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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.04.2007 Sarebbe sbagliato ritirarsi ora dall'Iraq
un articolo di Frederick W. Kagan e William Kristol

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 aprile 2007
Pagina: 24
Autore: Frederick W. Kagan e William Kristol
Titolo: «Sbagliano, e ha ragione Bush»
Dal CORRIERE della SERA del 2 aprile 2007:

C oncediamo il beneficio del dubbio ai Democratici del Congresso: supponiamo che alcuni di loro siano sinceramente convinti di fare la cosa giusta, nel vincolare l'approvazione di nuovi finanziamenti per la guerra in Iraq a una precisa scaletta per il ritiro delle truppe. Eppure i loro ragionamenti non stanno in piedi. I Democratici hanno espresso tre postulati: (1) una scaletta per il ritiro dall'Iraq incentiverà il governo di Al Maliki a fare passi indispensabili finora evitati; (2) è possibile ritirarsi gradualmente nel 2008 così da uscire dal conflitto settario in Iraq, pur restando impegnati nella lotta contro Al Qaeda; (3) la sconfitta in Iraq è inevitabile, pertanto obiettivo primario resta il ritiro. Tuttavia la situazione evolve rapidamente, scostandosi dalle condizioni che hanno motivato queste proposte.
(1) Il governo iracheno non agirà in maniera responsabile a meno che non vi sia costretto dall'imminente disimpegno delle forze Usa. Coloro che credono davvero a questa tesi sono rimasti inorriditi dalla decisione di Bush, a gennaio, di incrementare la presenza in Iraq. A tutt'oggi, Al Maliki ha consentito alle forze statunitensi di bonificare i principali capisaldi sciiti a Bagdad. Ha permesso agli americani di catturare ed eliminare i leader storici dell'esercito Mahdi di Moqtada Al Sadr, che, terrorizzato, ha cercato rifugio in Iran. Al Maliki ha dimissionato il vice ministro alla Sanità, uno dei più stretti alleati di Sadr. Al Maliki si è occupato di ripulire il ministero degli Interni, roccaforte sadrista che infiltrava la polizia. Ha lavorato con i capi della coalizione per la sicurezza di Bagdad. Ha visitato gli sceicchi sunniti a Ramadi, in passato base dei combattenti di Al Qaeda e di altri ribelli. Questa visita è stata resa possibile anche dalla rivolta degli sceicchi di Anbar contro Al Qaeda: oggi questi sunniti chiedono l'intervento di quel governo che finora hanno combattuto. Al Maliki si sta adoperando per fare tutti questi passi importanti, sapendo di poter contare sull'appoggio Usa.
(2) Le forze Usa sarebbero in grado di combattere Al Qaeda con maggior efficacia se non fossero invischiate nella guerra civile oggi in corso in Iraq. L'idea di scindere la lotta contro Al Qaeda dalla lotta settaria in Iraq è un'illusione. Sin dal 2004, Al Qaeda in Iraq si è adoperata per gettare il Paese in una guerra civile settaria, in modo da travolgere il governo che è impegnato a combatterla. In Iraq, Al Qaeda allontana gli sciiti dalle aree miste, estorce con il terrore il sostegno o il silenzio dei sunniti e si insedia nei suoi covi circondandosi di civili inermi, costretti con la forza a prendere parte alla battaglia. Oggi, incoraggiati dall'impegno americano, gli sceicchi sunniti di Anbar hanno ripudiato Al Qaeda. In reazione, Al Qaeda si è spostata verso Bagdad. Il nemico capisce che il caos è il miglior alleato di Al Qaeda. L'idea che sia possibile tener rintanati i nostri soldati in alcune fortezze mentre tutt'intorno domina il caos — pur continuando a condurre operazioni selettive contro Al Qaeda — è frutto della fantasia. Non esiste alcuna speranza di sconfiggere o controllare Al Qaeda in Iraq senza prima controllare la violenza settaria fomentata per servire agli scopi dei terroristi.
(3) Non è troppo tardi? Anche se adesso abbiamo la strategia giusta e il generale giusto, possiamo ancora farcela? Se non ci fossero più speranze, se gli iracheni fossero decisi a lanciarsi in una guerra civile a tutto campo, se il governo di Al Maliki fosse debole o dominato da estremisti violenti, se l'Iran controllasse veramente gli sciiti iracheni, allora sì la nuova strategia non porterebbe alcun frutto. Al Maliki avrebbe resistito oppure sarebbe rimasto inerte come prima. Le forze di Sadr sarebbero passate al contrattacco. Le perdite della coalizione sarebbero in aumento, e così pure le vittime della violenza settaria. Ma nessuna di queste cose si è verificata. Le stragi settarie sono in calo. E nonostante un forte incremento operativo nelle zone più a rischio, sono in calo anche le perdite Usa. La situazione non appare affatto disperata. Ma la speranza non significa vittoria, ovviamente. Il governo di Al Maliki potrebbe vacillare, ma non vacillerà se non gli faremo mancare il nostro sostegno.
Sfortunatamente, 4 anni di insuccessi hanno condizionato gli americani a credere che qualsiasi progresso debba essere effimero. Ma si deve smetterla di pensare a come perdere la guerra, per pensare invece a come rinforzare e sfruttare i primi successi che cominciano ad arrivare. Il dibattito a Washington non è commisurato alla realtà di Bagdad e finché non lo sarà, un presidente ben deciso dovrà impedire ai disfattisti al Congresso di perdere una guerra che si può ancora vincere in Iraq.
Traduzione di Rita Baldassarre
© William Kristol, 2007
Distribuito da The New York Times Syndicate

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