L'assalto del fondamentalismo islamico all'Europa, e la voglia di sottomettersi in Olanda, Germania e Francia
Testata: Il Foglio Data: 31 marzo 2003 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti - Andrea Affaticati - Sandro Fusina Titolo: «Un grande arabista chiede alla democrazia di armarsi contro il terrore - Un grande giornale tedesco chiede zero tolleranza contro l’intolleranza - Il rettore dell’accademia di Lione dice no al liceo islamico. Esonerato»
Dal FOGLIO del 31 marzo 2007, un articolo di Giulio Meotti sui dibattiti in Olanda intorno a un articolo dell'arabista Hans Jansen:
Roma. “La democrazia deve resistere all’islamizzazione usando mezzi violenti”. Se a pronunciare queste parole fosse stato Geert Wilders, il nuovo Pim Fortuyn piegato a un’esistenza di caserme e prigioni, nessuno si sarebbe scandalizzato. Ma a lanciare l’allarme, dalle colonne del settimanale Opinio, è stato il più celebre arabista d’Olanda, Hans Jansen, docente all’Università di Utrecht: “Non abbiamo capito che la minaccia della violenza può essere fermata solo attraverso l’uso di maggiore violenza. L’élite sostiene il multiculturalismo e bolla di fascismo chiunque dissenta”. A lui è toccato l’epiteto “razzista” e l’accusa di incitare allo scontro etnico. Sono anni che Hans Jansen, che ora chiede al governo di creare un dipartimento dei servizi segreti dedicato solo al terrorismo e all’estremismo islamico, si batte per risolvere i “due grandi misteri” che avvolgono ancora il caso di Theo van Gogh, il regista assassinato nell’autunno di due anni fa mentre andava in bicicletta al lavoro. Si sa che venne ucciso da Mohammed Bouyeri, un giovane islamista ben integrato, dall’olandese fluente e collaboratore del giornaletto della scuola. Meno noto è il fatto che due mesi prima che entrasse in azione, Mohammed si era nutrito dell’ideologia dell’imam Fawaz Jneid in una moschea wahabita dell’Aia. In un sermone, che Bouyeri ascoltò, Fawaz esortò i fedeli alla punizione dei “blasfemi” Van Gogh e Ayaan Hirsi Ali. Sebbene il testo possa essere letto sul sito del quotidiano Volkskrant, l’imam è ancora libero di predicare il Corano in Olanda. L’altro mistero riguarda il “siriano”, il guru di Bouyeri. Si faceva chiamare Mohammed Bassem, Redouan, Issa, Abu Khalid e Hassan. Scomparve il giorno dell’omicidio del cineasta. “La nazione fu scossa da una breve ondata di violenza. Moschee furono bruciate e le chiese attaccate. Ma il governo non ha reso noti i numeri dell’escalation. Bisognava ‘tenere uniti gli animi’”. Jansen dice che “la libertà religiosa deve valere solo per coloro che sono disposti a desistere dall’uso della violenza. Chi non si conforma a questa prescrizione e usa lo scritto sacro come licenza di uccidere, quello è il vostro nemico”. A dimostrazione di quanto la situazione nel paese di Anna Frank sia diventata intollerabile c’è il caso di Paul Cliteur, il più noto teorico del liberalismo olandese. Dopo l’uccisione di Van Gogh, Cliteur annunciò che per l’incolumità della propria famiglia non avrebbe fatto ulteriori commenti critici sull’islam. Oggi si schiera a difesa di Jansen contro chi, come l’opinionista Rohan Jayasekera, definisce Van Gogh un “fondamentalista della libertà di parola” che aveva “cercato il martirio”. Esattamente la stessa accusa che Ian Buruma, Stuart Sim e Timothy Garton Ash rivolgono ad Ayaan Hirsi Ali, esule negli Stati Uniti. Tre giorni fa il Volkskrant ha reso noto che le è stata raddoppiata la scorta anche a Washington, dove vive da un anno, a causa dell’aumento di minacce di morte (in Olanda era costretta a vivere in una base militare). Insieme a Jansen, Cliteur accusa Buruma e Garton Ash di essere la “quinta colonna” del terrore islamico. “La risposta del postmodernismo culturale è sempre la stessa: trattieniti dal criticismo” ci dice Cliteur. “Lascia che la riforma venga da dentro, evita le provocazioni. La difesa della democrazia e dei diritti umani deve essere sostituita dalla glorificazione dell’‘altro’. C’è solo scontro fra ‘fondamentalismi’, nessuno mai superiore all’altro”. Se per Ian Buruma il terrorista Bouyeri difende l’“islam radicale”, Hirsi Ali è dalla parte dell’“illuminismo radicale”. “Buruma dice che sono entrambi ‘guerrieri’. Ma Bouyeri è un guerriero la cui spada ha cercato di decapitare Van Gogh, Ayaan è una guerriera della penna. Sarebbe come dire che Sayyid Qutb, ideologo dell’islam radicale, è come il padrino dell’illuminismo radicale Baruch Spinoza. Ha ragione Jansen, questa posizione suicida e nichilista trasforma le società occidentali in prede dell’islamismo. Se l’ideologia è quella per cui la democrazia non è superiore alla teocrazia, non c’è motivo di difendersi dall’assalto dell’islam radicale”. Due giorni prima dell’uccisione del “porco” Van Gogh, il re giordano Abdullah tenne un discorso ad Amsterdam di fronte alla regina e al primo ministro. I musulmani presenti erano marocchini e se parlavano una lingua straniera, quella era il francese, non certo l’inglese. E se c’erano dei turchi, capivano il tedesco. Il discorso in inglese del re non disturbò nessuno dei presenti. Era il migliore dei mondi possibili
Di seguito, un articolo di Andrea Affaticati sull'inchiesta di Der Spiegel sull'islam in Germania:
Milano. “Mi sarei aspettato più solidarietà da parte politica e non questo attacco frontale alla giustizia”, così ieri il presidente dell’associazione magistrati tedeschi, Wolfgang Arenhövel, nella Frankfurter Allgemeine, riferendosi all’ondata di indignazione sollevata dalla sentenza emessa una settimana fa da un giudice donna di Francoforte, la quale, tenendo conto del fatto che “l’islam concede all’uomo il diritto di imporre la disciplina alla consorte” aveva negato a una donna marocchina nata e cresciuta in Germania ma sposatasi nel paese d’origine del marito, la procedura abbreviata per la sentenza di divorzio, nonostante questi l’avesse ripetutamente picchiata e fosse stato precedentemente diffidato dal giudice stesso di avvicinarsi all’abitazione della consorte. Secondo Arenhövel “il giudice si è solo attenuta al quadro normativo”. Giusto, ammette Arenhövel, criticare il riferimento all’islam, ciò nonostante la decisione di rifiutare una procedura d’urgenza, “non è affatto anomala”, perché anche in casi di maltrattamento fisico “si può addivenire a una pacificazione”. Inoltre, “non c’è nulla di strano nel fatto che un giudice si confronti con le usanze musulmane”. A chi poi parla di strisciante islamizzazione del sistema giuridico, Arenhövel fa notare che l’immediata ricusazione del giudice per legittima suspicione dimostra “che funzionano gli antidoti interni al sistema”. Tanto rumore per nulla, dunque? Lo Spiegel non la pensa così e ha dedicato alla “silente islamizzazione” la copertina: “Mekka Deutschland”. Dentro un dossier di dodici pagine, fitte di esempi con tanto di motivazioni che a volte paiono arrivare direttamente da “Absurdistan”. Ci sono casi che riguardano il posto di lavoro. Nel 2002 il tribunale regionale della cittadina di Hamm ha dato ragione a un lavoratore musulmano, varie volte ammonito dal datore di lavoro, perché, in nome della libertà confessionale, pretendeva l’introduzione di pause di preghiera. Ci sono casi che riguardano lo spazio pubblico. Così a chi si lamentava di essere svegliato a un’ora antelucana per le preghiere del muezzin, la Corte federale amministrativa nel 1992 aveva replicato che, sempre nel nome della libertà di religione, i vicini sono tenuti “in linea di massima ad accettare” di essere svegliati prima dell’alba. Ma sono soprattutto le sentenze che riguardano la parità dei sessi, il rispetto dei diritti umani, a rimettere in discussione il modello multiculturale praticato fino a oggi, e a spingere lo Spiegel a chiedersi: “Non è giunto il momento di difendere la liberalità – faticosamente raggiunta soprattutto in Germania – se è il caso anche con zero tolleranza verso l’intolleranza”. Molti sono, infatti, gli esempi citati che danno la misura di quanto regole e tradizioni della cosiddetta società parallela stiano inficiando e condizionando il sistema giudiziario. Da quelli grotteschi come la circolare trasmessa nel 2004 dal ministero per le Politiche sociali in cui si comunicava alle casse mutualistiche che “i matrimoni poligami debbono essere riconosciuti, se corrispondono al diritto del paese d’origine”; tradotto anche la seconda moglie di un algerino ha diritto all’assistenza sanitaria. A quelli che mostrano un preciso intento di evitare il “contagio occidentale”, sin da tenera età. Così cresce di anno in anno il numero di “esenzioni” dall’ora di ginnastica per le ragazze. Il tribunale amministrativo del Nordrhein-Westfalen aveva dato ragione ai genitori di una ragazzina, i quali si rifiutavano di mandarla in gita, perché il Corano vieta di farle viaggiare senza un familiare di sesso maschile a fianco e perché l’adolescente mostrava evidente ansia all’idea di poter perdere il copricapo. I giudici diedero ragione ai genitori paragonando il disagio della ragazza allo “stato mentale di una persona parzialmente menomata psichicamente e dunque in grado di viaggiare solo se accompagnata”. Una sentenza che ricorda la “fatwa dei cammelli” emessa qualche anno prima dal presidente della comunità islamica dell’Assia, Amir Zaidan. Secondo la stessa, una musulmana non può allontanarsi senza accompagnatore oltre un raggio di 81 chilometri da casa, lunghezza pari a quella che una carovana di cammelli copriva nell’arco di ventiquattro ore ai tempi del profeta. Una precauzione, così aveva spiegato Zaidan, tesa a scongiurare il pericolo di violenza carnale.
Un articolo di Sandro Fusina sul caso francese del direttore dell’Accademia di Lione, esonerato dal suo incarico per essersi opposto all'istituzione di un liceo islamico :
Intanto ha cambiato mise, per dirla alla francese, o look per dirla all’inglese. Si è messo più a suo agio. Si è vestito in un modo più conforme al suo attuale stato d’animo. Ha smesso l’abito grigio, la camicia bianca e la cravatta, divisa mesta e pretenziosa dei funzionari di stato, e si è concesso un bel completo di velluto a coste. Mai il formale mobilio impero dell’ufficio del rettore dell’Accademia di Lione è stato turbato da tanta informalità, mai ha dovuto ascoltare discorsi pronunciati con tanta foga e con simile libertà lessicale. Per definire quello che gli è capitato il vocabolo ufficiale sarebbe esonerare. Dopo tredici anni di servizio esemplare Alain Morvan, già professore universitario di Letteratura inglese, è stato esonerato dall’incarico di rettore dell’Accademia di Lione. Esonerato è la parola usata dal Consiglio dei ministri. Il vocabolo usato dalla stampa per definire la situazione di Morvan è limogé, silurato. Morvan, che si fa un vanto di non avere peli sulla lingua né rifuggire dai neologismi, quando sono espressivi, dice di essere stato “kärcherisé”, una parola non ancora accolta dai dizionari, che deriva dal nome di una nota ditta di strumenti per le pulizie a fondo e che forse in italiano potrebbe essere tradotto con disinfestato. Morvan non esita a usare il vocabolo perché è convinto che l’iniziativa del suo esonero, se ufficialmente è stata presa dal ministero dell’Istruzione, è stata ispirata, se non voluta, dal ministero degli Interni. Le disavventure di Morvan sono incominciate nell’agosto scorso, con una storia che ricorda la vicenda milanese della scuola di via Quaranta. Morvan si era opposto all’apertura a Lione di un liceo mussulmano. I suoi argomenti non erano di ordine confessionale. Ai tempi della polemica sul diritto delle ragazze musulmane di portare il velo in classe aveva preso posizioni morbide, interlocutorie. Ma quel liceo a Lione non lo voleva e non c’era modo di convincerlo, di ammorbidirlo. “Ho continuato la mia battaglia perché ero al corrente che quell’edificio non era pronto per accogliere dei ragazzi, sia dal punto di vista della sicurezza che da quello pedagogico. Sono esigenze che si applicano a tutti i ragazzi, siano cristiani, atei o mussulmani”. Sembravano motivazioni assolutamente ragionevoli. Bastarono per irritare i politici, già preoccupati per le elezioni imminenti. Bastarono perché Morvan fosse tacciato di essere un cattolico clericale. L’accusa invece di irritarlo lo divertì. Alain Morvan poteva dimostrare a chiunque si prendesse la pena di verificare che apparteneva orgogliosamente a una famiglia di tradizioni protestanti. Né lo irritava la diceria che voleva che fosse intimo della famiglia Chirac, che fosse addirittura il padrino di una delle figlie del presidente. Con un humour un po’ acre, spinoso Morvan confermava di avere avuto una conversazione con la signora Chirac. Quando le era stato presentato a un ricevimento si era spinto a dirle, con galanteria tutta francese, “I miei omaggi, signora”. L’ex-rettore dell’Accademia di Lione non vuole nascondere di avere avuto a suo tempo l’incarico quando le destre si preoccupavano di mettere i loro uomini di cultura nei posti di potere. Anche in politica può rivendicare un solido pedigree. Si è sempre dichiarato, e continua a dichiararsi gollista. E’ proprio la fedeltà e l’ispirazione al Generale che a sessantadue anni alimenta il suo spirito di resistenza. Nel suo incarico di rettore Morvan non si è mai comportato in modo accomodante. Da una parte non si è risparmiato nella lotta al malcostume accademico, che definisce in modo sintetico affarismo. Dall’altra non ha concesso sconti a Bruno Gollnisch, il dirigente del Fronte nazionale sospeso per cinque anni dalle sue funzioni di professore di Cultura giapponese nell’Università di Lione III, per avere negata, ignorandola durante una conferenza stampa, la realtà storica dell’olocausto del popolo ebreo. Dall’incarico di rettore Morvan non è stato esonerato certo per reticenza. L’accusa formale che gli è stata mossa non è quella di essersi opposto, con ragioni buone, ma impolitiche, all’apertura di un liceo mussulmano, ma di essersi lasciato andare a troppe dichiarazioni. Morvan non nega. Anzi, ammette di avere fatto al telefono affermazioni volutamente false, concordate con amici. Come queste siano diventate di dominio pubblico è uno di quei misteri delle telecomunicazioni che, chissà perché, ci ricorda ancora l’Italia.
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