I tatticismi e le contraddizioni della politica estera italiana l'analisi di Angelo Panebianco
Testata: Corriere della Sera Data: 24 marzo 2007 Pagina: 1 Autore: Angelo Panebianco Titolo: «La coerenza che manca»
Dal CORRIERE della SERA del 24 marzo 2007
Comunque vada il voto di martedì sul rifinanziamento della missione in Afghanistan si è ormai capito che la politica estera dell'attuale maggioranza, tanto più dopo la vicenda Mastrogiacomo, sia un tale groviglio di contraddizioni da rendere improbabile che il governo possa durare ancora a lungo. Sembra che l'Italia sia condannata a esasperare, talvolta fino al parossismo, tendenze cui, per la verità, non sono estranei gli altri grandi Paesi dell'Europa occidentale. In Afghanistan si era ormai delineata una spaccatura evidente fra le democrazie anglosassoni, coadiuvate da alcuni piccoli Paesi europei, le quali per intero portavano, e tuttora portano, sulle proprie spalle il peso della guerra contro i talebani e le grandi democrazie dell'Europa continentale (non solo l'Italia, ma anche la Francia, la Germania, la Spagna) che invece preferivano stare a guardare: segno evidente che nelle opinioni pubbliche europeo-continentali è assente una generale e solida condivisione degli scopi della guerra al terrorismo che là si combatte, e un giudizio condiviso sulla importanza della posta in gioco. Per quella abitudine all' esasperazione di tendenze comuni che ci caratterizza, l'Italia è però riuscita a fare scelte e ad assumere atteggiamenti e posizioni che ci hanno isolato persino in Europa occidentale, come ha mostrato la presa di posizione contro di noi di Angela Merkel e, più in generale, l'assenza di solidarietà verso l'Italia, nella vicenda dell' ostaggio, di tutte le capitali europee. È anche possibile che agli altri europeo- continentali non sia parso vero di poter indicare noi italiani come gli unici reprobi, i veri campioni dell'ambiguità, quelli che legittimano i talebani e indeboliscono la credibilità del governo Karzai, per coprire in questo modo le «loro» magagne e le loro ambiguità. Resta da capire perché noi calchiamo la scena internazionale in questo modo. Secondo alcuni, è un vizio antico: risale a quando, dopo l'unità d'Italia, non fu chiaro né a noi né agli altri se fossimo la più grande delle medie potenze o la più piccola delle grandi potenze. Questa ambiguità, questa difficoltà di (auto)collocarci nel mondo, ha sempre condizionato, a volte anche molto negativamente, il nostro comportamento internazionale. Forse, anche da questa insicurezza di fondo deriva quel certo atteggiamento sbruffone e all'apparenza dilettantesco che talvolta ci caratterizza. Sostanzialmente, si tratta di una nostra incapacità di stare «nei nostri stracci», di adottare uno stile sobrio e ponderato adatto al nostro reale (non elevato) peso politico internazionale. Il precedente governo Berlusconi e l'attuale governo Prodi hanno fatto politiche diversissime ma con un punto in comune: la tendenza a spettacolarizzare la politica estera per fini esclusivi di consenso interno. Berlusconi si presentava come quello capace di fare dialogare Bush e Putin, di mettere insieme Occidente e Oriente. Si muoveva come se il peso internazionale di un leader non sia condizionato dalla potenza che egli ha dietro di sé. Il governo Prodi non è da meno. Prendiamo il caso della Conferenza di pace. Anche lasciando da parte (come si deve fare, per carità di patria) l'estemporanea idea di allargarla ai talebani, sappiamo tutti che è una proposta nata solo per dare un contentino alla sinistra estrema. Una volta portata sulla scena internazionale diventa però non solo una proposta politicamente inopportuna in questa fase della guerra, ma anche un'altra delle tante velleitarie iniziative di un Paese che non ha la potenza né la statura per sostenerle. Zigzagando fra piccoli opportunismi, tatticismi esasperati, doppiezze e manie di grandezza non si fa una politica estera capace di servire al meglio l'interesse nazionale. Nulla, infatti, aiuta di più l'interesse nazionale di una media potenza quale noi siamo di una solida reputazione di affidabilità, di capacità di mantenere gli impegni assunti. E, anche, di sobrietà. Il fatto che esista oggi la possibilità, come ha osservato Stefano Folli sul Sole 24 Ore, che l'Italia conceda in Afghanistan ciò che finora non aveva mai concesso agli Stati Uniti e alla Nato, ossia il rafforzamento delle nostre truppe e nuove regole di ingaggio, è un'ulteriore riprova di quanto sia difficile per noi tenere posizioni internazionali coerenti. Poiché ciò accadrebbe per rattoppare le lacerate relazioni con gli Stati Uniti e non per una nostra meditata e convinta volontà di fare quanto va fatto in quella guerra. E l'Afghanistan è solo il più importante dei nodi di politica estera che, al momento, non sappiamo sbrogliare. Nell'elenco andrebbero messi, per lo meno, anche i nostri ambigui rapporti con Hamas in Palestina e quelli con l'Iran. Il bilancio della nostra politica estera è dunque poco entusiasmante (per dirla con un eufemismo). Il governo Berlusconi aveva rapporti freddi e quasi ostili con i principali governi dell' Europa continentale ma coltivava almeno un saldo legame con gli Stati Uniti. Con il governo Prodi, le tensioni con gli Stati Uniti sono giunte al loro massimo storico senza la compensazione di un solido e aperto sostegno degli altri europeo-continentali. Nessuno aveva previsto quest'ultima circostanza.
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