Ritratto politicamente scorretto di Gino Strada l' operatore umanitario che non sopporta i rivali
Testata: Il Foglio Data: 24 marzo 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «La campagna mondiale di Gino Strada, l’umanitario politico»
Dal FOGLIO del 14 marzo 2007:
Kabul. “Abbiamo soltanto fatto quello che ci ha chiesto il governo. Siamo assolutamente estranei a qualsiasi scelta politica. Emergency non prende iniziative autonome e resta assolutamente estranea a quasiasi azione di politica interna o internazionale”. Anche se oggi rifiuta ogni responsabilità politica, rispondendo così al ministro D’Alema che a sua volta ha cercato di prendere le distanze a posteriori, l’organizzazione umanitaria di Gino Strada ha però sempre tenuto al suo prestigio – e al suo potere – di canale diplomatico privilegiato. E quindi ora non meraviglia che il fondatore sia intrappolato nelle polemiche per lo scambio di prigionieri tra cinque tagliagole talebani e il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Fosse stato per Strada, che non ha mai amato i militari, Mastrogiacomo sarebbe potuto tornare a Kabul in un convoglio di Emergency percorrendo 800 chilometri di strade dal profondo sud dell’Afghanistan dov’era rimasto in ostaggio per 15 giorni. Questa volta, Strada ha dovuto cedere e con tutto il suo staff umanitario e pacifista è salito, assieme all’inviato di Repubblica che non vedeva l’ora di tornare a casa, su un C- 130 dell’Aeronautica militare italiana che è andato a prendere il gruppone a Lashkargha, il capoluogo della provincia di Helmand infestata dai talebani. Questa volta l’eroica missione di recupero si è lasciata alle spalle alcuni “danni collaterali”. Adjmal Naqshbandi, l’interprete di Mastrogiacomo, che avrebbe dovuto essere liberato, è ancora nelle mani dei guerriglieri, come ieri ha dichiarato il feroce capo bastone talebano, mullah Dadullah, che ha promesso nuovi sequestri di giornalisti, visto il recente successo, e ha parlato di un’offerta da un milione di dollari fatta dal governo italiano in cambio del reporter. Rahamatullah Hanefi, capo del personale dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, è ancora in stato d’arresto per aver mediato, su ordine di Strada, con Dadullah per la liberazione degli ostaggi. Il fondatore di Emergency, che è un impulsivo per natura, ma poi fa velocemente marcia indietro,quando si rende conto di aver superato il limite, ha minacciato di chiudere l’ospedale di Kabul, per ottenere la liberazione del suo uomo, così “migliaia di pazienti protesteranno contro il governo afghano”. Un’altra grana che Strada sta cercando di sbrogliare è l’ira dei parenti di Said Agha, il povero autista afghano di Mastrogiacomo decapitato dai talebani. La famiglia della vittima ha protestato contro il governo afghano ed Emergency perché lo straniero è stato liberato e degli afghani non si sa nulla. Il problema è che i parenti non sono ancora riusciti a portarsi via dalla zona talebana il corpo del povero autista. Strada ha promesso di dare una mano con un convoglio di Emergency, ma essendo rimasto senza Rahamatullah ha perso l’unico collegamento con i talebani. Strada è nato a Sesto San Giovanni 59 anni fa. Dev’essere stata l’aria dell’ex cittadella operaia a farlo diventare di sinistra, al punto che all’Università Statale di Milano era a capo del servizio d’ordine del Movimento studentesco. Nel capoluogo lombardo si è laureato in medicina, ma pochi sanno che il fondatore di Emergency è diventato chirurgo di guerra grazie alla Croce rossa internazionale, salvo poi non mancare mai di criticarla. Nei primi anni Ottanta Strada rispose a un bando e poco dopo lo spedirono al “fronte”. La Croce rossa lo ha fatto lavorare in Etiopia, Thailandia, Gibuti, Somalia, Perù e Bosnia-Erzegovina. Fino alla svolta del 1994, quando Strada si sente abbastanza forte da far da sé. La prima esperienza senza l’ombrello della Croce rossa è nel Ruanda appena travolto dal genocidio. Gli esperti d’Africa ricordano come Strada avesse il chiodo fisso “di sostituire la neonata Emergency alla Croce rossa”, ma ben presto fu costretto a lasciare il paese perché era arrivato ai ferri corti con il nuovo regime tutsi. In Kurdistan fonda il primo ospedale, ma il vero terreno d’azione e battaglia di Emergency diventerà ben presto l’Afghanistan. Strada arriva nella valle del Panshjir quando è ancora vivo Ahmad Shah Massoud, che sarà l’ultimo baluardo contro i talebani. Ad Hanaba fonda un ospedale e i suoi medici cominciano a occuparsi anche dei prigionieri di guerra, compresi jihadisti legati ad al Qaida catturati dai mujaheddin di Massoud. A Kabul apre un altro ospedale, sotto il regno dei talebani, e un giorno un gruppo di scalmanati della polizia religiosa fa irruzione a colpi di frusta, perché le donne non sono nettamente separate dagli uomini. Nel 2001, durante la rappresaglia americana contro i talebani e i loro ospiti di al Qaida, Strada raggiunge il Panshjir a dorso di mulo. Abile nel preparare il ragù e la pizza, spesso la serve agli amici di passaggio con l’aggiunta del “nero” afghano. La leggenda vuole che Giulietto Chiesa abbia avuto un collasso assaggiando la pizza drogata. Strada è una prima donna, che ama i riflettori e nel suo intimo non sopporta i rivali, come Alberto Cairo, dell’odiata Croce rossa internazionale, soprannominato “l’angelo di Kabul” per i laboratori ortopedici che hanno fatto tornare a camminare migliaia di mutilati afghani saltati sulle mine. Cairo, schivo e apolitico, è per carattere e filosofia dell’intervento umanitario agli antipodi dell’irruento e politico Strada. Non a caso fra i due non è mai corso buon sangue. Ketty Tirzi, un’italiana veterana delle organizzazioni umanitarie che ha lavorato a Kabul, spiega che “lo staff di Emergency è composto da persone in gamba, anche se sono molto chiuse tra di loro. E’ la filosofia di Strada che spesso cozza con la realtà”. Lo stesso governo afghano aveva chiesto alla Tirzi “di mediare con le posizioni estreme” del chirurgo pacifista. Per non parlare delle scintille con i militari italiani del contingente della Nato. “Sono testimone di quando i soldati avevano portato la moglie di un afghano all’ospedale di Emergency, per un parto difficile – racconta la volontaria – si sono rifiutati di farli entrare perché avevano le armi, ma gli stessi militari qualche settimana prima, sempre armati, erano stati ben accolti per donare il sangue”. Dopo che l’Afghanistan è stato liberato dal governo talebano, il terreno era fertile per una nuova battaglia fra Croce rossa e Strada, che ha trovato la sua origine nella vicenda degli ostaggi italiani in Iraq. Anche in questo caso si sono scontrate due personalità opposte. Strada, diventato sempre meno chirurgo e sempre più attivista anti Berlusconi, e Maurizio Scelli, l’avvocato che nel 2001 si era candidato con Forza Italia e poi è stato nominato commissario straordinario della Croce rossa. Con la cattura dei primi ostaggi italiani e le mediazioni per liberarli, la Croce rossa ha fatto la parte del leone, nel campo delle organizzazioni umanitarie, occupando la scena. Strada ha cercato di infilarsi con l’intento meritevole di liberare i sequestrati, ma al contempo anche di dare una botta al governo italiano e soprattutto di recuperare visibilità. Quando è stato restituito a Scelli il corpo di Fabrizio Quattrocchi, ammazzato dai terroristi, a Baghdad circolavano le indiscrezioni più incredibili e macabre: “Il cadavere l’hanno dato alla Croce rossa, ma gli ostaggi vivi verranno consegnati a Strada”. Alla fine sono intervenuti i corpi speciali americani e hanno risolto il problema.
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