Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
La crisi degli ostaggi britannici in Iran i sequestri sono una "tradizione" khomeinista
Testata: Corriere della Sera Data: 31 marzo 2007 Pagina: 5 Autore: Guido Santevecchi - Guido Olimpio - Federico Fubini Titolo: «L'Ue: liberi gli inglesi o misure contro l'Iran - Prigionieri e «traditori» alla gogna tv Khomeini rivoluzionò la lotta ai nemici - Draghi commissaria una banca di Teheran»
Dal CORRIERE della SERA del 31 marzo 2007, la cronaca sulla presa di posizione dell'Unione europea di fronte al rapimento dei soldati britannici:
LONDRA — Un'altra lettera e un'altra video confessione. A Teheran continuano a usare i quindici marinai e soldati catturati otto giorni fa nel Golfo per umiliare il governo di Londra. Ieri a Faye Turney, la donna del gruppo con una bimba che l'aspetta a casa, è stato fatto scrivere in una lettera «al popolo britannico» che «siamo stati sacrificati dalla politica interventista di Blair». E il fuciliere di Marina Nathan Summers ha ripetuto alla tv iraniana che «siamo entrati senza permesso nelle vostre acque territoriali». Tony Blair risponde che bisogna mantenere calma e pazienza, perché l'obiettivo è di riportare i ragazzi a casa salvi e presto. Ma non nasconde la sua rabbia e frustrazione quando dice che «esibire i prigionieri presi illegalmente e spingerli a fare affermazioni in cui non crede nessuno non fa che accrescere il disgusto della gente per un comportamento vergognoso ». Londra comincia a chiedersi quali opzioni ci siano oltre alla semplice attesa. Ha già cercato di coinvolgere il Consiglio di sicurezza dell'Onu che ha espresso «grande preoccupazione» ma ha cancellato dalla dichiarazione preparata dall'ambasciatore britannico la deplorazione. E ha ottenuto la solidarietà dei ministri degli Esteri europei riuniti in Germania, che hanno chiesto la liberazione immediata e incondizionata prospettando altrimenti «misure appropriate» contro questa violazione del diritto internazionale. E già su questi sviluppi il petrolio è schizzato a 69 dollari al barile, la quotazione più alta da settembre. Teheran replica ingiungendo agli europei di non intromettersi. Per D'Alema invece «la questione riguarda tutta l'Unione europea». E il responsabile della politica estera dell'Ue Javier Solana ribadisce che «qualsiasi cosa accada a cittadini dell'Ue accade per l'intera Unione» e afferma che cercherà di parlare con il presidente iraniano Ahmadinejad. Ma Ahmadinejad ha detto al premier turco Erdogan, offertosi come mediatore, che la questione è complicata dai tentativi di Londra di amplificare il caso. L'ambasciata iraniana a Londra ha trasmesso una nota ufficiale (la prima in otto giorni) che suggerisce di lavorare a «una soluzione bilaterale accettabile alle parti». Ma la soluzione dovrebbe partire da scuse formali per uno sconfinamento che il governo britannico nega, dati satellitari alla mano. Il ministro degli Esteri Margaret Beckett osserva che evidentemente, su questa base, gli iraniani non hanno ancora alcuna intenzione di chiudere la crisi.
Di seguito,un articolo di Guido Olimpio sulla storia dei sequestri politici nell'Iran khomeinista:
I denigratori dell'ayatollah Khomeini facevano girare la storiella che l'Imam passasse il suo tempo a guardare i cartoni animati. In realtà la Guida islamica e i suoi uomini sapevano quanto fossero importanti i media. La Rivoluzione si poteva costruire sulla punta delle baionette ma anche su quella delle antenne. E allora, nei giorni dell'esilio francese, Khomeini registrava delle audiocassette con le quali incitava alla rivolta. Al suo fianco un fedele segretario, Sadegh Ghotbzadeh, che smanettava sul registratore e poi affidava ad altri l'ultimo sermone. Una volta spodestata la monarchia, Ghotbzadeh viene ricompensato a dovere. Guida la Radiotelevisione e ricopre anche la carica di ministro degli Esteri, ma la Rivoluzione lo divora. Accusato di complotto, viene costretto a una confessione pubblica alla televisione: «Mi vergogno davanti alla nazione. Liberatemi o giustiziatemi», sono le sue parole d'addio. All'alba del 15 settembre 1982 passa nelle mani del boia. Un anno dopo, i protagonisti della parata sotto le telecamere sono tre alti dirigenti del Tudeh, il partito comunista iraniano. Di nuovo, le vittime fanno un mea culpa in diretta, confermando di aver compiuto ogni tipo di deviazione politica. Evitano il patibolo ma finiscono comunque in galera tredici iraniani di religione ebraica. Li arrestano nel 1999 con l'accusa classica: spionaggio. Due degli accusati ammettono le loro responsabilità in tv. Una gogna per documentare le manovre clandestine contro Teheran. Il caso si trascina fino al 2003 e si chiude con una serie di condanne. Il sistema piace molto ai giudici con il turbante, che esibiscono, in occasione di processi farsa o detenzioni arbitrarie, lettere firmate dagli stessi imputati, siano dissidenti che funzionari caduti in disgrazia. Verbali estorti con la tortura e la coercizione. I continuatori di Khomeini altro non fanno che proseguire sulla strada indicata dal loro leader. Un cammino apertosi come una frattura traumatica con il mondo esterno: l'occupazione dell'ambasciata Usa a Teheran nel 1979, seguita dalla lunga detenzione degli ostaggi. Una catena di episodi che rivela le capacità degli ayatollah nel mescolare i ricatti veri a quelli mediatici. Non hanno nulla da imparare dai macabri show di Al Zarkawi o del talebano Dadullah. Piuttosto sono quest'ultimi che hanno imitato il regime khomeinista. La «confessione» di Ghotbzadeh torna oggi alla memoria con i marines ripresi dalla televisione iraniana, costretti a riconoscere non solo le loro «colpe» ma a denunciare gli errori della politica britannica in Medio Oriente. Se i tagliagole di Bagdad usano il coltello, i ricattatori di Teheran utilizzano le immagini come lame affilate. E riescono a incidere nel tessuto internazionale. Le manipolazioni dei mullah uniscono la tradizionale guerra di propaganda — ormai una costante nello scacchiere — a manovre legate alla situazione interna. Con diversi obiettivi. Primo: dimostrano di mantenere l'iniziativa nel braccio di ferro con Londra. Secondo: segnalano ai loro seguaci determinazione e dimostrano di essere in grado di tener testa alle potenze occidentali. Un messaggio rivolto anche alle opinioni pubbliche non sciite della regione. Terzo: fanno da sponda alle iniziative degli ambienti più radicali e in particolare modo ai pasdaran, ritenuti i burattinai dell'operazione ostaggi. C'è chi pensa che i guardiani stiano giocando una loro partita nei confronti dell'establishment. Quarto: umiliano l'avversario, aumentano la frustrazione e il senso di impotenza, sperando di indurlo all'errore. Quinto: si nascondono dietro alla questione dello sconfinamento per cercare di ottenere in cambio i loro uomini catturati dagli Usa in Iraq. Un gioco pericoloso? Certo, ma in fondo è così che la Repubblica islamica si comporta fin dai primi giorni della sua nascita. E dunque ci riprova.
Infine, un articolo sui provvedimentidi Bankitaliacontro una banca iraniana:
Che anche nel sistema nervoso della finanza qualcosa sarebbe successo, gli iraniani l'avevano capito da un pezzo. Un mese fa Nioc, la compagnia petrolifera del governo di Teheran, ha iniziato a distribuire ai clienti occidentali un nuovo formulario: va riempito per consentire i pagamenti del greggio in euro. E più che la voglia di uno schiaffo al dollaro, c'entrano forse gli sforzi del Tesoro americano di congelare le transazioni dell'Iran con la «sua» moneta: giù le mani sciite dal biglietto verde, è il messaggio da Washington. Probabilmente però neanche le contromisure della Nioc basteranno ad arginare un progressivo isolamento economico, a giudicare da come ieri si è mosso Mario Draghi. Poche righe senza enfasi, com'è nello stile del governatore. Un atto dovuto, come del resto già in Francia e in Germania. Ma il segnale non è equivocabile: Banca d'Italia dispone la «gestione provvisoria» della succursale romana di Bank Sepah, quinto istituto dell'Iran, e ha già messo al lavoro due commissari nominati per la gestione. Né una lettera di credito, né un bonifico passeranno più da Bank Sepah Italia (peraltro da mesi quasi alla paralisi) senza che Via Nazionale sappia di cosa si tratti. In modo asciutto, la banca centrale ricorda poi agli italiani in affari con la Repubblica islamica i rischi «reputazionali e operativi»: quelli che si corrono a trattare con soggetti che da una settimana sono sotto la spada di Damocle di una nuova ondata di sanzioni dell'Onu, fissate nella risoluzione 1747. C'è un comma, in quel dispositivo, che costringerà moltissimi fra Roma e Milano a procedere da ora in poi su una china sottile. Votata anche dall'Italia, la risoluzione vincola infatti le «operazioni finanziarie con il governo dell'Iran». E l'interpretazione che ne dà Stuart Levey è chiara: per questo sottosegretario al Tesoro Usa, lo stesso che da mesi preme su Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Bnl perché fermino il sostegno agli scambi italiani con Teheran, anche l'assicurazione all'export adesso va frenata. Come dire che Sace, di proprietà del Tesoro di via XX Settembre, dovrebbe ritirarsi o quasi dalla Persia. Ce n'è abbastanza perché il governo di centrosinistra si trovi ancora una volta di fronte a una scelta difficile. «Stiamo valutando: abbiamo già ridotto la nostra esposizione ma si tratta di capire bene cosa rientri nel campo delle sanzioni dell'Onu», replica per ora Ignazio Angeloni, presidente di Sace e direttore dei rapporti internazionali del Tesoro. Anche lui sa che la posta in gioco difficilmente potrebbe essere più elevata. L'anno scorso l'export italiano ha fatturato quasi due miliardi di euro in Iran (soprattutto macchine industriali), mentre le vendite iraniane all'Italia sono arrivate a 3,8 miliardi. L'export è già in calo e le banche italiane sono divenute ormai molto caute nell'attività a Teheran, così come lo sono la tedesca Commerzbank, l'inglese Barclays o la Société Générale francese. Ma l'Iran conta ancora per il «made in Italy» e con Germania, Francia e Giappone, l'Italia resta il più grande partner di Teheran alleato degli americani. Eni, Erg, la Saras dei Moratti e la Ies di Adolfo Vannucci comprano greggio della Nioc e spesso usano lettere di credito presso banche europee per le loro attività. Se ora la crisi degli ostaggi o sul nucleare si avviterà, anche per loro le condizioni si complicheranno e 25 miliardi l'anno di scambi fra Europa e Iran potrebbero evaporare. Solo la Cina, indisturbata, continuerà a fatturare altrettanto con il regime di Mahmoud Ahmadinejad.
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