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La Stampa Rassegna Stampa
17.03.2007 Leggere Furio Jesi, non Ariel Toaff
il consiglio di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 17 marzo 2007
Pagina: 8
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Altro che Toaff,leggete Jesi»

Dal supplemento Tuttolibri della STAMPA di oggi, 17/03/2007, riportiamo l'articolo di Elena Loewenthal, che sull'argomento sciaguratamente affrontato da Ariel Toaff, suggerisce di leggere Furio Jesi, con il suo " L'accusa del sangue", ritampato dall'editore Morcelliana.

I preparativi per la Pasqua ebraica, la cui vigilia cade il 2 aprile, già sono all'orizzonte della vita quotidiana. Sono lunghi, questi preparativi domestici. Ma nulla in confronto agli strascichi che un libro recente ha portato con sé. Il libro è, a quanto pare, ormai un oggetto assente. Del resto, se n'è parlato ancora prima che esistesse. Si tratta, naturalmente e tempestivamente (la pirotecnica del lancio mediatico non ha trascurato le scadenze del calendario) di Pasque di sangue di Ariel Toaff.
Il suo ciclo di vita è stato breve ma intenso: anticipazione rutilante, stroncature unanimi sul fronte scientifico, subbuglio familiare e accademico, ritirata e infine, sull'onda di tutto ciò, grida allo scandalo in nome della libertà d'espressione.
Se forse ancora qualcosa resta da dire, è che tutta questa storia pare all'insegna dell'ambiguità. Quali motivazioni possono aver spinto uno storico capace come Toaff ad abdicare così alla propria professionalità, scrivendo un'opera dove indicativi e condizionali sono intercambiabili? E' questo che ha dettato lo sdegno generale: l'ambiguità di un'operazione in cui uno studioso che ha sempre saputo fare il proprio mestiere un bel giorno dimostra di averlo disimparato e di usare tutto quel che non sa (o non sa più) per fini imperscrutabili come quello di dimostrare una perniciosa falsità storica. E l'incoerenza di esclamare che avrebbe difeso i propri argomenti fino in fondo, per poi ritirare il libro a una settimana dall'uscita, revocando una battaglia «intellettuale» appena ingaggiata: una resa troppo comoda se, come sostiene Toaff, a farne le spese è stata la verità storica. Se così fosse, la verità storica avrebbe meritato qualche sacrificio in più: invece, con un transfert quasi istantaneo, il ruolo di vittima è passato dalla verità storica all'autore del libro. L'università israeliana aveva del resto pieno titolo per revocare la posizione di uno storico che con questo libro dà prova di avere disimparato il mestiere. Invece di censurarlo (cosa cui ha provveduto da solo. Ma se tanto credeva in questo libro, perché non ha rinunciato alla cattedra, caso mai?) ha preferito, con un procedimento tipicamente ebraico, porre l'individuo di fronte alle proprie responsabilità. E la libertà di parola comporta inevitabilmente un'assunzione di responsabilità. Per dirla altrimenti, parlare a vanvera non è solo una leggerezza, anche una colpa - verso se stessi e soprattutto verso coloro che ti ascoltano. Civiltà (esclusivamente) della parola, l'ebraismo ha per essa una grande considerazione, nel bene e nel male.
Quanto alla lettura, non è Toaff che si raccomanda qui. Piuttosto, Pasqua 1475. Antigiudaismo e lotta alle eresie: il caso di Simonino di Gianni Gentilini (medusa, pp. 207, e18). Ma soprattutto, con nostalgia, un saggio di Furio Jesi riedito nel 1992 da Morcelliana: L'accusa del sangue. Mitologie dell'antisemitismo. Uno studio geniale come era sempre lui. Partendo dall'affaire di Damasco, Jesi sale alle radici del tabù del sangue. Un libro indispensabile per capire questa bruttissima storia. Bollati Boringhieri lo riproporra a maggio.

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