La liberazione del giornalista di REPUBBLICA Daniele Mastrogiacomo, avvenuta in seguito al rilascio di 5 terroristi afghani, viene coperta in modo sconcertante dalla STAMPA del 20 marzo 2007.
A pagina 5 l'articolo di un giornalista del sito militante peacereporter.net riporta il "j'accuse di Gino Strada": "Nessun aiuto dal governo Karzai".
Il fondatore di Emergency lamenta la scarsa prontezza del governo afghano a soddisfare le richieste dei talebani.
Sembra di sentire i rimproveri di un governatore coloniale, dimentico del fatto che, per gli afghani, i talebani sono coloro che li vogliono riportare sotto il gioco di una folle tirannia.
In prima pagina, sotto il titolo "Daniele libero, 15 giorni in catene", un riquadro con quattro titoli.
Tre riguardano il rapimento e la sua conclusione: "La polemica: Sul negoziato il gelo di Parisi e dei militari", Il sollievo di Prodi: E' andata bene però avevo temuto il peggio" , "L'accusa: Gino Strada "Da Karzai nessun aiuto".
Uno riguarda tutt'altro, ma confuso con gli altri serve a presentare sotto una nuova luce i talebani: "Il nobel dei deboli: Yunus "Ma quali terroristi sono soltanto poveri" .
Va rilevato che in realtà Yunus non ha parlato dei talebani e ha dichiarato soltanto che combattere la povertà elimina le radici del terrorismo. Affermazione falsa, perché il terrorismo islamici non ha nessun rapporto con la povertà, com'è ampiamente dimostrato, ma ben diversa da quella della STAMPA per la quale i terroristi nono sono terroristi, ma poveri.
Di seguito, l'articolo di Piovesana:
«Benvenuto Daniele, felice di vederti», gli dice Gino Strada abbracciandolo e proponendogli un tè e una doccia calda. Daniele Mastrogiacomo è arrivato all'ospedale di Emergency poco dopo la partenza della contropartita richiesta per la sua liberazione: i cinque talebani che si trovavano in catene nelle galere afgane. Si tratta di Abdul Latif Hakimi e Ustad Mohammed Yasir, consegnati dalle autorità afgane allo staff Emergency di Lashkargah già venerdì sera, e di tre «pesci piccoli» tra cui però c'è un tale Mansoor, fratello di uno di quelli che tenevano il coltello alla gola di Daniele. Questi ultimi sono stati trasportati a Lashkargah ieri mattina con un volo speciale organizzato da Emergency, dopo essere stati rilasciati a Kabul domenica, al termine di un'estenuante trattativa.
Una convulsa giornata
E' stata la scarcerazione di questi ultimi tre a sbloccare la lunga e sofferta trattativa per la liberazione di Mastrogiacomo. Alle 18 di domenica, sotto una pioggia torrenziale, due convogli di Emergency hanno attraversato il cancellone della tetra prigione di Pol-i-Charki e quello della Centrale di Polizia di Kabul. A bordo c'erano i tre «pesci piccoli» di cui il mullah Dadullah aveva chiesto la liberazione. Dal telefono di un membro dello staff di Emergency è subito partita la chiamata: «Dadullah, abbiamo i tre, sono liberi, li stiamo portando nel nostro ospedale». E dall'altra parte: «Bene, grazie, anche voi avrete subito il nostro prigioniero. D'ora in avanti lo tratteremo come un fiore».
Una giornata iniziata con la notizia che il terzo talebano, il mullah Mojaheed Sakhida, di cui il governo afgano aveva garantito la liberazione, non sarebbe stato scarcerato.
Il racconto di Gino Strada
Gino Strada è finalmente sorridente e rilassato dopo giornate di tensione e nottate in bianco. «Ho fumato tre pacchetti di sigarette al giorno», ci dice raccontando le ultime concitate fasi della trattativa con Dadullah, condotta a stretto contatto con Ettore Sequi, l'ambasciatore italiano a Kabul impegnato a premere sul governo afgano. «Venerdì sera avevamo tirato tutti un sospiro di sollievo. Dopo un'estenuante trattativa con le autorità afgane, avevamo ottenuto la consegna dei due portavoce talebani. E la promessa della consegna del terzo, Sakhida. Dadullah ci aveva risposto garantendo che Daniele sarebbe stato liberato non appena fosse stato rilasciato il terzo, e che fino a quel momento sarebbe stato trattato “come un mazzo di fiori”. Quando lo abbiamo richiamato per dirgli che il terzo non c'era, si è infuriato, urlando che Daniele sarebbe stato sgozzato».
«Il governo afgano - spiega il chirurgo - non è stato di grande aiuto. Lo sa bene l'ambasciatore Sequi, che ha speso ore e ore al telefono a litigare con ministri e funzionari afgani che si rifiutavano di eseguire gli ordini di Karzai. E lo sappiamo bene noi di Emergency: i servizi segreti afgani ci hanno messo dieci ore per consegnare ai nostri di Lashkargah i due prigionieri talebani che erano già nelle loro mani, lì in città, a cinquecento metri dall'ospedale». Poco dopo, verso ora di pranzo, mentre su Kabul si scatena un acquazzone, arriva il colpo di scena a riaprire una partita che rischiava di chiudersi malissimo: «Dadullah ci richiama - racconta Strada - dicendo che non gli importa più nulla di quel terzo talebano, quello che non vuole uscire di galera. Ne vuole altri tre, liberi entro il tramonto. Altrimenti Daniele muore. In un momento del genere, Karzai è arrivato a dire al suo ministro della Giustizia di muoversi senza avere fretta!». Solo dopo ore di concitate trattative i tre sono stati fatti uscire di prigione.
«In Italia - ci dice ancora Gino Strada - c'è una percezione distorta della realtà afgana.Come si può credere ai contatti millantati dal governo Karzai a Lashkargah, quando perfino il governatore di quella zona si è da mesi trasferito a Kabul per problemi di sicurezza? I talebani si sono rifiutati fin dal principio di trattare con questa gente. Qui non è mai esistito un altro canale oltre al nostro. Dadullah ha messo in chiaro fin da principio che avrebbe trattato solo attraverso Emergency, che anche in quella regione si è guadagnata la fiducia di tutti grazie al proprio lavoro e alla propria neutralità. E' grazie a questa fiducia che i talebani si sono fidati di noi. Una fiducia che in questi ultimi giorni, per colpa delle autorità afgane, abbiamo rischiato diverse volte di giocarci. Assieme alla vita di Daniele. Per fortuna ora lui è libero. E noi possiamo finalmente tornare a fare il nostro lavoro».
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