Riceviamo e volentieri pubblichiamo una testimonianza su un viaggio a Hebron:
I fanatici propagandisti dell'antisemitismo esistono anche in Israele. Made in Home. Israeliani 100 per cento. Hanno tutto dei fanatici: la struttura composta da fedeli fidati, la tecnica dialogica e l'idea del superuomo che possiede la reale verità. In un primo momento possono fare un po' paura., Poi parlandoci ti rendi conto che c'è parecchia confusione nella loro mente. Allora ti fanno solo tristezza.
Il tutto inizia con una gita a Hebron. 40 schekel. In autobus tutto organizzato. Partenza venerdì mattina alle 8.30. Non fare tardi. Così mi aveva reclutato qualche giorno prima una Norvegese che seguiva il corso di Moshe Idel con me.
Venerdì mattina c'è il sole e anche il pullman è sempre lì alle 8.40.
Un capannello di gente, tutti più svegli e pimpanti di me, c'è uno con la telecamera che riprende.
Appena partiamo un tipo barba-capelli lunghi, e fisico da buona forchetta prende il microfono e attacca a parlare,
Lui fa parte di "Breaking the Silence" una ONG Israeliana con sede a Tel aviv composta da ex militari dell'Israel Defence Force, che hanno prestato servizio nei territori, come Gaza, Hebron Bethlehem.
- Ora vi chiederete voi - prosegue il tipo col microfono - perchè ex militari che effettuavano il servizio nei territori hanno deciso di unirsi in una ONG?
Perchè è arrivato il momento di rompere il silenzio e di dire tutta la verità su tutto quello che succede nei territori!! sui check point! Sugli arresti! Sui pattugliamenti! Sui bambini palestinesi che non possono andare a scuola! Sui soprusi sui civili! Sui civili morti nelle ambulanze bloccate ai check point! Sulle famiglie palestinesi che non possono mangiare perché non hanno lavoro! -
Ci penso un attimo poi mi guardo intorno, sull'autobus siamo una quarantina, tutti assorti ascoltatori del microfono e mi viene il dubbio che forse non stiamo proprio andando a Hebron a vedere la Sinagoga, la tomba di Jesse e Ruth o la Cava di Machpela.
Il bus si ferma sotto la sinagoga, in fondo alla scalinata di fronte a noi alcune transenne e 4 poliziotti seduti a controllare.
Il tipo del microfono è andato avanti a parlare per tutto il viaggio, 50 minuti, io ho smesso di guardare il paesaggio e tolto gli auricolari giusto in tempo per sentirgli dire: - Non vi allontanate dal gruppo, saremo scortati da alcuni militari potete usare macchine fotografiche e videocamere, it's safe ma non inquadrate o fate foto ai militari che potrebbero infastidirsi and you know...
Appena scesi il tipo con la telecamera sta già riprendendo eccitato, parte dal gruppo , et voila un bel primo piano ai 4 militari seduti di fianco alle transenne.
Non saliamo la scalinata verso la sinagoga ma ci incamminiamo lungo una stradina deserta che sfocerà poi in Al shohada st. lungo la quale ci sono 7 checkpoint.
Un mezzo emporio che vende campanelle di coccio un bar chiuso, i bagni pubblici nuovi di zecca, le bandierine israeliane lacere che penzolano qua e là. Solo qualche militare lungo la strada, poi tanta desolazione impregnata sui muri coperti di fori.
Il tipo barba-capelli lunghi adesso esige silenzio altrimenti non tutti possono sentire quello che dice, smetto di parlare con una sud coreana, mi stacco un attimo dal gruppo do un occhiata dentro una casa attraverso una porta semi scassata e un'altro membro della ONG mi viene a richiamare.
Stiamo andando verso una scuola palestinese che in realtà è una casa un po' meglio conservata delle altre con un piccolo pratino davanti, ci sono dei bambini, appena ci vedono arrivare in gruppo scappano dentro una porta, poco dopo dalla stessa porta escono fuori tre maestrine con tre bambini per mano, si aggiustano il velo, si mettono i bambini davanti a loro, si impettiscono e restano ferme immobili così davanti al tipo con la telecamera, Un bambino fa per sottrarsi alla posa ma la maestra lo riprende al volo per il braccio e lo ritrascina immobile davanti alla telecamera. Poi il cameraman dice – Ok enough- le maestrine rompono le righe e ritornano dentro con i loro bambini.
A guardarlo si direbbe che il cameraman è un uomo soddisfatto.
Ci spostiamo al vecchio mercato, ora arriva la scorta, 6 militari, il profeta ancora parla e parla, riempie di minuziosi particolari, non tralascia niente dai piccoli dispetti, agli scontri per strada fra i settlers e i palestinians peoples qua e i palestinians peoples la. Si ferma sempre a parlare davanti a qualche facciata di casa ben mitragliata o qualche scritta sui muri tipo "jews in this Life or in the next you will pay everything". Potete fare foto, it's safe.
Mi stacco ancora dal gruppo e attraverso la strada deserta c'è un cimitero arabo di la. Appena appoggio la mano sul cancello un soldato della scorta mi richiama e mi viene incontro.
- Just for Arabs! - mi dice. Io gli sorrido. Just taking a look
Si chiama Alaa, è tranquillo, ha 24 anni e sua moglie partorirà a giugno. Stravede per Milano, vuol sapere quanto gli costerebbe farsi una settimana di ferie. E' rimasto nell'esercito dopo il servizio militare. Fra due anni finirà. L'idea dopo è quella di laurearsi in medicina di guerra. - così dice lui-
! - mi dice. Io gli sorrido. J ! - mi dice. Io gli sorrido. J ! - mi dice. Io gli sorrido. J
! - mi dice. Io gli sorrido. J
Col gruppo continuiamo a camminare, abbiamo un incontro col Colonnello responsabile per tutta la zona di Hebron, resto indietro a parlare con Alaa, il tipo della ONG non viene più a riprendermi adesso.
Il colonnello è disponibile, forse poco preparato come addetto stampa, carente di vocabolario in Inglese. E' travolto dalle domande, tipo perché non permettete le manifestazioni delle associazioni straniere o perché quella casa laggiù è raggiungibile così difficilmente, o perché non avete fatto passare quell'ambulanza che avrebbe salvato la vita del tal palestinese. Parecchi sorrisini ironici o di commiserazione, di fronte alle risposte eccessivamente ingenue del colonnello. Non è una bella scena, almeno non lo è per me.
Alzo la mano e per un momento si zittiscono tutti, chiedo al colonnello, se abbiano avuto particolari problemi ad Hebron durante il periodo in cui a Gaza i "palestinian peoples" si uccidevano fra loro.
C'è un attimo di stupore rancoroso, poi il colonnello spiega come la parte araba è di fatto controllata dalle relazioni fra quattro famiglie importanti, per cui a Hebron non ci sono stati gli omicidi punitivi.
Il colonnello è really sorry ma deve andare, qualcuno si indispettisce, hanno altre domande. Il tempo a nostra disposizione è finito.
Il profeta della ONG mi viene vicino e inaspettatamente mi dice: - In Gaza they were not killing themselves each other!-
Poi senza aspettare un mio parere se ne va chiedendo di essere seguito da tutti.
Un altra ora di Odio preconfezionato per le orecchie degli stranieri.
Guardo i miei compagni e sono stupito dal vedere che nessuno batte ciglio, tutti a sorbirsi i deliri rancorosi, di chi vive in funzione dell'odio. Non è un problema di idee politiche, o di opinioni. I testimoni di Geova dell'antisemitismo, non tollerano dubbi, loro hanno la verità. La loro è una religione fondata sull'odio e sul disgusto, come se fosse una questione personale, lo vedi che si sentono importanti, finalmente protagonisti, colonizzando immaginari.
Se solo il profeta chiedesse se ci sono domande potrei azzardarmi a chiedergli del Pogrom del 1929, e de diritto degli ebrei di riprendersi le proprie case, oppure si potrebbe fargli notare che a Hebron, città con le tombe dei patriarchi, gli israeliani, i suoi connazionali, possono circolare solo in meno del 4 per cento del territorio della città mentre gli arabi appena passati i check point possono circolare anche nella zona ebraica. Oppure si potrebbero dire tante cose, ma viene da pensare che forse non ne vale la pena, la religione dell'odio fa adepti in Israele fra i laureati, che vengono da Asia, nord Europa, e Stati Uniti, a fare il Master a Jerusalem.
Alle 15 ritorniamo all'autobus, c'è giusto il tempo di salutare Alaa e scambiarsi i numeri di telefono, poi, una volta sopra, partiti, il profeta riprende il microfono in mano, intanto vengo distribuiti volantini, libretti con le testimonianze anonime di ex militari che non si firmano ma che evidenziano la loro sensibilità. Si scambiano mail, contatti fra associazioni e ONG sparse per il mondo.
Dietro di me una americana chiede al profeta dell'odio se può fargli una video intervista. -Sure!- risponde lui.
Nel suo piccolo è anche lui un uomo soddisfatto, al centro delle attenzioni e della riverenza. Lui sa che il suo volto e le sue parole finiranno sui blog di mezzo mondo.
Una conserva stantia di parole sempre uguali, ripetute di continuo da sprovveduti parolai diligentemente ammaestrati.
Verrebbe da chiedergli com'è cambiato il suo conto corrente da quando è entrato anche lui nel Business dei Palestinesi o se perlomeno prova un po' di vergogna, ma poi lo ascolto altri due minuti indottrinare sulle responsabilità di Sharon su Chabra e Chatila, e penso che non me ne frega niente della coscienza del profeta.
Guardo fuori del vetro e fuori c'è ancora il sole, ma credo che in pochi su questo autobus se ne siano accorti.
Andrea Buonaguidi