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Il Giornale Rassegna Stampa
24.03.2007 Un governo antiamericano e poco serio
un editoriale di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 24 marzo 2007
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L'insostenibile leggerezza antiamericana»
Dal GIORNALE del 24 marzo 2007:

Quello che colpisce del contrasto fra l’Italia e gli Usa, il riflesso di antiamericanismo che si riverbera intorno a tutta l’attuale vicenda afghana, è la leggerezza con cui viene gestita, la vanità con cui si è coperta di esclamazioni la fondamentale questione se, infine, si sia o meno alleati degli Usa. Almeno la Francia di Chirac, che antiamericana lo è ben più dell’Italia, lo ha detto spesso, e si è impegnata a darne prova quanto ha potuto; almeno Bettino Craxi ai tempi di Sigonella non ebbe nessuna remora a mostrare quanto fosse antiamericano, aggressivo, indifferente al terrorismo il suo dispiegamento di orgoglio nazionale. Piacque anzi proprio per questo; e c’è sempre una riserva di consenso italico popolare su cui puoi contare nell’allusione gagliarda, un po’ fascista, a un qualche nostro sorprendente colpo di tacco che lasci di sale quei boccaloni degli americani. Insomma, è un elemento tanto vano quanto strutturale quello che ci spinge a essere, di sguincio, antagonisti degli Stati Uniti, a desiderare di averli fregati e di fregarli e la pericolosità di questo atteggiamento è seria, è grave dopo l’undici di settembre perché sottende, oggi, una questione basilare su cui non siamo insieme: quella del terrorismo. Loro sono pronti a combatterlo con tutti i mezzi. Noi invece no. Loro pensano che la loro Nazione non deve, non può sottrarsi dal fardello di coniugare democrazia con guerra, responsabilità con autodifesa. Noi, invece, seguitiamo a ripetere che guerra è una parola che non si deve pronunciare se non per rifiutarla, un concetto obsoleto e sorpassato, un’oscenità di fronte al quale il cuore europeo deve gridare «orrore». Somiglia alla stupidità? Sì, molte volte.MaD’Alema non è stupido. Quindi non si può pensare davvero che sia credibile il suo stupore dei giorni scorsi per la reazione americana alla vicenda Mastrogiacomo. Noi siamo il Paese che si è fatto un vanto di lasciare l’Irak, dopo che i politici al governo non hanno tralasciato neppure un tv show per dichiarare quanti errori e quante crudeltà gli Usa vi abbiano commesso; siamo quelli che durante la guerra del Libano non hanno fatto che condannare Israele (eccessivo!! Mentre gli hezbollah sparavano i missili zelzal fino a Haifa e i kassam su Kiriat Shmone e i soldati Goldwasser e Regev, quelli di cui non c’importa niente, restavano, e fino ad oggi restano, rapiti in mani abituate a fare a pezzi altri esseri umani). Siamo quelli il cui ministro degli Esteri, però, è andato a braccetto con gli hezbollah, che sono un’organizzazione terroristica internazionale, integralisti antioccidentali conclamati; abbiamo volentieri incontrato Assad e poi anche Ahmadinejad (Prodi l’ha fatto), sempre con un sorriso di troppo, sempre pensando che bastasse agli Usa la possibilità di un futuro uso tattico della cortesia italica per riabilitarci ai loro occhi. Adesso telefoniamo (che si chiami Craxi il soggetto poco importa, è un vice ministro del governo italiano) a quell’Ismail Haniyeh per promettergli aiuto e lui se ne fa vanto, mentre gli Usa aspettano con l’Europa intera che vengano accettate le condizioni del Quartetto. E Haniyeh non è un signor nessunomail Primo Ministro dell’Autonomia Palestinese, nonché capo di Hamas, che non solo intende dichiaratamente distruggere Israele, ma con la tv, i libri di testo, la propaganda indecente che usa bambini, l’accumulo di armi iraniane a Gaza, dimostra la sua immarcescibile volontà di fare la guerra. Siamo un Paese che non sente repulsione per l’idea di sedersi con i talebani, che non sa che la pace certo «si fa con i nemici», ma solo se essi non ti considerano immondo e da eliminare in base a un’idea religiosa e non politica. Anche quando ce ne siamo andati dall’Irak, mentre la piazza esprimeva soddisfazione antiamericana, siamo stati così furbi da cercare di contrabbandare l’idea che gli americani fossero d’accordo. Ed è piaciuto agli americani anche il nostro rifiuto al vertice di Riga di ascoltare le richieste della Nato? Anche la sfilata di Vicenza è piaciuta agli Usa? Enon si capisce chiaramente che c’è un nesso fra il nostro balbettamento di fronte alla guerra al terrore, all’eventuale modifica dell’impegno e delle regole d’ingaggio in Afghanistan e le pesanti difficoltà della missione dell’Unifil sul confine libanese israeliano? C’eravamo andati per restituire sovranità all’esercito libanese e ci ritroviamo gli hezbollah già riarmati con missili iraniani provenienti dalla Siria, come prima, pronti a attaccare Israele. Questi dati misurano la nostra distanza dagli Usa, senza bisogno di parole: incerti sul terrorismo, esitanti sul nostro impegno, siamo antiamericani nei fatti, perché non siamo coinvinti che gli Usa vadano aiutati nella guerra contro il terrorismo. Non siamo nemmeno sicuri che il terrorismo si chiami così. Nonostante la legittimazione, sempre rivendicata, da parte di Onu e Nato, il teatro afghano si dimostra sempre di più un campo di battaglia simile all’Irak. Così, seminermi, non ci stiamo a far niente

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