domenica 22 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
10.04.2007 Avviata a soluzione la questione del Cenacolo
intervista al francescano David-Maria Jaeger

Testata: La Stampa
Data: 10 aprile 2007
Pagina: 22
Autore: Giacomo Galeazzi
Titolo: «“Presto la firma” Risolta la lite sul cenacolo»

Dalla STAMPA del 10 aprile 2007:

Si sta lavorando per fissare una nuova data: è possibile trovare un accordo sulle questioni in discussione per arrivare alla firma dell’accordo globale». La commissione plenaria tra Israele e Santa Sede, disdetta all’ultimo momento dal governo di Gerusalemme, è «rinviata, non cancellata, anzi da entrambe le parti si è chiarita la volontà di riprogrammare l’incontro al più presto possibile». Prova a mediare tra Roma e Gerusalemme il francescano David-Maria Jaeger, ebreo di nascita, cittadino israeliano, massimo esperto di rapporti Chiesa-Stato in Israele, protagonista dei negoziati che hanno prodotto, nel ‘93, l’Accordo fondamentale. Una sorta di concordato a tutela della Chiesa cattolica in Israele».
Tasse, visti d’ingresso per il clero, diritti di proprietà, status giuridico della Chiesa, restituzione di beni sacri, in particolare il Cenacolo. Sono tanti i punti su cui la Chiesa e Israele dovrebbero raggiungere un accordo. Si aspettava questa improvvisa crisi diplomatica?
«Da sessant’anni mancano regole certe per la Chiesa in Israele. È proprio per rimediare a questa lacuna che nell’accordo del ‘93, che ha portato alle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Israele, c’è l’impegno a negoziare le questioni pendenti. Solo così il rapporto tra la Chiesa e Stato ebraico potrà essere consolidato eliminando le cause di tensioni, la mancanza di regole».
E’ancora possibile?
«Sono un cristiano, un francescano, ottimista per vocazione e carattere. Ritengo che non ci si debba mai arrendere al pessimismo, al disfattismo. Sono ottimista perché non vedo alcun motivo per cui l’impresa, lanciata nel 1992, anno d’inizio dei negoziati, non debba riuscire. La Chiesa in Israele non pretende nulla che vada oltre i diritti acquisiti nei secoli e consolidati al momento della nascita dello Stato; non rivendica nulla che non sia già presente in diverse forme nei principi fondamentali dell’ordinamento, o negli impegni che lo Stato, liberamente e più volte, si sia assunto nei decenni, nelle sedi internazionali o negli scambi con rappresentanti ecclesiali. C’è da ordinare, consolidare e poi applicare certi principi dello Stato di diritto».
Per esempio?
«Una legge antica riservava alla decisione discrezionale dell’esecutivo la giurisdizione sulle dispute relative ai beni a carattere religioso. E’ chiaro a tutti che le cose non possono rimanere così e che la tutela dei diritti di proprietà della Chiesa, come di quelli di qualsivoglia proprietario, deve spettare ai tribunali giudiziari e non ai politici. Il Cenacolo? Un esempio di come le richieste cattoliche corrispondano semplicemente all’applicazione coerente dello Stato di diritto che Israele ha sempre voluto essere. Non un privilegio, ma uguaglianza con qualsiasi proprietario di qualsiasi proprietà».
A tre lustri dall’accordo tra Vaticano e Israele, lo stato ebraico non l’ha trasformato in legge, e perciò i tribunali israeliani dichiarano di non conoscerlo. Perché?
«E’ una cosa che non fa certo piacere a me che ho partecipato alle trattavive, ma non è detto che non lo si farà primo o poi. La Chiesa è stata sempre molto chiara nell’esprimere la giusta attesa che questo, e gli altri accordi, siano debitamente iscritti nelle leggi dello Stato. Spero che col tempo lo Stato capirà che ciò è pure nel suo interesse. In altre parole, l’avere un rapporto basato su regole concordate e condivise è d’interesse di tutte e due le parti, perché solo così si potrà assicurare quello che tutte e due hanno sempre desiderato: un rapporto pacifico, amichevole, vicendevolmente riguardoso, che permetta stabilmente alla Chiesa di rendere il suo singolare servizio al bene comune».
Parla quasi come un vescovo della Cei...
«Personalmente credo che l’Italia avrebbe molto da insegnare in Terra Santa. Anche come possibile esempio per quello, che in futuro i cittadini cattolici ed ebrei, insieme, potranno realizzare in Israele: un Paese profondamente legato alla religione della maggioranza ma nello stesso tempo consapevole di doversi attenere alla sana laicità propria dello Stato. Il problema è come realizzar concretamente tutto questo, senza venir meno né alla fedeltà alle radici cristiane, al patrimonio cristiano, ma neppure alla sana laicità dello Stato. Questa questione, che spesso si si sono posti gli italiani, occupa anche gli israeliani in rapporto all’ebraismo».
In che modo?
«Un buon riferimento è l’intesa in Italia tra il governo e la comunità ebraica: può servire da fonte di ispirazione ed emulazione nelle trattative in favore della comunità cattolica in Israele. Si può aprire una stagione di genuina vicinanza tra cattolici ed ebrei, maggioranza e minoranza, secondo i casi, in Italia e in Israele. Potrebbero in entrambi i Paesi godere di libertà, sicurezza e reciproca stima. Anzi, come dice il preambolo dell’Accordo fondamentale, amicizia».

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Stampa


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT