Dalla prima pagina del FOGLIO del 27 marzo 2007, una rticolo sulla crisi degli ostaggi iraniana:
Roma. Per Teheran la “crisi degli ostaggi” con la Gran Bretagna rappresenta molto più che un semplice ricatto per ottenere il rilascio dei pasdaran e dei funzionari iraniani fermati in Iraq. E’ vero che il ministro degli Esteri iracheno, Hushyr Zebari, aveva assicurato alla controparte iraniana, Manoucher Mouttaki, che i sabotatori inviati da Teheran sarebbero stati rilasciati entro Nowroz, il capodanno iraniano – festeggiato la scorsa settimana – e non è accaduto. Ma la tempistica degli eventi – le imbarcazioni sono state intercettate alla vigilia del voto sulle sanzioni – letta alla luce della bellicosa retorica dell’ayatollah Khamenei e dei suoi generali non può non essere considerata come un atto di sfida nel confronto sul nucleare. Con la risoluzione 1.747 Cina e Russia hanno acconsentito ad allargare lo spettro delle sanzioni. Mosca ha imposto una “pausa” al completamento della centrale di Bushehr. La presenza americana nel Golfo Persico è stata potenziata e Riad guida in funzione anti-iraniana la politica di contenimento del fronte sunnita. Teheran avverte anche il rischio che il braccio di ferro sul nucleare non sia che un sintomo di una crisi più profonda. Le tattiche dilatorie utilizzate per dividere il Consiglio di sicurezza hanno solo allungato i tempi. Il dialogo fra il negoziatore nucleare Ali Larijani e il capo della diplomazia europea, Javier Solana, non ha prodotto risultati e l’ayatollah Khamenei nel suo recente messaggio di Nowruz ha tratteggiato per gli interlocutori regionali e internazionali la linea rossa della politica estera iraniana: “Chi causa dolore all’Iran dovrà pagare un prezzo”. Isolata, Teheran, provoca. Annuncia la sospensione parziale della sua collaborazione con l’Agenzia atomica, ribadisce che non fermerà i progetti nucleari, fa trapelare la notizia della “confessione” dei membri della pattuglia britannica e ventila l’ipotesi di un processo con inquietanti conseguenze. L’Iran alza i toni perché ha bisogno di nuove carte da giocare. Sul fronte interno Teheran si presenta come vittima dell’intelligence anglo-americana, un argomento che trova terreno fertile nell’opinione pubblica iraniana. All’esterno segnala che le nuove sanzioni saranno considerate come azioni nemiche e gli stati che le hanno determinate giudicati di conseguenza.
Uno sui legami tra l'Iran e la compagnia petrolifera francese Total:
Bruxelles. Proprio mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu stava per votare il rafforzamento delle sanzioni contro il programma nucleare iraniano, la settimana scorsa a Parigi l’amministratore delegato di Total, Christophe de Margerie, finiva in carcere per uno scandalo di corruzione legato all’Iran. Il gigante petrolifero francese avrebbe versato, dal 1997 al 2003, 60 milioni di dollari a una società di consulenza, che serviva da copertura per pagare intermediari e corrompere funzionari della Repubblica islamica, al fine di ottenere un contratto da due miliardi di dollari per sfruttare il giacimento di gas off-shore di South Pars. Secondo un dirigente di Total interrogato dalla giustizia francese, il beneficiario della commissione occulta sarebbe il figlio dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, che ha smentito le accuse. Ma i giudici di Parigi disporrebbero della testimonianza di un dirigente della compagnia petrolifera russa Statoil – partner di Total nel contratto South Pars – che evoca l’esistenza di un sistema di corruzione organizzato attorno a una fondazione presieduta dal figlio di Rafsanjani. Total era già finita sotto inchiesta nel 2005 per “corruzione attiva e traffico di influenza” nello scandalo iracheno oil for food. Se “quello che è buono per Total è buono per la Francia” – come dicono a Parigi – lo scandalo potrebbe spiegare la prudenza francese nell’imporre sanzioni alla Repubblica islamica. Tanto più che, come in oil for food, anche il contratto con l’Iran ha un risvolto politico: lo sfruttamento di South Pars era stato inizialmente negoziato dalle compagnie americane e solo il veto della Casa Bianca ha permesso ai francesi di sfruttare l’enorme giacimento off-shore. La decisione di Total è stata presa “con l’avallo delle più alte autorità dello stato”, ha detto a Libération un uomo vicino al dossier. Se Hezbollah in Libano e Hamas nei territori palestinesi minacciano gli interessi arabi, petrolio e gas sono la leva nei confronti dell’Europa, presente in Iran con l’italiana Eni e la spagnola Repsol. “Il mondo ha tanto bisogno del petrolio iraniano quanto l’Iran ha bisogno del resto del mondo”, ha detto il predecessore di Margerie, Thierry Desmarest, nel novembre 2006 al Monde, spiegando le esitazioni della Francia alle sanzioni contro l’Iran.
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