Dalla REPUBBLICA del 28 marzo 2007, una cronaca di Alberto Stabile, con i nostri commenti inseriti nel testo:
RIAD - La città è stata blindata, imbandierata e ripulita della polvere del deserto per quello che i giornali locali presentano come l´Appuntamento con la Storia. Da anni, i vertici della Lega araba erano diventati una triste, marginale routine. Lo sarebbe anche quello che s´apre oggi se non fosse che qui si celebra un nuovo protagonista sulla scena diplomatica del medio Oriente. E se a Gerusalemme, l´attivismo di Condoleezza Rice si spegne contro le trincee scavate da Olmert per evitare d´impelagarsi in un negoziato troppo impegnativo coi palestinesi, tanto meglio per il cosiddetto «piano saudita» che resta l´unica proposta di pace sul tappeto.
Il nesso di causa ed effetto che lega le vicende mediorientali impone di partire proprio dalla faticosa e infruttuosa navetta effettuata dalla Rice tra Gerusalemme e Ramallah, nella sua quarta missione in quattro mesi. Un nulla di fatto preoccupante per i futuri sviluppi del conflitto, che la decisione concordata tra il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente dell´Autorità palestinese, Abu Mazen, d´incontrarsi in futuro con cadenza bisettimanale, non riesce a camuffare.
Incontrarsi va bene, ma per dirsi cosa? «Questioni umanitarie, sicurezza e orizzonte politico», ha risposto una fonte del governo israeliano citata dall´agenzia Reuter. Precisando, tuttavia, che «la discussione sull´orizzonte politico (la formula generica evocata dalla Rice per dire senza dirlo esplicitamente che l´obietivo del negoziato è lo stato palestinese, n. d. r.) non è intorno a problemi specifici».
Davanti a una Madame Rice, arrivata in Israele con l´intenzione di annunciare urbi et orbi una svolta nel processo di pace, clinicamente morto dal fallito vertice di Camp David (giugno 2000), Olmert ha opposto una tenace resistenza.
Ecco individuato il colpevole del mancato progresso in direzione della pace: tanto per cambiare è il primo ministro israeliano. Non ha invece nessuna importanza il fatto che il governo palestinese non riconosca Israele e rivendichi il "diritto" alla "resistenza", cioè la legittimità del terrorismo
Il primo ministro ha innanzitutto chiesto che nella dichiarazione finale non venisse menzionata nessuna delle questioni-chiave su cui s´è in passato arenata la trattative: status di Gerusalemme, confini dello Stato palestinese, diritto al ritorno dei rifugiati.
Da questa frase si capisce che le trattative sono sempre fallite per l'intransigenza di Israele. In realtà a Camp David e a Taba i palestinesi pretesero la sovranità persino sul Muro del Pianto, pretesero il riconoscimento di un "diritto al ritorno" che porterebbe alla scomparsa di Israele come Stato degli ebrei, e rifiutarono compensazioni territoriali per l'annessione a Israele delle principali città della Cisgiordania.
La Road Map, d'altro canto, si è arenata perché i palestinesi non hanno mai rispettato il suo punto preliminare: combattere il terrorismo.
Poi, visto che i contrasti perduravano, la conferenza stampa annunciata per lunedì sera è stata rinviata a ieri mattina, il che, visti i rapporti solitamente idilliaci fra i governanti israeliani e quelli americani, è un intoppo vistoso.
Per rintuzzare l´attacco della Rice, ansiosa di offrire un successo a un´Amministrazione avviata verso un tramonto senza gloria, Olmert ha dato fondo al suo armamentario dialettico. La debolezza di Abu Mazen, ha rivelato Yiedioth Aaronoth, una delle carte giocate dal premier. «Se Abu Mazen - ha detto Olmert, sarcastico - non è neanche in grado di restituire ad Israele una bicicletta rubata a Gerusalemme, non c´è scopo a parlare con lui di assetto definitivo».
Peccato che la stessa accusa di debolezza politica, i palestinesi, e non pochi osservatori israeliani muovono ad Olmert. Tutti lì a contare i giorni mancati alla pubblicazione del rapporto Winograd sugli esiti fallimentari della guerra contro gli Hezbollah, mentre nello stesso partito del premier, Kadima, sono già cominciate le grandi manovre in vista di un´eventuale successione.
Si tratta, evidentemente, di due debolezze molto diverse: da una parte quella di un embrione di stato che non riesce ad imporre (o non vuole) il monopolio della forza sui territori che dovrebbe controllare, dall'altra quella di un leader democratico in calo di popolarità che potrebbe non essere rieletto.
Assimilare due fenomeni così diversi è un inganno.
Abu Mazen è debole perché i palestinesi contano politicamente poco. E il duro giudizio dato dalla Rice sul nuovo governo di unità nazionale, definito «un ulteriore complicazione», va in questa direzione.
Abu Mazen è debole perché è il presidente di un'Autorità nella quale i "partiti politici " dispongono di milizie armate che si combattono in armi, quando non sono impegnate a praticare il terorirsmo contro gli israeliani.
E' debole perché il nuovo governo di unità nazionale che ha approvato accoglie sostanzialmente la piattaforma politica di Hamas.
I fatti dai quali dipende la debolezza di Abu Mazen causano anche, per altro, l'irrilevanza politica dei palestinesi e il giudizio negativo di Condoleezza Rice sul governo di unità nazionale Hamas- Fatah.
L'una e l'altro sono soltanto conseguenze di una situazione politica che non hanno contribuito a determinare, diversamente da quanto suggerisce Stabile.
Potrebbe, allora, la proposta saudita riempire il vuoto d´iniziativa diplomatica in cui è piombato il conflitto dei conflitti?
"Conflitto dei conflitti" ? Perché assegnare questo titolo proprio al conflitto israelo-palestinese e non ad altri molto più sanguinosi ? Dal Darfur alla Cecenia, fino alle stragi del terorismo in Iraq?
Ad essere realisti, non si vede come i sauditi potrebbero riuscire laddove finora è fallita la diplomazia americana. Tuttavia Olmert ha dato segni d´interesse verso il piano approvato a Beirut nel 2002 e tornato oggi alla ribalta, più per necessità, che per libera scelta.
Ma la richiesta israeliana di cassare dalla proposta qualsiasi riferimento al diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi
Presentando in questo modo la posizione israeliana le si conferisce l'aura negativa dell'intransigenza e della protervia negatrice di un preteso "diritto".
Si ricordi però che le richieste palestinesi riguardano i rifugiati del 1948 e i loro discendenti : in nessun conflitto della storia il numero dei rifugiati da risarcire è stato calcolato in questo modo.
Inoltre, va ricordato che la responsabilità morale del problema dei rifugiati è di chi rifiutò la spartizione e scatenò una guerra di distruzione contro Israele.
Una guerra di distruzione che oggi si vorebbe proseguire anche con lo strumento demografico: portando milioni di palestinesi non nel futuro Stato palestinese, ma in Israele, per soppiantarvi la maggioranza ebraica.
non è stata accolta dai ministri degli esteri della Lega, riuniti, ieri, in gran consulto preparatorio. Tuttavia, la bozza di documento non parla di diritto al ritorno, ma di «questione dei rifugiati» per la quale si richiede una «giusta soluzione concordata». In sostanza, un invito a discuterne.
In vista della prevedibile conclusione garrisce la retorica dell´unità araba. Presto smentita dai fatti. Vale a dire, dalla presenza di due delegazioni libanesi, una facente capo al premier filo americano, Fuad Siniora e l´altra al presidente, filosiriano, Emile Lahud.
Presentare Siniora come un filo-americano e Lahud come un filosiriano è fuorviante. La Siria ha occupato militarmente il Libano per anni, e oggi continua a condizionare il paese dei Cedri attraverso i servizi segreti, le eliminazioni dei politici scomodi, il sostegno a Hezbollah.
Lahud è l'uomo di questo potere oscuro e pervasivo. Siniora, è semplicemente un politico che difende l'indipendenza del suo paese
Una dicotomia presente anche nella delegazione palestinese, giunta a Riad con alla testa Abu Mazen, al Fatah, affiancato dal premier Ismail Haniyeh, Hamas. Il quale Haniyeh pretendeva di alloggiare con il suo seguito in un piano distinto da quello assegnato ad Abu Mazen, per potervi tenere liberamente le sue consultazioni. Richiesta respinta dagli organizzatori.
Un aneddoto che non serve a dimostrare una divisione all'interno del fronte palestinese smentita da un fatto politico come l'esistenza di un governo di unità nazionale che riunisce Fatah (il partito del presidente ) e Hamas (il partito del premier).
Tra Abu Mazen e Haniye non c'è, al momento,un rapporto di conflittualità paragonabile a quello tra Siniora e Lahud.
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