Sistema antimissile contro la minaccia iraniana ? i paesi della Nato devono scegliere a giugno
Testata: Il Foglio Data: 29 marzo 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «L’Europa non ha una vera spada, si doti almeno di uno scudo»
Dal FOGLIO del 29 marzo 2007:
Bruxelles. Nel 2015 l’Iran sarà diventato potenza nucleare grazie alla mollezza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e si sarà dotato di missili balistici intercontinentali con la complicità della Corea del nord. Ancora governata dai mullah, per affermare il suo predominio sulla regione, la Repubblica islamica deciderà di chiudere lo Stretto di Ormuz, da dove transitano le petroliere che portano il greggio di Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Emirati Arabi verso i porti occidentali. I paesi del Golfo, gli Stati Uniti e l’Europa accuseranno Teheran di un atto di aggressione internazionale e invieranno le proprie navi da guerra verso il Golfo. Di fronte alla possibilità concreta di un intervento militare occidentale, l’Iran intimerà la marcia indietro. Oppure “lanciamo la bomba contro Amsterdam”, sarà la minaccia della Repubblica islamica. Con l’attuale dottrina della dissuasione nucleare, l’occidente avrà due sole opzioni: cedere al ricatto iraniano o radere al suolo Teheran. Rischiando, però, la distruzione della capitale olandese, milioni di vittime e, forse, una nuova guerra mondiale. Questo non è un film di fantascienza geopolitica. E’ il “worst case scenario” che gli esperti della Nato stanno valutando seriamente e che giustifica l’integrazione dell’Alleanza atlantica nello scudo antimissilistico americano. Per la Nato e gli Stati Uniti, la minaccia è reale. “C’è consenso nelle comunità di intelligence sul fatto che l’Iran sarà dotato dell’arma nucleare nel 2010”, dice Robert Bell, ex assistente per gli investimenti nella Difesa del segretario generale dell’Alleanza. Altri parlano del 2015. Per adesso, è inverosimile che il programma di arricchimento dell’uranio sia fermato dalle attuali, deboli sanzioni dell’Onu. In più, Teheran “sta lavorando a un ampio programma missilistico”, spiega Ted Whiteside, capo del centro “armi di distruzioni di massa” della Nato. Dal 1990 l’Iran si è dotato degli Shahab-2, missili a corto raggio che possono colpire obbiettivi in Qatar, Kuwait e Oman. Lo scorso novembre, i Guardiani della rivoluzione hanno compiuto esercitazioni con lo Shahab-3, missile derivato dal nordcoreano No Dong-A1, in grado di raggiungere Israele, la Turchia e oltre. Lo Shahab-4 di lunga gittata sarebbe in fase avanzata. Nel dicembre 2005 la Bild ha scritto che Pyongyang avrebbe fornito all’Iran 18 missili BM-25, con un raggio di tremila chilometri, mentre dall’Ucraina sarebbero arrivati illegalmente i missili russi KH-55, vettori intercontinentali a testata nucleare. Il 26 febbraio scorso, la televisione iraniana ha annunciato il lancio del suo primo razzo spaziale: se l’Iran ha la tecnologia delle tre fasi necessaria a mandare un vettore in orbita, “ha anche capacità intercontinentali”, avverte Bell. “Con le dichiarazioni pubbliche iraniane sulla volontà di usare le proprie potenzialità nucleari e missilistiche” – secondo Bell – “non è difficile immaginare uno scenario di conflitto che coinvolga le truppe Nato impegnate a difendere l’accesso occidentale al petrolio del medio oriente”. Nel 2005, l’Alleanza ha avviato il suo programma di difesa missilistico, l’Active Layered Theatre Ballistic Missile Defence (Altbmd), che entro il 2010 dovrebbe proteggere i soldati Nato sul terreno da un eventuale attacco balistico. Ma, vista la retorica dei mullah, non si può escludere “un attacco di massa”, spiega Christian Jonnas, capo del governanprogramma del sistema di difesa missilistico Nato. L’Iran potrebbe mettere sotto “ricatto le città e le popolazioni” americane e europee, anche perché, a oggi, “18 paesi non hanno la capacità di difendersi” da un attacco nucleare. Con lo scudo antimissilistico, spiega Bell, “gli Usa hanno deciso di non dare la possibilità” all’Iran di minacciare le città e le popolazioni occidentali. La Nato vorrebbe integrare il suo sistema di difesa con quello americano a protezione dei cittadini europei, ma buona parte dell’Europa cincischia: la Francia non vuole abbandonare la sua politica di dissuasione, il ministro degli Esteri socialdemocratico tedesco, Franck Walter Steinmeier, usa l’antiamericanismo come una clava per la politica interna, l’Italia esige “prudenza” perché la Russia minaccia di puntare i suoi missili contro le basi europee dello scudo americano, i paesi neutrali accusano Washington di “corsa agli armamenti”. Il pensiero pre 11 settembre L’Europa è imprigionata in una dottrina fondata sulla razionalità delle relazioni internazionali del pre 11 settembre 2001. All’epoca nessuno avrebbe dato credito a un rapporto dei servizi segreti su quattro aerei dirottati da islamisti e lanciati contro le Torri gemelle, il Pentagono e la Casa Bianca. Così, oggi in pochi sul Vecchio continente credono possibile un attacco missilistico nucleare iraniano contro una città americana o europea. “Il sistema di difesa Usa non si giustifica, perché non ci sono prove sulla minaccia”, dice al Foglio Martin Schulz, leader del Partito socialista europeo e membro dell’ufficio politico della Spd tedesca. Parigi “prende seriamente la minaccia missilistica”, spiega il generale Robert Ranquet, vicedirettore degli affari strategici del ministero della Difesa francese, ma “riguarda più le truppe sul terreno che la popolazione civile. Abbiamo risorse limitate e dobbiamo scegliere le priorità”. La priorità francese, dice Ranquet, è “la prevenzione e il contenimento della minaccia attraverso gli strumenti diplomatici”. La Francia finge di non aver imparato la lezione iraniana: la diplomazia non sempre funziona. In un documento riservato, finito sulla prima pagina del Financial Times a metà febbraio, il capo della diplomazia dell’Unione europea, Javier Solana, ha riconosciuto per la prima volta con franchezza che la diplomazia non ha fermato la bomba iraniana: “Non abbiamo avuto successo” né sul nucleare né sul programma balistico. Quando “gli sforzi diplomatici falliscono occorre avere un piano B”, dice Tim Williams del Royal United Services Institute britannico. Lo scudo missilistico è indispensabile per avere “un altro strumento di risposta all’imprevedibilità di regimi come la Corea del nord e l’Iran”, aggiunge Ted Whiteside. Pena la distruzione di Amsterdam. La dottrina classica della dissuasione nucleare, fondata sull’autodistruzione reciproca, implica un certo grado di prevedibilità del nemico e non può essere applicata ai “Pasdaran il cui obiettivo è la conquista del Califfato”, spiega al Foglio l’eurodeputata della Repubblica Ceca, Jana Hybaskova: “Nessun politico responsabile può escludere che tra due, tre o cinque anni, l’Iran usi un missile per realizzare il programma dei Pasdaran”. Invece Francia, Italia, Austria, Belgio, Lussemburgo e i socialdemocratici nel governo di grande coalizione in Germania al momento escludono il “worst case scenario”. “Ho un senso di dejà vu”, dice al Foglio Giles Merritt, direttore del think tank Security and Defence Agenda: “Siamo tornati venti anni indietro alle Star Wars”. In realtà, il programma “Strategic Defense Initiative”, lanciato dall’allora presidente americano Ronald Reagan, aveva caratteristiche profondamente diverse. Soprattutto, “negli anni Ottanta non c’erano divisioni sugli obiettivi politici generali” degli alleati occidentali, spiega Merritt. Oggi, invece, gli Stati Uniti devono fare i conti con un’Europa la cui identità sembra affermarsi solo in opposizione agli americani. Fanno eccezione il Regno Unito, che già accoglie una base del sistema antimissilistico Usa, e i paesi dell’Est europeo, che vedono nella forza militare statunitense la garanzia della propria sicurezza. Sullo scudo, la Polonia ha dato la sua disponibilità a ospitare una batteria di dieci missili intercettori, mentre una base radar dovrebbe essere installata in Repubblica Ceca. Dall’altra parte, le ragioni per opporsi al sistema di difesa missilistico sono le più disparate. La Francia teme di essere degradata a potenza nucleare di terzo rango, perché intercettare le bombe nucleari prima che possano esplodere significa non avere la possibilità di schiacciare il bottone della distruzione che è alla base della dottrina classica della dissuasione. La Spd tedesca sta cercando un bis anti Merkel della campagna elettorale del 2002, quando Schröder riuscì in un miracoloso recupero grazie al pacifismo anti Usa contro la guerra in Iraq. La Russia usa l’alibi dell’“accerchiamento” da parte degli americani per affermare con più vigore il suo ritorno sulla scena internazionale – e ieri il presidente George W. Bush ha detto telefonicamente a Vladimir Putin di essere pronto a discutere dettagliatamente la questione. Solo che “la sfiducia europea contribuisce a rafforzare quelli che a Washington dicono ‘facciamo senza la Nato, perché altrimenti ci vorranno mesi di riunioni prima di fermare un missile nucleare’”, avverte Robert Bell. Paesi protetti e paesi in pericolo Per gli Stati Uniti lo scudo è indispensabile, perché “la difesa missilistica è diventata uno degli strumenti più forti di politica estera”, spiega Merritt. Tanto che gli americani sono disposti a proteggere una parte dell’Europa senza chiedere nulla in cambio. “L’Europa – spiega Tim Williams – ha la possibilità di avere qualcosa gratis”, o quasi: il costo dell’integrazione del sistema di difesa Nato nello scudo Usa è di un miliardo di euro in venti anni. Solo 50 milioni l’anno da dividere tra tutti gli stati membri. Anche secondo i dirigenti e gli esperti dell’Alleanza, lo scudo è un dispositivo strategico essenziale. Il segretario generale Jaap de Hoop Scheffer ricorda che “l’indivisibilità della sicurezza” euro-atlantica è un pilastro irrinunciabile. Ma se i paesi membri si opporranno allo scudo, allora la Nato rischia di essere divisa in due: “Una Serie A e una Serie B”, con i paesi del nord Europa coperti dal sistema di difesa americano e quelli del sud – Italia compresa – senza lo scudo necessario a proteggerli da una testata iraniana. Paradossalmente, ricorda Merritt, sono “i paesi più vicini e meno protetti” a dire “no”. Lo scudo antimissilistico, come l’impegno militare in Afghanistan, sta anche ridisegnando i rapporti di forza interni all’Alleanza. I paesi dell’Est europeo e, in particolare, “i polacchi stanno guadagnando spazio”, dice il direttore di Defence and Security Agenda. A differenza dei suoi partner di coalizione tedeschi e di paesi come l’Italia, la cancelliera Angela Merkel ha compreso il bivio della Nato e non vuole vedere la Germania declassata. Presidente di turno dell’Unione europea, Merkel è riuscita a tener fuori l’Ue per non mettere il bastone tra le ruote degli americani. La resa dei conti è annunciata per il vertice dei ministri della Difesa Nato in giugno. Al quartier generale dell’Alleanza si ricorda un precedente infausto, quando nel 2003 si spaccò sulla Turchia che chiedeva di fornire un sistema di difesa missilistico in caso di rappresaglia da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Ma l’aria sta cambiando. Con le elezioni presidenziali, la Francia potrebbe modificare la sua dottrina e l’evoluzione del dossier nucleare iraniano spinge il generale Ranquet a dire: “Stiamo aspettando di capire cos’hanno in mente i nostri amici americani” sul livello di sicurezza per l’Europa e sul processo di decisione per schiacciare il “bottone rosso”. Di qui a giugno, anche l’Italia dovrà decidere se stare dentro o fuori l’Alleanza. Ieri, in un briefing al dipartimento di Stato il generale Henry Obering, comandante della Missile Defence Agency – l’agenzia del dipartimento della Difesa americano che occupa dello sviluppo del sistema di difesa – ha detto che il governo italiano ha recentemente sottoscritto un memorandum di intesa con il Pentagono per avviare un dialogo sulle tecnologie legate al progetto di sistema di difesa antimissilistico. “Ma – ha precisato il portavoce del generale – questo non significa che l'Italia stia collaborando con gli Stati Uniti nello sviluppo dello scudo
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