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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Avishai Margalit Etica della memoria 26/03/2007

Etica della memoria Avishai Margalit

Traduzione di Valeria Ottonelli

Il Mulino Euro 13

Candele dell’anima, come quelle che vengono accese nelle celebrazioni in memoria dei morti. Così la madre del filosofo israeliano Avishai Margalit vedeva il ruolo del popolo ebraico dopo l’irrimediabile distruzione della Shoah. Una prospettiva a cui il padre invece si ribellava. Per lui sarebbe stato di gran lunga preferibile "creare una comunità che pensa soprattutto al futuro e reagisce al presente".

L’etica della memoria, uscito in inglese nel 2002 e ora tradotto da il Mulino, non è certo un libro sulle discussioni in famiglia e nemmeno un pamphlet sull’Olocausto. E’ indubbio tuttavia che il fato ebraico vi giochi un ruolo dominante, sia nella scelta del tema sia nel modo in cui Margalit vuole tagliare il nodo gordiano che unisce la morale all’anamnesi del passato. Dai vigili del fuoco morti nel crollo delle Torri gemelle al rituale giudaico della sera di Pasqua, dal racconto evangelico del buon samaritano alla guerra del Kosovo, l’autore cerca un metodo dialogico per rispondere a una domanda tenacemente attuale: ci sono cose che abbiamo il dovere di ricordare? E in che misura questa memoria condivisa serve a rafforzare l’identità di un gruppo?

Margalit si sforza di non scrivere in "filosofese" e preferisce indirizzarsi a un lettore medio, abbastanza curioso per resistere alla sua prosa incalzante ma un poco erratica. Tra i filosofi del "cioè" e quelli del "per esempio" l’autore sceglie il partito dei secondi, ovvero di coloro che non procedono attraverso definizioni ma invocano casi concreti, e bisogna riconoscere che Margalit sa porgere gli aneddoti con buona vena di "flaneur" nella città dei libri.

Il vecchio vizio di aggrapparsi alle definizioni lo ha tuttavia contagiato più di quanto sia disposto ad ammettere, tanto che proprio su un distinguo tra due parole si basa gran parte dell’impalcatura concettuale del saggio. Da un lato l’etica e dall’altro la morale. Anziché considerare i due termini come sinonimi, il filosofo li attribuisce a sfere diverse dell’esperienza umana: nel pensiero di Margalit l’etica presiede alle "relazioni spesse", mentre la morale sovrintende alle "relazioni sottili". Genitore, amico, amante, connazionale: ecco gli esempi più immediati di relazioni spesse, nel senso di maggiormente intense e coinvolgenti.Più generiche invece le relazioni sottili, basate sulla comune appartenenza al genere umano.

Da questa premessa nasce il corollario apparentemente più polemico del libro e cioè la constatazione che le memorie condivise non sono morali. Il paradosso,in realtà, è presto spiegato se si tiene conto che per Margalit, soltanto le relazioni spesse, e in particolar modo l’appartenenza a una nazione, si fondano sulla costruzione di una memoria comune, intesa non come conoscenza oggettiva del passato ma come rappresentazione mediata e in parte mitica. Nel testo si coglie insomma una fatale attrazione dell’"ethos" verso l’"ethnos", ovvero una prospettiva quasi etnica dell’etica.

Se si accettano le coordinate lessicali proposte da Margalit, il libro ha in serbo pagine raffinate sul dovere di ricordare e sulla possibilità, altrettanto importante, di dimenticare. Ma cos’avviene ai riottosi, per i quali etica e morale restano semplicemente un medesimo concetto, espresso con un etimo greco e uno latino? Sono probabilmente destinati a restare in dubbio.

Il materiale raccolto da Margalit è comunque ammirevole per la sua variegata tessitura intellettuale e costringe a una salutare riflessione sui personaggi che agiscono nel teatro della memoria.

Giulio Busi

Il Sole 24 ore


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