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Orecchini in cantina Rachel Bernheim-Friedman Proedi Euro 15,00 Ci sono capolavori letterari che non entrano nelle classifiche dei libri più venduti e proprio per questo sono perle rare, ancor più preziose. Orecchini in cantina ha il fascino e l’impatto emotivo delle storie vere, dei racconti di vita vissuta. L’autrice Rachel Bernheim-Friedman, che oggi vive insieme al marito Zeev nel kibbutz Yakum, ricostruisce la sua vita con un tocco davvero magistrale. Il racconto fluisce come se gli eventi fossero appena accaduti; senza retorica e senza enfatizzare i propri sentimenti, la Friedman ci regala scorci indimenticabili della sua infanzia e adolescenza a Mukacevo, la città alla frontiera orientale della Repubblica Cecoslovacca, dove ha vissuto con la sua famiglia. "D’estate maturava abbondante la frutta; nei giardini i cespugli e i gelsi traboccavano di more. Da piccola ero felice di compiere gli anni in giugno: le ciliegie riempivano le bancarelle con una moltitudine di colori". Per molti anni la vita di Rachel scorre serena in un ambiente familiare dove la solidarietà e l’amore reciproco che unisce genitori e figli consente di superare con dignità anche le più dure ristrettezze economiche e di affrontare con coraggio la malattia e poi la morte del padre. Sono pagine lievi e delicate quelle che ritraggono Rachel adolescente al Ginnasio Ebraico Riformista di Mukacevo ("un punto isolato nel cuore della Repubblica ceca, l’unico ginnasio ebraico in tutto il paese") e il suo impegno di attivista nel movimento Hashomer Hazair. Ed è con una straordinaria capacità narrativa che l’autrice ci fa intuire la sua salda appartenenza al popolo ebraico e la sua fierezza di essere ebrea. " Non eravamo praticanti, anzi, ma amavamo molto le usanze e le tradizioni e continuavamo a metterle in pratica. Ogni venerdì la mamma accendeva le candele…..preparavamo una cabalat shabbat a modo nostro. Dopo cena, cantavamo le canzoni tradizionali del Sabato, accompagnandole con il mandolino, la chitarra…." Ma la tragedia è in agguato e la vita di Rachel in poco tempo cambia drammaticamente corso. ("Il 20 marzo del 1944 la nostra zona fu raggiunta dalle prime truppe di Adolf Hitler") : dopo l’obbligo per tutti gli ebrei di portare la stella gialla, l’escalation di violenze e di incredibili crudeltà da parte dei tedeschi getta Rachel e la sua famiglia nella più cupa disperazione ("Ci sentivamo sole: nessuno sapeva che cosa ci avrebbe portato l’indomani"). La dura vita nel ghetto, nel quale furono confinati tutti gli ebrei della città, riserva un momento molto significativo quando la mamma conduce Rachel e le sue sorelle in cantina, si toglie gli orecchini "che avevano uno smeraldo luminosissimo" e li nasconde dentro una buca scavata con un cucchiaio ("Che ci sia qualcosa con cui cominciare, figliole mie carissime, quando tornerete") Proprio in memoria di quell’episodio Rachel ha deciso di intitolare così il suo libro. Da questo momento l’orrore per quanto sta accadendo si mescola alla paura per un futuro di cui ancora si ignorano le atrocità. Con una scrittura scorrevole, priva di orpelli, Rachel Friedman ci rende partecipi del pervasivo incessante terrore e della paura senza confini che ha rappresentato il suo arrivo ad Auschwitz "l’inferno su questa terra". La crudeltà umana, nella sua dimensione assoluta degli aguzzini, si scontra con piccoli gesti di umanità di chi divide il proprio misero tozzo di pane con la compagna malata. La sofferenza, le umiliazioni, la fame e la perdita delle sorelle non piegano la determinazione di Rachel che insieme a due compagne decide di fuggire nel momento in cui si rende conto che la disfatta della Germania è ormai vicina. Nel villaggio tedesco dove si rifugeranno fingendosi profughe ungheresi, troveranno una accoglienza caritatevole ma dovranno poi difendersi da russi violenti e ubriachi e solo dopo innumerevoli difficoltà e vicissitudini Rachel riuscirà a tornare in patria. Grazie al movimento Hashomer Hazair insieme alla sorella Haia potrà realizzare il sogno perseguito fin dall’adolescenza: emigrare in Erez Israel, cui peraltro giungerà dopo un soggiorno forzato a Cipro, in uno dei campi profughi britannici. Nella nuova patria così agognata sarà accolta con calore e profonda umanità dal fratello Eliezer e da tutti i membri del kibbutz. Ma sarà nel kibbutz Yakum che, sei mesi dopo il suo arrivo,incontrerà Zeev, l’amore e il compagno di tutta una vita, e fonderà la casa dove cresceranno i suoi tre figli: Dani, Idit e Carmit. Eppure a questa donna coraggiosa e forte non è stato risparmiato il dolore più lancinante per una madre: la perdita del suo unico figlio maschio, Dani, morto a ventiquattro anni durante la guerra del Kippur, mentre prestava soccorso ad alcuni soldati feriti da una bomba scoppiata su un deposito di munizioni. Orecchini in cantina è un libro che commuove e incanta, è lo straordinario spaccato di un’epoca narrata attraverso le drammatiche vicende di una famiglia che dall’Europa del XX secolo ci conduce alla fondazione dello Stato di Israele. Come scrive Nava Semel, compito e responsabilità dello scrittore è riscattare dall’oblio le memorie che altrimenti andrebbero perdute e trasmetterle alle generazioni successive. Dinanzi a questo gioiello diventa superflua qualsiasi critica letteraria. Rimane solo una profonda riconoscenza per l’autrice. Giorgia Greco |
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