Ci piacerebbe sapere perchè nel 2007 il cosidetto piano di pace saudita piace così tanto a tutti, quando nel 2002 era stato rispedito al mittente, in primis dal governo israeliano. Il contenuto non è cambiato. In cambio del riconoscimento di Israele, e stabilire normali relazioni, le condizioni sono sempre le stesse: ritiro ai confini del 1967,creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme est, ed una soluzione “giusta” per i profughi a cominciare da quelli del 1948. E’ vero che non ne viene più richiesto il “ritorno”, ma la soluzione giusta è una formula troppo vaga, e la capitale a Geruslemme est è una condizione che il governo israeliano non può, espressa in questi termini,accettare. Che il futuro Stato palestinese debba avere una sua capitale è più che ovvio, ma che esiga la localizzazione ancora prima di iniziare le trattative, ci sembra eccessivo. Eppure il piano saudita piace, al punto da aver messo in ombra il progetto di pace del quartetto, che pure alcune condizioni preliminari le aveva pur poste, tutte naturamente disattese da parte palestinese. L’unico punto fermo, dopo le elezioni vinte da Hamas, era stato il congelamento dei finanziamenti internazionali all’Autorità palestinese, in base al semplice ragionamento che non si può riempire di soldi un movimento terrorista come Hamas, anche se al governo. E’ lecito quindi sospettare che tutta questa manfrina, guidata dalla Lega araba di Amr Mussa, che in quanto a odio verso Israele è secondo a pochi, non abbia altra finalità se non la riapertura dei rubinetti finanziari ? Mentre il balletto delle dichiarazioni ricolme di complimenti ha preso avvio, Hamas continua a lanciare da Gaza missili su Israele, minacciando l’arrivo di una terza Intifada, se non viene posto termine all’isolamento del governo palestinese (da leggersi se non tornano i dollari). Certo, alcuni elementi positivi si sono, l’Arabia saudita, che teme fortemente la politica iraniana e una possibile destabilizzazione dell’area se l’Iraq cadesse sotto l’influenza del pazzo di Teheran, è passata da una politica passiva ad una attiva, ma ci chiediamo se la buona intenzione di riunire gli stati musulmani moderati, con l’obiettivo di arrivare ad un qualche trattato di pace con Israele, sia stato ben riposto in una offerta che già cinque anni fa era stata respinta. E’ anche vero che in cinque anni ne sono avvenuti di cambiamenti. L’Iran è una minaccia reale, e non solo per Israele, il Libano, dove la presenza ingombrante di Hezbollah ne mette in forse l’indipendenza, e la Siria, sempre agli ordini del più forte di turno. E Israele ? Curiosamente, tra i quasi plaudenti all’offerte saudita, c’e anche Ehud Olmert, che non ha lesinato in quanto a buone parole. Apprezza gli sforzi sauditi per arrivare ad un accordo, si dichiara pronto a partecipare anche subito ad un incontro insieme ad Abu Mazen con gli stati arabi moderati, e riafferma che Israele non ha nessuna intenzione di attaccare i suoi vicini, al contrario. Ma questo solo i ciechi e i sordi non lo sapevano. Arriviamo persino a riporre una qualche speranza che ci sia della buona fede nei documenti che verranno esaminati e discussi, per cui non saremo certo noi a criticare la politica aperturista di Israele nei confronti del summit della Lega araba. L’importante è non dimenticare, per non doversene dolere dopo, la lezione ricevuta la scorsa estate con la guerra scatenata da Nasrallah e i suoi Hezbollah. I quali, insieme ai cugini Hamas a Gaza, stanno rimettendo in piedi i loro arsenali, in vista di quale obiettivo è facile immaginare. Già da Siria e Iran giungono voci di un possibile attacco israeliano in tandem con gli Stati Uniti. Questi ultimi mirerebbero all’Iran, mentre Israele punterebbe sulla Siria. Solo voci, naturalmente, ma sappiamo bene quanto l’opinione pubblica europea sia permeabile alle sirene fondamentaliste. Avere un buon motivo per parlar male di Israele è sempre una buona occasione.
Non dimeticare la lezione della scorsa estate, dicevamo. Poi si ascoltino pure tutte le proposte.