venerdi 01 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Giornale Rassegna Stampa
20.03.2007 I rischi di un'apertura di credito al governo Hamas-Fatah
un editoriale di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 20 marzo 2007
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Finanziamenti pericolosi»

Dal GIORNALE del 20 marzo 2007, un editoriale di Fiamma Nirenstein:

Adesso che i palestinesi hanno avviato il loro governo di coalizione fra Fatah e Hamas, prima di decidere quale rapporto bisogna intrattenere con i suoi membri, due elementi vanno valutati a fondo: quello politico, ovvero a che cosa porterà la scelta di riconoscere o meno il nuovo esecutivo, e quello economico, ovvero a che cosa porterà dal punto di vista pratico un’eventuale ripresa dell’aiuto economico pieno e alla luce del sole ai palestinesi.
Naturalmente, lo scopo di fondo del Quartetto è quello di aiutare la pace in Medio Oriente, e quindi questo è il metro del giudizio complessivo. Mi sembra scapestrato e poco responsabile precipitarsi a pensare che l’accordo fra Hamas e Fatah vada oltre l’indubbio buon risultato di far diminuire lo scontro sanguinoso fra le due fazioni. Per ora non sono di quest’idea né gli Usa né l’Ue nel suo complesso, che dicono una cosa molto semplice: se il governo Abu Mazen-Hanyeh ha buone intenzioni, può accettare la richiesta del Quartetto di riconoscere lo Stato di Israele e cessare dal terrorismo. La Russia e la Norvegia (che ha già mandato il suo viceministro degli Esteri a incontrare Hanyeh) che non fanno parte dell’Unione Europea, fanno da battistrada, Italia, Spagna e Irlanda, che invece ne sono parte, cercano di tirare verso la riqualificazione del governo con Hamas. Ma a Hamas si volle dar credito quando vinse le elezioni nel dicembre del 2005, ed esso ha scelto tuttavia la via di uno stretto rapporto con Ahmadinejad, della feroce reiterata intenzione di distruggere Israele in base a principi religiosi, di fare di Gaza una rampa di lancio di missili kassam. Le linee antioccidentali estremiste e antisemite della sua carta di fondazione (basta darle un’occhiata su Internet per verificare quanto sto dicendo) sono identiche, Gaza liberata invece che in esperimento di indipendenza e responsabilità è divenuta una casamatta di missili e esplosivi, oltre che una caserma di milizie pronte alla guerra.
Il governo di Abu Mazen con Hamas nasce di fatto con la conferenza della Mecca di metà febbraio: qui i sauditi cercano, con un accordo compensato con ricchi finanziamenti, di riconquistare un po’ di egemonia sunnita a fronte dell’Iran che stringe accordi anche con Hamas, secondo le dichiarazioni orgogliose dei leader stessi dell’organizzazione integralista, e che tramite gli Hezbollah e la Siria domina le politiche mediorentali. I Sauditi sanno bene che il Quartetto richiede che il nuovo governo riconosca l’esistenza di Israele, ma Abu Mazen sente che Khaled Mashaal e Ismail Hanyeh, i capi di Hamas, sono più risoluti, più forti, più sostenuti dalla popolazione, e con molto sforzo trova lo spazio per i suoi ministri e per qualche frase ambigua che lascia intatta la linea del non riconoscimento. Intanto i sauditi lanciano, parlando con Israele, un’altra offensiva egemonica, quella della proposta di Beirut nel 2002. Arafat non vi andò perché era assediato alla Mukata, gli attentati terroristici impazzavano, e vi andarono invece Farouk Kaddumi e Sakher Habash, consigliere di Arafat, che approvarono il piano saudita perché conteneva la clausola del ritorno dei profughi, oggi 4milioni e 300mila persone, oltre alla promessa di riconoscere Israele se si fosse ritirato nei confini del ’67. «Uno Stato non accanto ma al posto di Israele» disse Kaddumi e Habash aggiunse che «il diritto al ritorno è il nostro trionfo perché significa la distruzione di Israele».
La formazione del governo di coalizione si è accompagnata al rilancio del piano saudita di cui si sta per discutere al summit arabo di Riad, e che Israele vorrebbe accettare purché fosse cambiato il punto del diritto al ritorno. Ma Hamas e Fatah su questo sono ben uniti, come Abu Mazen ha ribadito: al palato europeo questo appare meno estremista del proclama di Hanyeh nel giorno dell’insediamento di volere usare «qualsiasi forma di resistenza», ovvero, il terrorismo. Ma ambedue le intenzioni, quale che sia la ambigua posizione di Abu Mazen sul terrore, sono estremiste e distruttive per qualsiasi prospettiva di pace. In pratica, i due partner perseguono con strategia diverse lo stesso fine, quale che sia l’hudna (la tregua) che, poco realisticamente, potrebbe essere proclamata. I sauditi non avranno bisogno di cambiare il loro piano. Oltretutto i Paesi arabi come Siria e Libano dove vivono profughi palestinesi, conservati e moltiplicatisi senza cittadinanza al contrario di tutti gli altri profughi del mondo in una sorta di infelice riserva belligerante e sofferente (oltretutto fra Israele e Paesi arabi c’è stato un autentico scambio di popolazione, 700mila ebrei dai Paesi arabi, 700mila palestinesi verso i Paesi arabi) forse preferirebbero vederli sistemati altrove.
Dunque, governo palestinese e conferenza dei ministri degli Esteri della Lega Araba a Riad nel prossimo fine settimana nascono uno all’ombra dell’altro, ambedue con l’intenzione di creare fate morgane che non cambiano la sostanza delle cose; è chiaro che Israele non può accettare, e l’ha già detto, un piano che contiene la promessa della sua distruzione, anche se Abu Mazen chiede di parlare con lui e non con Hamas, che è più potente.
Israele, è stato titolato da molti giornali, rifiuta di collaborare con i palestinesi? La verità è che i palestinesi hanno rifiutato le basilari e modeste condizioni del Quartetto per potere riprendere un rapporto normale, e hanno scelto di nuovo di promettere morte a Israele. Quanto alla necessità dei palestinesi di essere aiutati a sopravvivere, essa ha tutto il nostro rispetto: ma se guardiamo le cifre dichiarate dall’ex ministro delle Finanze dell’Autonomia Samitr Abu Aisha, sembra che l’aiuto straniero dall’estero sia raddoppiato nel 2006: oltre ai 426 milioni di dollari dell’Unrwa, 720 milioni sarebbero stati donati direttamente ad Abu Mazen, mentre l’anno precedente sarebbero stati donati solo 350 milioni dollari. Quanto a Hamas, ha avuto i suoi donors per centinaia di milioni. Forse sono una goccia nel mare del bisogno di strutture e infrastrutture palestinesi, ma data la fioritura di armi a Gaza, certo la destinazione dei finanziamenti richiede un esame attento.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Giornale


lettori@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT