George Bensoussan Il sionismo Una storia politica e intellettuale 21/03/2007
George Bensoussan Il sionismo Una storia politica e intellettuale Einaudi
La parola «sionista», oggi risulta più un insulto che non una categoria storica, o l’individuazione di un contenuto politico-culturale. Il primo obiettivo di Bensoussan in questa sua imponente monografia è quello di restituire a questa parola uno spessore storico, il secondo è quello di delineare la fisionomia di un fenomeno politico che si colloca all’interno della famiglia dei nazionalismi politici ottocenteschi; il terzo è fare i conti culturali con un’esperienza politica che ha definito e forgiato una nuova identità e che a suo avviso termina alle soglie della seconda guerra mondiale, non con l’atto nascita formale dello Stato (15 maggio 1948) o il deliberato delle Nazioni Unite (29 novembre 1947). La data ad quem è costituita dalle decisione sulla fisionomia dello Stato (1942). Dopo, suggerisce Bensoussan, ciò di cui si discute è il terreno della politica concreta, delle scelte quotidiane. Lo scopo di Bensoussan è quello di ricostruire le vicende politiche che conducono dalla nascita formale di un’idea e di un movimento alla sua configurazione come società compiuta. Lo scontro e il confronto non è solo tra personalità forti, ciascuna con proprie fisionomie politiche, né tra modelli pensati di Stato o di comunità, o tra gruppi di culture nazionali che si confrontano per stabilire e affermare la propria egemonia. Ricostruire la storia del sionismo significa entrare nel merito di vari ambiti. Tra cui: descrivere lo scontro per definire il sistema di relazione tra fede religiosa, tradizione e sfera pubblica; tra sistema educativo e set di valori, ma anche e soprattutto su quale apparato scolastico definire delle politiche per l’alfabetizzazione. Significa uno scontro su quale debba essere lingua nazionale; su quale modello economico e societario definire la propria fisionomia, su come attuare una politica dell’insediamento e della distribuzione della propria presenza sul territorio; se si debba investire su un sistema economico urbano o di rete cooperativa; se e in che forma si debba o no costruire un nuovo ebreo e dunque quali legami professionali, sociali, culturali, etici definire con le popolazioni locali già presenti. Se si debba ripresentare su quello scenario il conflitto ideologico e politico delle proprie società di provenienza o se, invece, si debba costruire un sistema politico ex-novo. Se la forma della democrazia politica dei partiti sia la più adatta o, invece, debba prevalere un modello comunitario della rappresentanza. In breve la storia del sionismo prima dello Stato non è solo la storia della sua lenta formazione e di ciò che noi oggi abbiamo davanti, è la storia complessa e complicata di come si ricostruisce un’identità culturale questa volta fondata anche sulla presenza su un territorio percepito come luogo originario e non più come esperienza diasporica o esilica e dunque caricato di una dimensione ignorata dall’esperienza culturale della diaspora: quella del rapporto con la storia. Su questo piano la costruzione de “Il sionismo” di Ben- soussan è anche il risultato di tre diversi principi. Il primo riguarda la dimensione della storia; il secondo la percezione del ruolo di storico; il terzo il profilo culturale degli attori di cui intende ricostruire le vicende e, in particolare le scelte. Per quanto riguarda la prima questione come ha riconosciuto lo storico Yerushalmi è solo con l’abbandono dei ghetti che gli ebrei escono da una dimensione di memoria che costruisce la propria identità per entrare in una definita dalla necessità di pensarsi nella storia. Questo passaggio implica non solo misurarsi con le vicende del proprio tempo, ma anche mettersi in gioco “nel proprio tempo”. A proposito della seconda il problema è sapersi sottrarre alla dimensione di una storia partigiana, comunque di saper tenere fermi e ben visibili i molti attori sul campo, comunque di non trasformare quella storia in una vicenda solo di conflitti interni tra gruppi dirigenti. In merito alla terza questione si tratta di tener presente il fatto che per quanto la storia del sionismo abbia stretti legami con l’idea di tradizione, con il tema della continuità, valgono anche per il sionismo l’idea e il principio che nella storia e nel farsi della storia come dice un proverbio arabo «gli uomini somigliano al loro tempo più che ai loro padri ». Per comprendere il sionismo di questa visione storica noi dobbiamo avere coscienza. Il sionismo non è l’incarnazione di una idea consolidata e prescritta, ma è il risultato di un lungo “corpo a corpo” non solo con il mondo arabo o con i palestinesi, ma anche dentro il proprio gruppo. È attraverso questo “corpo a corpo” che prende corpo il sionismo, si costruisce una fisionomia e si definisce un “volto” attraverso un cumulo di scelte, una somma di decisioni non necessariamente coerenti e uniformi.