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La Stampa Rassegna Stampa
18.03.2007 Israele e la faccia del nemico. Diversi, circondati da un mondo uniforme
Elena Loewenthal racconta gli scrittori d'Israele

Testata: La Stampa
Data: 18 marzo 2007
Pagina: 39
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Israele e la faccia del nemico»

Sulla STAMPA di oggi, 18/03/2007, una pagina del culturale con un pezzo di Elena Loewenthal, accurato e attento, sulla letteratura israeliana. Seguono due brevi anticipazioni dei prossimi romanzi di Amos Oz e A.B.Yehoshua.

Anche questa è normalità: una classe politica al collasso dei consensi. Scandali sessuo-finanziari all’ordine del giorno. Perplessità sociale diffusa. Per un paese che vive da sempre in stato di guerra e di emergenza fisica, tutto ciò è quasi salutare. Eppure, Israele ha un quasi vicino di casa che un giorno sì e uno anche inneggia alla sua distruzione.
«Mettersi nei panni degli altri» pare peraltro essere il dettato comune della grande scrittura israeliana di oggi. È il nitido messaggio che si trasmettono autori come Amos Oz, A.B. Yehoshua, David Grossman. Il primo dice sempre che darebbe una bella fetta di anni della propria vita pur di essere, anche soltanto per una settimana, una donna: sperimentare il mondo dall’altra metà del cielo. Per Grossman, mettersi nei panni degli altri è il requisito per fare della scrittura una terapia di civiltà, cercando di immedesimarsi nell’«Altro»: soprattutto quel «nemico» che esiste da quando esisti tu, cittadino israeliano. La scrittura di Yehoshua, l’autore che più di tutti invoca la «normalità» d’Israele, è sempre l’opera di un formidabile trasformista della personalità, capace di essere continuamente qualcun altro.
Esplorazione oltre i confini della propria identità, la fatica di conoscere l’altro: in questo senso la scrittura israeliana può dirsi «militante». Questo impegno è conseguenza, certo, della situazione storica. Una vita quotidiana da sempre immersa nella guerra o nel conflitto, crea una sorta di urgenza nello scrivere: gli scrittori israeliani sono assediati dalla realtà.
Il desiderio di conoscere l’altro «dall’interno», come scrive David Grossman, è uno dei moventi fondamentali della scrittura. Un impulso irrefrenabile ma anche lo scopo dell’opera letteraria. La scrittura come esercizio di alterità, come continuo esperimento a mettersi nei panni del prossimo, ha però, nel panorama culturale israeliano d’oggi, anche un’altra faccia della medaglia.
Se questi autori non scrivono per lo più di se stessi, ma degli «altri» – siano essi le donne, gli arabi, un vicino di casa – è anche vero che il processo letterario diventa inevitabilmente un’esperienza dell’Io. Tutta l’ultima fase creativa di Oz, compresa la novella «Rhyming Life and Death», in uscita in Israele in questi giorni, è segnata da una profonda, a volte spietata, indagine nel proprio vissuto. Questo incrocio di percorsi– l’altro e se stessi – porta ultimamente a delle conseguenze assai significative. Ancora una volta, gli orizzonti si allargano per comprendere un’esperienza storica e culturale ampia; ancora una volta la dinamica fra Diaspora e Israele, fra esilio e ritorno, si affaccia alla storia dell’ebraismo.
Con quel sofferto processo cognitivo che è la scrittura, gli autori israeliani scoprono le fattezze del destino ebraico annidate persino dentro una realtà nazionale che dovrebbe essere l’opposto di tutto ciò. Il senso di precarietà, un rapporto travagliato con il futuro («...ma soltanto della possibilità che esista un futuro. Della salda fiducia nell’eventualità che Israele esista effettivamente ancora molti anni. Una prospettiva, questa, che ancora per molti in Israele non è affatto sicura.», scrive Grossman in un saggio che sarà presto pubblicato da Mondadori). La consapevolezza di essere “diversi” in un mondo uniforme che ti assedia: tutto questo è, per colpa delle circostanze storiche, ancora parte del presente per Israele e per i suoi scrittori. È la voce antica, sentita sino allo spasimo, del destino ebraico.

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