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La Repubblica Rassegna Stampa
04.04.2007 Per Vali Nasr la crisi non la provoca l'Iran, ma l'America
un'analisi che ribalta la realtà

Testata: La Repubblica
Data: 04 aprile 2007
Pagina: 17
Autore: Vali Nasr
Titolo: «La linea dura della Casa Bianca aumenta i rischi dell´escalation»

Dalla REPUBBLICA del 4 aprile 2007, un articolo di Vali Nasr sulla crisi tra comunità internazionale e Iran.
La linea dura dell'America , sostiene, Nasr, rischia di far precipitare la situazione.
La stessa elezione di Ahmadinejad sarebbe un risultato del no americano all'offerta di collaborazione giunta dal regime dopo la liberazione dell' Iraq.
Nasr dimentica  che il programma nucleare, il sostegno al terrorismo (Hezbollah , Hamas, "insorgenti" iracheni, la stessa Al Qaeda), l'ideologia antioccidentale, la volontà di esportare nel mondo la rivoluzione islamica e di distruggere Israele, l'antisemitismo e le violazioni dei diritti umani non sono novità introdotte da Ahmadinejad.
Gli Usa avevano ottimi motivi per non fidarsi di uno Stato che era Stato-canaglia da molto prima delle ultime elezioni.
Inoltre, l'elezione di Ahmadinejad è dipesa soprattutto dall'astensione di massa di un elettorato che non poteva nemmeno  votare candidati riformisti, bloccati dal potere teocratico che controlla la politica iraniana.
Di fronte all'evidenza della sfida sempre più arrogante del regime iraniano, che viene alimentata da ogni cedimento, poi, sostenere come fa Nasr che la crisi può precipitare per colpa dell'intransigenza occidentale appare un vero controsenso.

Ecco il testo:
 

Il litigio fra Washington e Teheran, con l´inasprirsi della polemica dall´una e dall´altra parte, riporta sulla scena i fantasmi dell´Europa del 1914. La crisi innescata dall´arresto dei marinai britannici è l´ultima in una concatenazione di eventi: la pressione degli Usa sull´Iran, seguita da nuove sanzioni Onu, ha condotto a sua volta all´arresto dei 15 britannici, col risultato che l´Iran e le forze della coalizione in Iraq si sono trovate più vicine a un conflitto aperto, si è minacciata la stabilità nel Golfo Persico e radicalizzata la politica interna iraniana.
Il rapporto fra i due Paesi è finito in un´impasse rischiosa. Infatti se da un lato le iniziative americane - le sanzioni, l´invio di portaerei nel Golfo, le accuse del Pentagono sulla fornitura di armi iraniane ai combattenti iracheni - potrebbero rispecchiare la volontà della Casa Bianca di indurre Teheran a più miti consigli, dall´altro lato produce l´effetto di irrigidire l´Iran. In questo contesto, come nel 1914 in Europa, anche un incidente può provocare una escalation dalle conseguenze impreviste, e innescare una guerra vera.
La strategia formulata dal presidente Bush, con la scelta di privilegiare la via dello scontro su quella dell´apertura, comporta un rischio elevato. Il margine d´ambiguità nella politica americana, che a prima vista si direbbe una manovra tattica per condurre l´Iran al tavolo negoziale, è strutturata in modo da imporre un diktat prima d´avviare un dialogo, senza indicare un percorso chiaro al negoziato che l´Iran affronterebbe, non solo non modificherà il comportamento iraniano ma costringe Washington a una ulteriore escalation.
Sullo sfondo vi sono la diffidenza fra i due Paesi in assenza di dialogo da 27 anni, e dunque l´inconsapevolezza di quali siano le linee rosse invalicabili per l´uno e l´altro; vi sono il disaccordo su una questione tanto cruciale quanto quella nucleare; la presenza di ambedue su un campo caotico come l´Iraq. Per tutto questo, un incidente può avere esiti gravissimi per il Medio Oriente già scosso dall´Iraq, e dove l´Afghanistan va sfuggendo di mano.
Per capire però come si sia finiti nell´impasse, bisogna risalire all´inizio della guerra in Iraq, all´ascesa dell´Iran a potenza regionale. Dopo la collaborazione con Teheran sull´Afghanistan nel 2001, Washington aveva accantonato il dossier nucleare iraniano. Aveva respinto le aperture del regime - le profferte di pace nel 2003, la proposta di un dialogo sull´Iraq formulata da Teheran nel 2004 e di nuovo nel 2005 - nella speranza che elezioni iraniane quell´anno avrebbero suscitato una "rivoluzione di velluto" e risolto il dissidio nucleare. Invece dalle urne è scaturito Ahmadinejad che è il risultato della chiusura americana verso i riformisti, della persuasione iraniana che per farsi ascoltare dagli Usa serva una linea più ferma.
Teheran nel frattempo s´è rafforzata: la sua influenza in Iraq è aumentata con l´avvento del governo sciita. La guerra ha distrutto l´esercito iracheno, l´unica forza militare che conteneva l´Iran nel Golfo Persico. E con gli Usa impantanati in Iraq, s´è ridotta la percezione di una minaccia militare americana. La nuova potenza dell´Iran s´è affacciata agli occhi degli Usa con la guerra d´estate in Libano nel 2006. Secondo la Casa Bianca la mano iraniana ora s´allunga fino a Beirut, rischia di pesare nella questione palestinese.
Così s´è fatta strada a Washington l´idea che Teheran sia la causa, non già la beneficiaria dei guai americani. La Casa Bianca è persuasa che le pressioni funzionino. In realtà Ahmadinejad è indebolito per gli scarsi risultati del suo governo. Lo scontro con gli Usa lo avvantaggia: rinfocola il fervore nazionalista come quando Saddam attaccò il Paese nel 1980. Ecco il pericolo: nella convinzione che la linea dello scontro funzioni, può darsi che l´America prema fino a superare quel limite oltre il quale l´Iran si vedrà costretto a reagire.
Infine, si ripropone il quesito fondamentale. Come trattare con una potenza in ascesa: affrontarla e contenerla, oppure avviare un dialogo e influenzarne il comportamento. L´Iran non risponderà a un diktat, anche per ragioni di politica interna. Servono un dialogo e uno spazio di manovra che permetta a entrambi, Usa e Iran, di salvare la faccia, di uscire dall´angolo in cui si sono infilati. Salvo un repentino ripensamento a Teheran, l´orizzonte è destinato a incupirsi. Non s´intravedono spiragli che permettano all´Iran di presentarsi al negoziato senza che ciò somigli a una resa. Il regime non si sente indebolito né in difficoltà al punto da scegliere l´opzione della Libia.

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