Gerusalemme resterà capitale di Israele, i confini non torneranno quelli del 67 l'ex ambasciatore all'Onu spiega le condizioni di una vera pace
Testata: Il Foglio Data: 21 marzo 2007 Pagina: 2 Autore: Amy Rosenthal Titolo: «Dore Gold, ex feluca all’Onu, traccia i confini invalicabili della difesa d’Israele»
Dal FOGLIO del 21 marzo 2007:
Roma. Dore Gold, già ambasciatore di Israele presso l’Onu, ora dirige un prestigioso think tank, il Jerusalem Center for Public Affairs. Oggi, a Roma, in occasione del seminario su “Defensible Borders for a Lasting Peace”, organizzato dalla Fondazione Magna Carta, terrà una conferenza sul tema: Difendere Israele: il Nodo di Gerusalemme”, nella quale verrà presentata la tesi sostenuta nel suo ultimo libro, intitolato “The Fight for Jerusalem”, in cui ha mostrato come la ri-divisione di Gerusalemme non faccia più parte di qualsiasi soluzione realistica per un accordo di pace con i palestinesi. Ci spiega perché: “Gli accordi di Oslo del 1993 hanno posto per la prima volta lo status di Gerusalemme sul tavolo dei negoziati, culminati nei colloqui di Camp David nel 2000, nel corso dei quali il presidente Clinton e il premier Barak presero in considerazione la possibilità di dividere la città. E’ questo punto che la questione non solo di Gerusalemme, ma dei futuri confini di Israele, è diventata un tema centrale nel dibattito”. Gore inoltre sottolinea come “nell’ultimo decennio le tendenze di fondo dell’islam radicale abbiano fatto sì che nemmeno i siti religiosi di tutto il medio oriente e in particolare quelli cristiani e musulmani) siano risparmiati dagli attentati”. Qualche esempio: la distruzione dei monumenti buddisti da parte dei talebani; il bombardamento delle moschee sciite irachene e pachistane da parte di al Qaida; l’attacco di Hamas alla chiesa della Natività a Betlemme nel 2002, con 200 persone in ostaggio. In effetti, questi episodi – suggerisce Gold – ci fanno capire che cosa farebbero gruppi islamisti palestinesi come Hamas e il Jihad islamico al Monte del Tempio, alla chiesa del Santo Sepolcro e alla città di Davide, nel caso riuscissero ad assumerne il controllo. “Mentre lo stato di Israele permette a cristiani e musulmani un libero accesso ai luoghi sacri di Gerusalemme, se si tiene conto delle attuali tendenze dell’islam radicale appare molto difficile che se ne potrà garantire la protezione e la sicurezza nel caso che cadessero sotto il controllo palestinese, e ancor più nelle presenti condizioni in cui si trova il governo diviso tra Hamas e Fatah”. Ma è possibile risolvere la questione dello “status di Gerusalemme” ponendo la città sotto la giurisdizione dell’Onu? “La mia esperienza al Palazzo di vetro mi ha insegnato che, in certe aree delicate, l’Onu non è riuscita a proteggere le popolazioni di cui si è assunta la responsabilità. Questo è ciò che è avvenuto negli anni 90 in Bosnia o quando l’ex segretario generale Kofi Annan si è rifiutato di permettere che le forze dell’Onu distruggessero gli armamenti usati nel genocidio delle tribù tutsi in Ruanda. Inoltre, nel 1948, dopo avere dichiarato che Gerusalemme avrebbe avuto lo status di città internazionale, l’Onu non fece nulla per fermare l’invasione di cinque eserciti arabi che circondarono la città subito dopo la fondazione d’Israele. Soltanto le giovani forze armate israeliane salvarono i 100 mila ebrei di Gerusalemme dallo sterminio”. “Dei confini difendibili permetteranno a Israele di proteggersi da sola, ma se Israele dovesse rinunciare a questa prerogativa, darebbe a ogni gruppo jihadista del medio oriente l’opportunità di unirsi a Hamas e al jihad islamico, il cui obiettivo fondamentale è la distruzione di Israele”. Molti sono convinti che Israele dovrebbe tornare ai confini del 1967, anche il piano saudita punta su questa ipotesi. Ma per Gold questa è una prospettiva irrealistica “perché minaccerebbe non solo la stabilità di Israele, ma anche quella dei paesi vicini. Innanzitutto, per esempio, gli estremisti islamici di tutto il medio oriente si riverserebbero in Giordania per usarla come corridoio di passaggio. Uno scenario di questo tipo avrebbe conseguenze devastanti non solo perché aprirebbe al movimento jihadista globale una via d’accesso a Israele, ma anche perché questa ‘visibile vittoria’ non farebbe che infondergli maggiore coraggio, dall’Indonesia fino al cuore dell’Europa”.
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