Da LIBERO di oggi, 17/03/2007, a pag.11, pubblichiamo l'analisi di Angelo Pezzana sul governo Hamas-Fatah.
Niente di nuovo sul fronte palestinese, vien da concludere dopo l’accordo tra Hamas e Fatah per il nuovo governo di unità nazionale. Che questo fosse il risultato l’avevamo scritto su queste colonne sin dall’inizio dei colloqui. Abu Mazen sempre indeciso su quale strategia adottare, con il risultato di rendere manifesta la sua debolezza, e Hamas, con la sua rete di iniziative terroristiche contro Israele, che si è confermato l’alleato più forte, quello dal quale dipenderà la politica del nuovo governo. I buoni uffici dell’Arabia saudita, levatrice della stretta di mano fra Abu Mazen e Haniye, hanno partorito un governo che non darà vita a nessun cambiamento. I patti sottoscritti precedentemente con il Quartetto continueranno ad essere disattesi, e Hamas, alla guida del governo, continuerà a non riconoscere Israele. E il terrorismo, a giudicare dall’enorme movimento di armi che stanno entrando via Siria e Iran nella striscia di Gaza, tornerà tra breve a far sentire la sua lugubre voce. In quanto alla attribuzione dei ministeri Hamas supera Fatah non solo nel numero ma si avvantaggia anche con le esclusioni. Mohammed Dahlan, il capo del Fatah a Gaza, che non da oggi è uno dei pochi politici ad avere dimostrato un certo realismo, non ha ottenuto nessuna poltrona. Un altro segnale che certifica chi ha vinto e chi ha perso nelle trattative. Se poi si guarda all’interesse immediato che entrambe le parti avevano per giungere ad un accordo, salta agli occhi l’esigenza comune di riaprire i rubinetti dei finanziamenti occidentali. Che, se concessi, finiranno molto probabilmente per alimentare la guerra contro lo Stato ebraico. Il governo Olmert lo sa benissimo, ma la reazione del governo di Gerusalemme, almeno nell’immediato, sembra essere di prudente attesa, anche se nel programma il nome di Israele non appare, sostituito da quello di “ occupante “, e non si parla più di due Stati come soluzione, mentre viene ribadita la richiesta della liberazione delle “ terre palestinesi “, senza specificare quali. Quello che non viene detto può essere compreso in modo “ implicito “, come osserverebbe il nostro acuto ministro degli esteri on.D’Alema. Ma con le affermazioni implicite non si fa nessuna pace, si mettono invece le basi per una nuova guerra. Questa può essere la spiegazione del perché il premier Olmert non ha chiuso la porta in faccia al nuovo governo, malgrado la richiesta gli venisse fatta dal suo vice Avigdor Lieberman. Mantenere un canale aperto con il Fatah di Abu Mazen non significa un riconoscimento ufficiale, ma può essere utile per quanto riguarda la sicurezza e la lotta al terrorismo e la situazione dei palestinesi nei territori. Come dire, se Abu Mazen è nel governo, questo significherà pur qualcosa. Anche se non si capisce come il portavoce Mustafa Barghouti possa affermare che se Israele vuole la pace deve riconoscere il nuovo governo. Il quale però, non solo non riconosce a Israele il diritto di esistere, ma non lo nomina nemmeno nei suoi documenti, sostituendolo con “ Entità sionista “e “ Stato occupante “. Scrivevamo prima, niente di nuovo sul fronte palestinese, è vero, tranne forse l’infinita pazienza di Israele che, tra una guerra di difesa e l’altra, non cessa di sperare che alla fine la speranza di pace non stia solo dalla sua parte ma illumini anche il campo avverso. Se capiterà sarà un miracolo, e da quelle parti chi non crede nei miracoli non è realista, come diceva David Ben Gurion.
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