Israele, il colpevole il quotidiano torinese sceglie la via della demonizzazione: invitiamo a protestare
Testata: La Stampa Data: 27 marzo 2007 Pagina: 19 Autore: Fabio Galvano Titolo: «Io, sola contro Israele “Abbandonata da Blair»
Dpo l'articolo sulla barriera difensiva ripreso il 26 da Le Monde( qui il link alla nostra critica) La STAMPA del 27 marzo 2007 pubblica un articolo di Fabio Galvano di pura disinformazione, ispirato al pregiudizio e a un cieco odio verso Israele. La vicenda trattata è quella di Jocelyn Hurndall madre del militante dell'International solidarity movement Tom Hurndall, ucciso dal proiettile di un tiratore scelto israeliano mentre aiutava un gruppo di bambini palestinesi a spotarsi durante uno scontro a fuoco tra esercito israeliano e terroristi palestinesi. E' impressionante, intanto, il numero delle omissioni, delle inesatezze, delle ambiguità e delle vaghe illazioni contenute nell'articolo di Galvano. Non viene scritto che il soldato è stato condannato in Israele per omicidio preterintenzionale: il suo intento sarebbe stato quello di "di spaventare il pacifista con una pallottola a dieci centimetri dal volto. Ma il soldato avrebbe sbagliato i calcoli, colpendo il ragazzo alla testa " (fonte il CORRIERE della SERA del 28 giugno 2005). Nemmeno si cita questa informazione: Tom Hurndall "stava aiutando alcuni scolari palestinesi, sorpresi in strada dall'inizio di scontri a fuoco tra combattenti dell'Intifada e soldati israeliani, a mettersi in salvo", fonte Il MANIFESTO del 28 giugno 2007. Galvano scrive invece: "cercava di portare in salvo tre bambini palestinesi su cui qualcuno - forse lo stesso cecchino - stava sparando da una torretta di osservazione dell’esercito" e così descrive la sparatoria: durante una manifestazione pacifica " improvvisamente alcuni colpi d’arma da fuoco furono rivolti contro un gruppo di bambini che giocavano su una collinetta" Una tecnica simile viene utilizzata nel racconto del processo, durante il quale, arriva a scrivere Galvano "si tentò di imputare la morte di Tom all’imperizia dei medici inglesi". Piccolo particolare: furono gli avvocati della difesa a farlo. Ma il giornalista della STAMPA vuole presentare l'intero Israele come autore di un tentativo di insabbiamento. In realtà il tribunale israeliano giudicò con severità la deposizione "confusa e patetica" del soldato e la sua autodifesa . Ma questo non ha importanza, perché per Galvano, e per Jocelyn Hurndall, l'autore materiale dell'omicidio non è il vero colpevole. Lui è solo "un povero beduino semianalfabeta che nell’esercito d’Israele aveva cercato una via di fuga dalla miseria " . E' "a sua volta vittima". Non del terrorismo palestinese che costringe gli israeliani a tragiche decisioni in guerra, e talvolta favorisce tragici errori. Ma di Israele. Colpevole collettivo già condannato prima di qualsiasi processo. Su questa base di completo stravolgimento dei fatti, Galvano riversa tonnellate di retorica, raccontando con sapienza la storia di una madre che chiede giustizia per il figlio "sola contro Israele" (così recita il titolo). Ecco il testo, con un' ulteriore osservazione inserita tra le righe: Jocelyn Hurndall ha scritto un libro e lo porta sempre con sé, da una stanza all’altra, in auto, nell’aula scolastica in cui insegna. «È tutto quello che mi resta di Tom», dice: «È il mio regalo a lui, ma anche il suo regalo a me». Suo figlio Tom, giovane studente di fotografia alla Manchester Metropolitan, aveva 21 anni quando un cecchino israeliano lo colpì alla testa a Rafah, nella striscia di Gaza, mentre cercava di portare in salvo tre bambini palestinesi su cui qualcuno - forse lo stesso cecchino - stava sparando da una torretta di osservazione dell’esercito Tom sarebbe morto nove mesi dopo, in un ospedale inglese, senza mai riprendere conoscenza, il cervello spappolato. Da allora la battaglia degli Hurndall, e di mamma Jocelyn in prima linea, è stata per ottenere una chiarezza che pochi parevano disposti a offrire - né le autorità israeliane, né il governo britannico - e una giustizia che neppure la condanna del cecchino, un povero beduino semianalfabeta che nell’esercito d’Israele aveva cercato una via di fuga dalla miseria, era riuscita a regalarle. Sono il dolore e il ricordo di una madre a tenerla in vita. Oggi c’è anche una fondazione che porta il nome di Tom Hurndall: il suo fine è battersi affinché vicende come quella non si ripetano. «Mi avete fatto male», ha sibilato a denti stretti Jocelyn Hurndall quando le fecero incontrare Tony Blair, e nel libro - s’intitola «Defy the Stars», sfida le stelle, il grido del Romeo scespiriano che Tom si era fatto tatuare sul polso - si domanda sorpresa come una donna tranquilla possa uscirsene con battute così stridenti. Non molto meglio andò l’incontro con Jack Straw, allora ministro degli Esteri. Lo trovò «distante e freddo». Forse è stata proprio quell’esperienza a farle scrivere il libro, affinché suo figlio non fosse dimenticato. Quell’11 aprile 2003 Tom, appena arrivato in Israele dopo un breve soggiorno a Baghdad, prendeva parte a una manifestazione con cui l’Ism, l’International Solidarity Movement, protestava per l’uccisione di una giovane attivista americana travolta da un bulldozer in una casa palestinese. Anche nel rievocare la vicenda di Rachel Corrie, Galvano non ha molto rispetto per i fatti. L'attivista dell'international Solidarity Movement non venne travolta da un buldozer, ma fu accidentalmente colpito da un detrito della demolizione, sollevato e scaricato dal buldozer. La casa demolita nascondeva un tunnel utilizzato dai terroristi per il contrabbando di armi. Questo, infatti, l'International solidarity movement aveva mandato Rachel Corrie a fare: proteggere con il suo corpo le attività di chi vuole fare strage di ebrei. Il gruppo non è infatti per nulla un'organizzazione "pacifista". Ricordiamo alcuni fatti relativi a questa organizzazione i cui attivisti sono noti per le loro pericolose attività in zona di guerra, che appaiono pianificate dai dirigenti con lo scopo di fare dei militanti gli scudi umani dei terroristi: "nel maggio 2003 la polizia britannica arrestò sei persone in relazione a un attentato terrorista al Mike's Place di Tel Aviv realizzato da due terroristi di cittadinanza britannica, Asif Mohammed Hanif e Omar Khan Sharif "I due probabilmente erano entrati nella striscia di Gaza e in Israele sotto la copertura di gruppi di "pacifisti" stranieri filo-palestinesi affiliati all'International Solidarity Movement (ISM)" (fonte israele.net) Nel marzo dello stesso anno, dal'tro canto, le " negli uffici dell'International Solidarity Movement a Jenin era stato trovato e arrestato un importante membro del gruppo fondamentalista terrorista palestinese Jihad Islamica. Il terrorista, responsabile di vari attentati terroristici anti-israeliani sventati in tempo dalle forze di sicurezza, era ospitato e nascosto negli uffici del movimento "pacifista" filo-palestinese. Fino all'ultimo due donne affiliate al movimento, una britannica e una canadese, avevano tentato di nascondere il terrorista ricercato e armato, per sottrarlo all'arresto." Improvvisamente alcuni colpi d’arma da fuoco furono rivolti contro un gruppo di bambini che giocavano su una collinetta. I più fuggirono, tre rimasero impietriti. E allora lui, forte del coraggio dei 21 anni e convinto che il giubbotto arancione dell’Ism gli desse una sorta d’immunità, si gettò in loro soccorso. Afferrò un maschietto e lo portò in salvo. Tornò per prendere due bambine e le stava afferrando quando cadde colpito. «Sapevo che non si sarebbe mai ripreso», ricorda la madre. E infatti a Londra morì, il 13 gennaio 2004. «La fine di un incubo». Ma anche l’inizio di una grande battaglia per quel figlio pieno d'ideali «morto in un modo così assurdo». La vicenda, così umana nella sua realtà, era finita nel tritacarne della politica. Da una parte i palestinesi che osannavano Tom come un eroe, e Arafat che scriveva ai familiari del ragazzo: «Adoriamo coloro che sostengono la nostra causa e ne soffrono, perché rappresentano la speranza». Dall’altra il tentativo israeliano di sfuggire a ogni responsabilità, nonostante il dossier messo insieme da Anthony Hurndall, il padre di Tom, avvocato. Prima un convulso tentativo per confondere i fatti: colpito da una mazza; no, forse vittima di un cecchino palestinese; può darsi che il cecchino fosse lui. Impossibile colpirlo da quella torretta, sentenziò il maggiore israeliano incaricato dell’indagine. Infine il processo, in cui si tentò di imputare la morte di Tom all’imperizia dei medici inglesi. Taysir Walid Heib fu condannato nell’agosto 2005 a 8 anni: la più severa sentenza, dall’inizio della seconda intifada, per l’uccisione di un civile. «Una giustizia limitata - dice Jocelyn Hurndall, stringendo il suo libro - perché Tom in realtà è stato vittima di un uomo che era a sua volta vittima». Da segnalare la presentazione dell'articolo. Si incomincia dalla titolazione, che sinteticamente riassume tutta la disinformazione e l'appello all'emotività dell'articolo: Un cecchino uccise suo figlio a Gaza«Mai fatta giustizia»Io, Io sola contro Israele “Abbandonata da Blair” FOTOGRAFO PACIFISTA Thomas venne colpito mentre stava cercando di salvare tre bambini UNA CONDANNA NON BASTA Otto anni di carcere al militare che sparò «È una vittima anche lui» Le immagini rafforzano l'effetto emotivo e presentano la solidarietà dei palestinesi con la vittima inglese degli "assassini israeliani". Sotto il titolo: Tom è un ostro eroe si trovano queste immagini:
1. Un ragazzo palestinese attacca un manifesto con il volto di Thomas Hurndall nel campo profughi di Rafah, Gaza
2.La madre di Thomas, Jocelyn, e suo figlio Freddy abbracciano due palestinesi
3. Taysir Wahid, condannato per l’uccisione dell’attivista inglese, condotto al processo
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