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Il Foglio Rassegna Stampa
05.04.2007 Più figli a Manhattan dopo l'11 settembre, e in Galilea dopo la guerra contro Hezbollah
baby boom in risposta al terrorismo

Testata: Il Foglio
Data: 05 aprile 2007
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Baby boom 1 - Baby boom 2»
Dal FOGLIO del 5 aprile 2007, un articolo su New York dopo l'11 settembre:

Roma. Manhattan ha risposto agli attacchi dell’undici settembre sfornando bambini. Un baby boom del XXI secolo in reazione alla cultura mortifera del jihad, con i parchi che si riempiono di marmocchi e passeggini. Secondo i dati dell’ultimo censimento, i bimbi sotto i cinque anni sono cresciuti, dal 2001, del 32 per cento. E stando a un’analisi condotta dal New York Times la crescita non è dettata – come era già stato in passato – dall’immigrazione, ma dalle “famiglie benestanti bianche”: i loro figli sono aumentati del 40 per cento, più che in qualsiasi altra città degli Stati Uniti. Manhattan ha così raggiunto la stessa proporzione di adulti-bambini che esiste nelle altre parti di New York, come Queens e Staten Island: le coppie sposate di Manhattan hanno ora la stessa probabilità di allargare la loro famiglia che c’è nelle altre aree metropolitane. Il trend riguarda tutta l’America, che conosce fasti demografici ignoti alla stanca Europa delle culle vuote, come ha dimostrato la kermesse, nell’ottobre dello scorso anno, per l’arrivo del trecentomilionesimo americano. Ma è la prima volta dagli anni Sessanta che a Manhattan nascono più bianchi che neri e ispanici: i 35 mila bambini bianchi sono figli di genitori il cui reddito medio è stato nel 2005 attorno ai 284.208 dollari all’anno: contro i 66.213 dollari dei genitori asiatici, i 31.171 dei neri e i 24.467 degli ispanici. E questo, per quella fascia di reddito, è record a livello di tutti gli Stati Uniti. Perché tanti figli nella città ferita dal terrorismo? C’è una punta di patriottismo, ma le motivazioni di alcuni genitori spiegano che c’è naturalmente molto altro. Per esempio una madre ha detto di gradire l’occasione che la figlia ha di vivere in un ambiente multietnico: “Se abitassimo in periferia”, là dove i quartieri tendono a essere rigorosamente omogenei per razza e classe, “mia figlia non saprebbe niente del modo di vivere dei Trinidadiani o delle celebrazioni religiose islamiche. Invece così le accetta come qualcosa di naturale”. Un’altra coppia dice di considerare la metropoli “una sfida e una vera preparazione alla vita”. Alcuni analisti hanno invece sottolineato il fenomeno dell’“espulsione” dal centro della città delle fasce di popolazione più basse, il che sembrerebbe in contraddizione proprio con questa ricerca del “colore” multietnico. Ma, appunto, i dati spiegano una realtà precisa: non ci sono più bambini bianchi su quelli che ne sono rimasti, ci sono più bambini sotto tutti i punti di vista. E ciò è molto diverso da quello che accade nei centri europei, dove l’aumento del costo di case e affitti fa aumentare la quantità di ricchi residenti in un quadro complessivo di spopolamento e invecchiamento.

E uno sulla Galilea dopo la guerra con Hezbollah:

Gerusalemme. Gli effetti della guerra estiva tra Hezbollah e Tsahal, in Israele, pesano negativamente sull’establishment politico e militare, bersagliato dalle critiche sulla gestione del conflitto. Ma la conseguenza più concreta, finora, è di segno positivo: è un mini baby boom in atto nel nord del paese. Secondo i medici, il numero di donne al quinto, sesto e settimo mese di gravidanza è cresciuto del 35 per cento rispetto all’anno prima. Le statistiche sono state riportate dall’emittente israeliana Channel 10. Durante i 34 giorni di conflitto il nord d’Israele è stato colpito da una pioggia – almeno cinquemila – di razzi katiusha, lanciati dalle milizie di Hezbollah dall’interno del Libano. La vita si è fermata nella maggior parte delle città, dei villaggi, dei kibbutzim e moshavim della parte settentrionale d’Israele. La popolazione ha cominciato a passare sempre maggior tempo richiusa nelle proprie abitazioni, oppure nei bunker e nei rifugi antimissile. Uffici e negozi sono rimasti a lungo chiusi. Dopo i primi giorni di conflitto, molti abitanti hanno lasciato le proprie case per trovare riparo al sud, da parenti o amici. Il governo e ricchi cittadini israeliani hanno organizzato ricoveri sulle spiagge vicino a Tel Aviv e centri d’accoglienza. Gli abitanti delle città del centro e del sud hanno aperto le proprie case agli sfollati del nord, il cui numero a fine conflitto oscillava tra i 300 mila e il mezzo milione. Gila Bronner, direttore del servizio di Sanità sessuale dello Sheba Medical Center di Tel Aviv, alle telecamere di Channel 10 ha spiegato così il nuovo baby boom: “Abbiamo voluto dire al mondo: ‘Volevate ucciderci, non ci siete riusciti. Vedete, siamo vivi”. Nei mesi successivi a una guerra c’è spesso un aumento delle nascite, come se la società minacciata si attaccasse alla speranza di un futuro, assicurano gli esperti: negli Stati Uniti, nell’ottobre 1946, pochi mesi dopo il termine della Seconda guerra mondiale, nacquero 339.499 bambini; alla fine del decennio le nascite raggiunsero i 32 milioni, contro i 24 degli anni Trenta. In Israele, nel 1967, dopo la Guerra dei sei giorni, vi fu un baby boom di quattro anni; al termine del conflitto dello Yom Kippur, nel 1973, le nascite aumentarono per un periodo di due anni. Per medici e psicologi israeliani il fenomeno dell’aumento delle nascite nel nord è una sorta di vendetta sul nemico che minaccia la distruzione del paese. “Creare nuova vita è fonte di consolazione e speranza”, ha scritto il quotidiano israeliano Haaretz. I primi figli di coppie evacuate durante il conflitto estivo sono nati proprio in un ospedale sfollato durante i bombardamenti: a Safed.

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