Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
L'antisionismo è una copertura dell'antisemitismo le dichiarazioni di Abraham B. Yehoshua
Testata: Corriere della Sera Data: 20 marzo 2007 Pagina: 19 Autore: Davide Frattini Titolo: ««L'antisionismo, copertura dell'antisemitismo»»
Dal CORRIERE della SERA del 20 marzo 2007 un articolo di Davide Frattini sulle importanti dichiarazioni diAbraham B. Yehoshua su sionismo e antisemitismo:
GERUSALEMME — «Sionismo è diventato una parolaccia ovunque nel mondo. Gli ebrei non possono più essere aggrediti pubblicamente, così chi vuole attaccarci dice di essere antisionista. Una posizione che si è trasformata in una copertura per l'antisemitismo». Lontano da casa, Abraham B. Yehoshua ha usato il palco di una conferenza a New York per difendere ancora una volta il Paese che ha lasciato dall'altra parte dell'Oceano. Anche perché, come ha detto in un altro incontro del tour americano, «il sionismo è stato fondato da scrittori». E da scrittore militante ha parlato più di politica che di letteratura: «È ovviamente possibile criticare le azioni e la condotta di Israele. Si può valutare e condannare la strategia dei governi. Ma non si può identificarla con il sionismo». Yehoshua suggerisce di trovare una definizione «ristretta» per il progetto nazionalista immaginato da Theodor Herzl alla fine dell'Ottocento: «È un sostenitore di questa idea chiunque creda che lo Stato d'Israele appartenga non solo ai suoi cittadini ma al popolo ebraico». Parla di idea e non di ideologia: «Puoi essere un sionista fascista, un sionista comunista, un sionista religioso». Lo scrittore, 71 anni, è convinto che limitare i significati della parola aiuterebbe a ridurre gli attacchi, «soprattutto dal mondo arabo»: «Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah, non cita Israele. Passa il tempo a ripetere "i sionisti, i sionisti, i sionisti..."». Era la prima volta che Yehoshua parlava a un pubblico americano, dal discorso del maggio 2006 che aveva fatto infuriare gli ebrei statunitensi, quando aveva proclamato che «solo chi risiede in Israele può vivere in modo totalmente ebraico. Per voi essere ebrei è come indossare e togliersi una giacca, per noi è la pelle». All'evento di New York, organizzato dall'associazione Dor Chadash, ha voluto chiarire il suo commento: «In Israele dobbiamo affrontare questioni morali che gli ebrei della Diaspora non sono costretti a prendere in esame. Mandare qualcuno in guerra o cacciare altri ebrei dalle loro case, com'è successo agli insediamenti della Striscia di Gaza, nell'estate del 2005». Ha spiegato quel termine «totale», che dieci mesi fa era stato preso come un'offesa: «Quando dico che voi siete parziali, non intendo affermare che noi siamo migliori e voi peggiori». Allo stesso tempo ha ripetuto il messaggio che già allora aveva causato la polemica: «Quello che voglio consigliarvi è che se la totalità è importante per voi, allora dovete venire a vivere in Israele, perché la realtà è là e non qua». Il dibattito attorno al sionismo si è riaperto anche in Israele, quando un gruppo di intellettuali arabi ha proposto una «costituzione» per dividere i poteri e il controllo del governo tra maggioranza e minoranze. Il documento immagina uno Stato «bilingue e multiculturale» e cancella la definizione di «ebraico». Gadi Taub, filosofo che insegna all'università di Gerusalemme, ha attaccato la sinistra (da elettore laburista) per aver «svalutato l'idea di identità nazionale». Più che criticare gli arabi israeliani, Taub se la piglia con i partiti come Meretz e i quotidiani alla Haaretz, «quella sinistra post-sionista che si sente bella e virtuosa e che ogni anno si ritrova in piazza Rabin, come se fosse l'unico movimento a volere la pace e la giustizia»: «Il vero democratico, come capirono i rivoluzionari americani e francesi, è un patriota ed è il patriottismo che permette di estendere il diritto di voto».
Di seguito, un'intervista allo scrittore israeliano Etgar Keret, con alcune nostre ossservazioni:
GERUSALEMME — Leggere Mattatoio N. 5, nelle ore tra un turno di guardia e l'altro. Sotto le armi e con il libro di Kurt Vonnegut, Etgar Keret, 40 anni, si è staccato dalla generazione di scrittori che lo ha preceduto. «Ho capito di poter raccontare storie senza dover dare risposte, senza offrire soluzioni ai problemi. Non voglio criticare Amos Oz o Abraham B. Yehoshua: quando una nazione è giovane e sta formando la sua identità, c'è bisogno di gente che ti guidi, anche con la letteratura. Adesso gli scrittori possono scegliere. Se capisco qualcosa della condizione umana, non vuol dire che so come raggiungere la pace in Medio Oriente». Keret (il prossimo libro a uscire in Italia sarà Missing Kissinger, e/o) non si sente un nazionalista e trova difficile dichiararsi sionista. «La parola è diventata come un cestino che tutti riempiono con quello che vogliono. Quando discuto con i miei amici palestinesi, sionismo vuol dire razzismo. Per i miei genitori, sopravvissuti all'Olocausto, significa aver costruito uno Stato dove proteggere e difendere gli ebrei». Prova a dare la sua definizione. «Io mi considero sionisticamente indifferente. Se è un progetto nazionalista, allora sono contro. Se è l'idea di un rifugio per gli ebrei perseguitati, sono a favore.
E' difficile distinguere le due cose. Di fatto la storia ha dimostrato che solo uno Stato a maggioranza ebraica puù essere un rifugio sicuro per gli ebrei perseguitati
Quando ripetono che lo Stato israeliano deve essere ebraico è come proclamare che noi siamo i cittadini superiori di questo Paese. Invece dovremmo dire che questo Paese accoglie gli ebrei».
In Israele nessuno pensa di togliere i diritti o discriminare i cittadini non ebrei. Al contrario, che pensa di alterare il carattere ebraico di Israele, in particolar modo cambiandone la demografia, ben difficilmente sarebbe poi disponibile ad "accogliere gli ebrei"
Trasforma in un manifesto l'accusa di essere un qualunquista e di aver rinunciato all'impegno: «Se Van Gogh e Gauguin vengono a dipingerti la casa, magari sarà stupenda da vedere, ma alla prima pioggia il colore viene lavato via. Meglio un imbianchino che sa fare il suo lavoro. Io non sono un politico, sono uno scrittore. In Israele tutti si sentono il primo ministro, dal taxista al professore universitario. Tutti hanno un piano. Invece è il momento di porre le domande giuste, anche senza avere le risposte».
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