Pubblichiamo un’intervista di Alain Elkann ad Amos Gitai apparsa sul settimanale Specchio de La Stampa intitolata “Nostalgia dei vecchi pionieri”
Gitai, lei ha da poco iniziato a girare un nuovo film: ci può anticipare qualcosa?
“Si: il mio nuovo lavoro s’intitola Disengagement ed è ambientato nel periodo concitato in cui Israele ha lasciato la striscia di Gaza. Sullo sfondo di quel contesto si inserisce la storia di una relazione tra un fratello e una sorella”.
Un evento storico, quello: lei come lo giudica?
“E’ uno degli ultimi grandi gesti di attitudine volontaria della politica. Israele è stato governato da gente che pensava di forgiare la storia, che ha formato un esercito, che parlava una lingua…tutto attraverso questo volontarismo, un modo di essere e di agire diverso e contrastante con la tradizione ebraica di accettare le circostanze e “lasciarsi” fare: si progettava di fare la storia, anche (talvolta) in un modo disturbante”.
Quindi lei sostiene che, oggi, stiamo assistendo alla fine di Israele?
“E’ la fine della grande forza di volontà non religiosa e non fatalistica di Ben Gurion, Rabin e Sharon. Nonostante tutto, quella era comunque una grande sorgente di energia per il Paese. Ora che la generazione dei Padri è finita, siamo diventati manager, talvolta corrotti, che non hanno coscienza del valore storico del nostro progetto. Oggi non si sente più il progetto che ha fatto nascere Israele, la generazione potente dei pionieri è scomparsa. Nel mio film ci sono i riflessi del duello tra Sharon e i religiosi: gli dicevano che se lasciava Gaza lui sarebbe morto. Era lo stesso progetto di Rabin, ma Sharon e i suoi non hanno avuto paura delle minacce e il ritiro da Gaza c’è stato”.
E Olmert appartiene a questo mondo?
“Ora c’è gente furba, persone che non appartengono più a quel progetto storico. Il problema è questo: il Paese può sopravvivere senza il progetto e la forza dei suoi Padri?”
E il futuro?
Rabin sospettava che alla lunga gli integralisti avrebbero potuto mettere in pericolo la società civile e aveva paura: gli israeliani amano la vita e saranno in grado di sopravvivere anche in una regione così piena di minacce? Come Eschilo con le guerre persiane, la storia è ciclica. A proposito: mia madre è vissuta ed è morta a Haifa, a 94 anni, e nell’ultima parte della sua vita ha letto Eschilo. Le sue lettere saranno pubblicate in Italia da Bompiani. Comunque, la guerra in Libano si può leggere anche attraverso questi testi: non è importante la battaglia, conta chi alla fine vincerà la guerra”.
Quindi la pace ancora lontana?
“Si dovrebbe sempre parlare di pace, anche se questi giorni sono neri”.
Lei ha rapporti con i palestinesi?
“Naturalmente. Quando c’era la guerra l’attore palestinese Makram Khoury mi ha telefonato. “Ma dove sei?”,mi ha chiesto. E io: “Ad Haifa”:Lui: “Perché non vieni a casa mia a Ramallah? Io accetto rifugiati israeliani…..” Insomma, in tutta questa pazzia c’è ancora l’amicizia.
Ma questa strana vita, questa tragedia quanto durerà?
“L’ho chiesto al sindaco palestinese di Nablus e lui mi ha risposto che non possiamo permetterci di essere pessimisti. Non credo comunque che le parole siano abbastanza forti”.
Torniamo al film: con quanti attori lavora?
“Sullo schermo ci saranno l’attrice francese Juliette Binoche, Umberto Orsini, Asia Argento e poi molti attori israeliani, gli stessi dei film Kadosh e Kippur”
Quando sarà in Italia?
“Non so se riusciremo ad andare al festival di Cannes o a Venezia, comunque è presto, non posso parlare di festival: sono eccitato, da due anni non giravo un film”.
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