne. E’ la stessa Sgrena a rispondere sempre sul «New York Post», spiegando che «non sto facendo soldi» ma «mi limito a raccontare che cosa mi è accaduto».
E rivolgendosi a Lozano la giornalista gli manda a dire: «Se vuole esprimere i suoi sentimenti l’unica maniera per farlo è prendere parte al processo di Roma, non voglio che Mario Lozano diventi un capro espiatorio ma deve venire e spiegare la sua posizione» all’assise che sta per aprirsi. Riguardo all’ipotesi che la sparatoria sia stata frutto di un agguato premeditato, la Sgrena si mostra assai prudente con il tabloid pur non escludendo nulla: «Non possono affermare di essere stata presa di mira, non lo so, è grazie al processo che potremo rispondere a queste domande, ma non si è trattato di un incidente, non so se volevano uccidere, non uccidere oppure dare un avvertimento». La Sgrena preme dunque affinché Lozano voli a Roma per raccontare la sua versione dei fatti ma il soldato del 69° reggimento di fanteria di New York non sembra essere intenzionato a farlo e sarà rappresentato in aula da un avvocato italiano, a cui è stato assegnato il compito di ribadire la versione della vicenda frutto delle indagini del Pentagono.

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