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La Stampa Rassegna Stampa
30.03.2007 Ecco cosa succede nelle mosche italiane
così i fondamentalisti invitano a uccidere gli infedeli

Testata: La Stampa
Data: 30 marzo 2007
Pagina: 7
Autore: Maurizio Tropeano - Massimo Numa - la redazione
Titolo: «L’imam: gli infedeli vanno uccisi - L’ira della comunità: spiarci è sacrilegio - «Una nuova moschea? Ecco perché sono cauto»

Dalla STAMPA del 30 marzo 2007:

La moschea è in un cortile di via Cottolengo, a Torino, la stessa dove predicava l’imam Bouchta espulso dall’Italia per sospetta attività terroristica, è nel cuore di Porta Palazzo, dietro il grande mercato dell’ortofrutta. L’altra è in via Saluzzo, quartiere San Salvario. Due pezzi di città dove i cittadini extracomunitari si sono insediati in modo massiccio nel corso degli anni. Sono stranieri. Arrivano da Marocco, Tunisia, Egitto. Tutti di religione musulmana. In questi luoghi di culto salafiti, almeno secondo le riprese di una telecamera nascosta di una troupe di Annozero, si fa propaganda ad Al Qaeda e si chiamano alle armi i fedeli: «Nessun compromesso con gli atei. Si uccidono e basta».
Il filmato
Immagini che durano pochi minuti ma che a partire da oggi potrebbero essere acquisite dalla squadra antiterrorismo di Torino. Il suo capo, Giuseppe Petronzi, afferma di aver «guardato con molta attenzione il servizio televisivo. Nessuno ci aveva informato delle riprese e adesso valuteremo in che nodo acquisire la documentazione». Petronzi, però, non risponde a chi gli chiede se ci siano indagini in corso sui terroristi islamici.
L’inchiesta giornalistica di Maria Grazia Mazzola partita per documentare la violenza sulle donne perpetuate in nome del Corano si è servita di una telecamera nascosta, grande come uno spillo, per fare le riprese all’interno dei luoghi di culto. Mazzola racconta l’«ostilità e la diffidenza» riscontrata in questo viaggio di due settimane in alcuni dei luoghi frequentati da una parte dei fedeli musulmani torinesi. Poi l’inchiesta prende una piega diversa e arriva a documentare come in quelle due moschee si faccia propaganda in favore del terrorismo islamico.
L’iman Kuhaila invita i credenti a non integrarsi con gli infedeli perché l’Islam e l’unica via di salvezza. Poi la microcamera riprende le fotocopie di fogli di propaganda del gruppo terroristico. Per la giornalista si tratta del «giornale di Al Qaeda» e lì si può leggere l’esaltazione della Jihad si parla di Al Zarkawi, il capo della cellula irachena dell’organizzazione terroristica ucciso dagli americani, e lo si porta come modello per il martirio. Tra quelle pagine ci sono anche la descrizione di strategie militari. La stessa propaganda di esaltazione della guerra santa contro gli infedeli, cioè ebrei e cristiani, si ripete nella moschea di via Saluzzo. Qui le informazioni si possono leggere su una bacheca dove sono stati affissi i fogli del giornale. Fin qui il video. Che faranno gli inquirenti? Petronzi non si sbilancia. Nel corso degli anni la Digos di Torino ha cercato di contrastare il terrorismo di matrice islamica. La prima inchiesta è del 1997 contro la Gia algerina. Poi nell’aprile del 2001 partono le indagini che portano ad accertare l’esistenza di una campagna di arruolamento partita dalle moschee del Nord-Ovest per i capi dell’Afghanistan. A Guantanamo sono detenuti quattro combattenti catturati in battaglia dagli americani. Poi nel 2003 l’inchiesta che portò all’espulsione di cinque marocchini accusati di star preparando attentati in Italia. L’anno dopo toccherà all’imam della moschea di via Cottolengo. Sindaco Chiamparino in due moschee di Torino si lanciano proclami a favore di Al Qaeda. E’ preoccupato?
«Spero che i filmati non mettano in pericolo eventuali inchieste di magistrati e polizia. Che ci possano essere pericoli lo testimonia il fatto che alcuni anni fa venne espulso l’imam Boutcha. Io non sono stato tra quelli che si sono stracciate le vesti per quel fatto».
Il Comune non può far niente?
«In Comune non sono arrivate mai segnalazioni su rischi di terrorismo islamico. Certo non abbassiamo la guardia e per questo sono felice di aver risposto con molta, moltissima cautela a chi ogni tanto si è fatto vivo per chiedere la costruzione di una grande moschea a Torino».
Contrario alla costruzione?
«Sono cauto, molto cauto. E’ necessario capire chi sono i finanziatori e da dove arrivano i soldi. Stiamo lavorando per integrare nella vita sociale della città la stragrande maggioranza degli stranieri che lavora e rispetta le leggi».\
3Siamo scossi. No, non è possibile». Via Cottolengo 5. Nel cuore di Porta Palazzo, il quartiere multietnico di Torino, dove gli islamici sono migliaia, il foglio con il lancio d’agenzia che racconta lo scoop di Annozero, passa di mano in mano. «Come? una videocamera segreta nella moschea? E’ sacrilegio, è un fatto gravissimo. Non ci crediamo», dicono. Invece è successo.
Quello che i fedeli chiamano l’Imam dovrebbe essere un marocchino, conosciuto come Kuhaila; appare all’improvviso da dietro la porta di vetro e acciaio. Fa segno di no con una mano, «non ho niente da dire, andare via». Barba tradizionale, alto ed esile, deciso a non rispondere, a tagliare ogni contatto con il mondo esterno. I suoi sermoni sono famosi, da mesi, da quando il suo predecessore, Bouriqui Bouchta, è stato espulso. E’ un uomo di grande carisma, vive in un alloggio dello stesso fabbricato, dove una volta abitava una famiglia tunisina. Esce poco, raccontano i vicini, è «un religioso che passa il tempo a pregare e a studiare», uno dei leader dei Salafiti.
Già nell’ingresso veniamo allontanati con decisione. «Via, per piacere. Questa è l’ennesima offesa contro di noi, contro i musulmani», dice un ragazzo. Ma è vero o no che durante la preghiera, si inneggia alla Jihad, alla guerra santa contro l’Occidente. Ma chi è il vostro Imam? Silenzio. Alla fine, una risposta, ironica: «E’ Bouriqi Bouchta», dice uno dei pochi che non indossa la veste tradizionale. Ridono tutti, ora. Bouchta è stato espulso nel settembre 2005 e rimpatriato in Marocco dal ministero degli Interni.
Storia di anni fa. Quando Bouchta, proprietario di alcune macelleria, faceva sfilare i ragazzini di Porta Palazzo vestiti da miliziani di Hamas, con il cappuccio e la kefiah, urlando slogan contro Israele e gli Usa.
La predicazione, in quella moschea di via Cottolengo, destava molti sospetti. La Digos aveva scoperto che venivano effettuate raccolte di fondi per le vedove dei kamikaze che dovevano ancora farsi saltare, accadde poi nel maggio 2003, a Casablanca. E qui si celebravano le figure leggendarie dei guerriglieri ceceni, come quel Khattab, la cui foto - da morto - era la cover di un manifesto di propaganda per raccogliere denari e volontari per la causa.
Storia di oggi. E’ vero che le guide spirituali suggeriscono, anzi impongono, di non integrarsi «con gli infedeli», di respingere in blocco lo stile di vita europeo, e soprattutto, che viene offerto materiale propogandistico della Rete di bin Laden, che si incita all’odio contro gli americani, che vengono raccolti fondi per le organizzazioni terroristiche che poi investono il denaro in attentati anche contro l’Esercito Italiano? E’ vero che viene ricordato con la preghiera Al Zarqawi, il capo della guerriglia in Iraq recentemente ucciso dalle forze della coalizione? Ti aspetti un coro di no indignati.
Ma Abu H., che si definisce moderato e che frequenta la moschea di via Saluzzo, nell’altro quartiere ad alta densità musulmana, cioè San Salvario, quasi raggela: «E’ vero, purtroppo. Da tempo avevo segnalato che alcuni Imam provenienti dall’Egitto predicavano l’intolleranza, il fanatismo e il culto della Jihad. Non posso dire né sì, né no, in merito a un’azione diretta, di proselitismo a favore di Al Qaeda. In realtà, più che gli episodi singoli, quel che conta è come è cambiato, in peggio, il clima. Quanto accade in Iraq e Afghanistan, in Palestina, ha profonde ripercussioni anche qui. C’è un senso di delusione, per la democrazia».
Aggiunge: «Molti di noi, mentre scorrono in tv le immagini di stragi, bombardamenti, esecuzioni, si sentono sempre più stranieri, isolati dalla società dove vivono e lavorano, dove si sono integrati, almeno in apparenza, con tanta fatica. Io sono un uomo di pace, vi prego, non lasciateci soli, non allargate il solco che ci divide».
E se nella moschea di Bouchta c’è rabbia e disprezzo («La tv dice solo bugie», concludono), in via Saluzzo si respira un clima di tristezza, di sorda irritazione. «Vogliamo vedere Annozero, poi il nostro Imam farà le sue considerazioni. Se questo è un modo di avvicinare le comunità, se questa è la strada del dialogo, allora ci siamo sbagliati tutti. Si torna indietro, questa è la verità».

La reazione dei fondamentalisti, che come di consueto cercano di presentarsi come vittime:

Siamo scossi. No, non è possibile». Via Cottolengo 5. Nel cuore di Porta Palazzo, il quartiere multietnico di Torino, dove gli islamici sono migliaia, il foglio con il lancio d’agenzia che racconta lo scoop di Annozero, passa di mano in mano. «Come? una videocamera segreta nella moschea? E’ sacrilegio, è un fatto gravissimo. Non ci crediamo », dicono. Invece è successo. Quello che i fedeli chiamano l’Imam dovrebbe essere un marocchino, conosciuto come Kuhaila; appare all’improvviso da dietro la porta di vetro e acciaio. Fa segno di no con una mano, «non ho niente da dire, andare via». Barba tradizionale, alto ed esile, deciso a non rispondere, a tagliare ogni contatto con il mondo esterno. I suoi sermoni sono famosi, da mesi, da quando il suo predecessore, Bouriqui Bouchta, è stato espulso. E’ un uomo di grande carisma, vive in un alloggio dello stesso fabbricato, dove una volta abitava una famiglia tunisina. Esce poco, raccontano i vicini, è «un religioso che passa il tempo a pregare e a studiare », uno dei leader dei Salafiti. Già nell’ingresso veniamo allontanati con decisione. «Via, per piacere. Questa è l’ennesima offesa contro di noi, contro i musulmani», dice un ragazzo. Ma è vero o no che durante la preghiera, si inneggia alla Jihad, alla guerra santa contro l’Occidente. Ma chi è il vostro Imam? Silenzio. Alla fine, una risposta, ironica: «E’ Bouriqi Bouchta», dice uno dei pochi che non indossa la veste tradizionale. Ridono tutti, ora. Bouchta è stato espulso nel settembre 2005 e rimpatriato in Marocco dal ministero degli Interni. Storia di anni fa. Quando Bouchta, proprietario di alcune macelleria, faceva sfilare i ragazzini di Porta Palazzo vestiti da miliziani di Hamas, con il cappuccio e la kefiah, urlando slogan contro Israele e gli Usa. La predicazione, in quella moschea di via Cottolengo, destava molti sospetti. La Digos aveva scoperto che venivano effettuate raccolte di fondi per le vedove dei kamikaze che dovevano ancora farsi saltare, accadde poi nel maggio 2003, a Casablanca. E qui si celebravano le figure leggendarie dei guerriglieri ceceni, come quel Khattab, la cui foto - da morto - era la cover di un manifesto di propaganda per raccogliere denari e volontari per la causa. Storia di oggi. E’ vero che le guide spirituali suggeriscono, anzi impongono, di non integrarsi «con gli infedeli», di respingere in blocco lo stile di vita europeo, e soprattutto, che viene offerto materiale propogandistico della Rete di bin Laden, che si incita all’odio contro gli americani, che vengono raccolti fondi per le organizzazioni terroristiche che poi investono il denaro in attentati anche contro l’Esercito Italiano? E’ vero che viene ricordato con la preghiera Al Zarqawi, il capo della guerriglia in Iraq recentemente ucciso dalle forze della coalizione? Ti aspetti un coro di no indignati. Ma Abu H., che si definisce moderato e che frequenta la moschea di via Saluzzo, nell’altro quartiere ad alta densità musulmana, cioè San Salvario, quasi raggela: «E’ vero, purtroppo. Da tempo avevo segnalato che alcuni Imam provenienti dall’Egitto predicavano l’intolleranza, il fanatismo e il culto della Jihad. Non posso dire né sì, né no, in merito a un’azione diretta, di proselitismo a favore di Al Qaeda. In realtà, più che gli episodi singoli, quel che conta è come è cambiato, in peggio, il clima. Quanto accade in Iraq e Afghanistan, in Palestina, ha profonde ripercussioni anche qui. C’è un senso di delusione, per la democrazia ». Aggiunge: «Molti di noi, mentre scorrono in tv le immagini di stragi, bombardamenti, esecuzioni, si sentono sempre più stranieri, isolati dalla società dove vivono e lavorano, dove si sono integrati, almeno in apparenza, con tanta fatica. Io sono un uomo di pace, vi prego, non lasciateci soli, non allargate il solco che ci divide». E se nella moschea di Bouchta c’è rabbia e disprezzo («La tv dice solo bugie», concludono), in via Saluzzo si respira un clima di tristezza, di sorda irritazione. «Vogliamo vedere Annozero, poi il nostro Imam farà le sue considerazioni. Se questo è un modo di avvicinare le comunità, se questa è la strada del dialogo, allora ci siamo sbagliati tutti. Si torna indietro, questa è la verità».

L'intervista e Sergio Chiamparino, che esprime una saggia cautela sulla costruzione di una nuova moschea. Troppo spesso in Italia sono state finanziate le moschee dei Fratelli musulmani, organizzazione fondamentalista che diffonde una cultura di odio.
Le prediche di chi esorta uccidere gli infedeli costituiscono, come ha spiegato Magdi Allam , un pericolo molto concreto: sono il primo anello della catena di reclutamento del terrorismo.

Sindaco Chiamparino in due moschee di Torino si lanciano proclami a favore di Al Qaeda. E’ preoccupato? «Spero che i filmati non mettano in pericolo eventuali inchieste di magistrati e polizia. Che ci possano essere pericoli lo testimonia il fatto che alcuni anni fa venne espulso l’imam Boutcha. Io non sono stato tra quelli che si sono stracciate le vesti per quel fatto». Il Comune non può far niente? «In Comune non sono arrivate mai segnalazioni su rischi di terrorismo islamico. Certo non abbassiamo la guardia e per questo sono felice di aver risposto con molta, moltissima cautela a chi ogni tanto si è fatto vivo per chiedere la costruzione di una grande moschea a Torino». Contrario alla costruzione? «Sono cauto, molto cauto. E’ necessario capire chi sono i finanziatori e da dove arrivano i soldi. Stiamo lavorando per integrare nella vita sociale della città la stragrande maggioranza degli stranieri che lavora e rispetta le leggi».

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