sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.03.2007 Per combattere il terrorismo... lasciamo sola l'America
la proposta di Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 marzo 2007
Pagina: 43
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Basi Usa per la guerra al terrorismo? Meglio non averle»

La guerra americana al terrorismo alimenta il terrorismo, favorendone il reclutamento.
Quindi, meglio non allargare la base di Vicenza, che a quella guerra deve servire.
Lo sostiene Sergio Romano sul CORRIERE della SERA del 15 marzo 2007, rispondendo a un lettore.
Il sofisma dell'ex ambasciatore conduce a una conclusione esorbitante rispetto alle premesse.
E' vero che il terrorismo, mentre viene colpito militarmente,  recluta nuovi adepti, ed'è vero che per sconfiggerlo occorre sconfiggere l'ideologia islamista, obiettivo che non può essere raggiunto con la sola forza delle armi.
Questo non significa, però, che si possa sconfiggere il terrorismo senza far uso delle armi, senza abbattere i regimi che lo sostengono e senza prendere il controllo dei territori che ne sono divenuti i santuari.

Ma forse la realtà è semplicemente che Romano si llude che i destini dell'Europa possano essere separati da quelli degli Stati Uniti.
Non partecipare alla guerra al terrorismo americana, allora, non vorrebbe dire sconfiggere il terrorismo, ma ammansirlo.

Di illusione si tratta, perché il fondamentalismo islamico è un'ideologia nemica giurata dell'Occidente  e delle democrazie liberali.
La scelta di non difendersi dai suoi attacchi non ci garantirebbe la sicurezza, a meno che la sottomissione non fosse totale.


Ecco il testo: 

Nella sua risposta sulle basi americane in Italia, lei conclude con la domanda se tali basi contribuiscano alla nostra sicurezza. La risposta non è agevole, anche se occorre tenere presente che i velivoli dell'Aeronautica o le navi della VI flotta della Marina statunitensi proprio indifferenti a tale sicurezza non lo sono. Per completare il ragionamento, però, sarebbe più opportuno aggiungere un'ulteriore domanda: quando il nostro Paese sarà in grado di diventare un «produttore» di sicurezza e non un «consumatore»? L'Italia dedica, da fin troppo tempo, poca attenzione e poche risorse a questi temi; lo dimostra il fatto che le nostre Forze Armate sono diventate tra quelle che, in ambito Nato e Ue e in termini relativi, ricevono meno fondi, così pochi da essere costrette, a breve, a ridurre sensibilmente i propri organici e, di conseguenza, le proprie capacità operative e i propri impegni. E allora, se il nostro Paese vuole, veramente, ridurre o affrancarsi del tutto dalla presenza di basi straniere, se vuole acquistare maggior peso sulla scena internazionale, è giunta l'ora che si assuma in pieno le proprie responsabilità e che elabori, finalmente, politiche di sicurezza e di difesa adeguate e coerenti.
Giovanni Martinelli
giova.mart@tin.it
Caro Martinelli, lei ha sollevato spesso su questa pagina il problema della politica militare italiana e lo fatto sempre con argomenti convincenti. È vero che l'Italia spende troppo poco per la propria sicurezza. Ed è particolarmente vero in un momento in cui tutti i governi italiani, di destra o di sinistra, ritengono utile promuovere l'immagine del Paese nella politica internazionale inviando missioni militari talora encomiabili, ma troppo numerose per i nostri mezzi. I pochi soldi di cui dispongono le forze armate vengono così impiegati per mantenere presenze militari che stanno divorando le risorse del bilancio e impoverendo l'arsenale del Paese. È giusto quindi sostenere, come lei fa nella sua lettera, che la difesa dell'Italia richiede un maggiore impegno finanziario.
Ma nel caso delle basi americane in Italia e in particolare di quella che gli Stati Uniti intendono raddoppiare a Vicenza, dovremmo chiederci anzitutto se questa presenza possa sopperire alle nostre carenze e garantirci una maggiore sicurezza. A questa domanda ho cercato di rispondere osservando che gran parte della strategia americana sembra essere dominata dalla necessità della «guerra al terrorismo». Abbiamo visto negli ultimi tempi come gli Stati Uniti concepiscano questa guerra. Hanno invaso l'Afghanistan come se l'operazione potesse esaurirsi nella eliminazione di un regime che aveva ospitato sul proprio territorio le milizie di Al Qaeda e hanno trascurato per molto tempo il problema della ricostruzione economica e civile del Paese. Con il risultato che il maggior problema oggi è la riconquista del territorio. Il caso iracheno è ancora più drammatico. Gli Stati Uniti hanno invaso il Paese con motivazioni infondate e con un contingente militare inadatto al controllo del territorio. E hanno suscitato una nuova guerra, molto più micidiale e sanguinosa. Se è questo l'uso che gli americani intendono fare delle loro basi dislocate nei cinque continenti, siamo davvero sicuri che la base di Vicenza possa garantire la nostra sicurezza? Molti si chiedono ormai da tempo se all'origine di questi errori non vi sia proprio il concetto di guerra al terrorismo. In un articolo apparso nell'International
Herald Tribune
del 9 febbraio, Joseph S. Nye jr., professore dell'università di Harvard e alto funzionario dell'amministrazione Clinton, ci ricorda che il maggior problema, nella lotta contro il terrorismo non è quello di sventare attentati e arrestare sospetti. La maggiore esigenza è quella di evitare che le organizzazioni terroristiche riempiano i vuoti dei militanti arrestati o uccisi con nuove reclute. L'espressione «guerra contro il terrorismo» ha fornito ai dirigenti delle organizzazioni islamiste l'occasione per affermare che l'America è in guerra contro l'Islam e che i giovani hanno quindi l'obbligo di rispondere all'appello correndo a combattere nelle file della «resistenza». L'espressione, in altre parole, si è ritorta contro coloro che l'hanno usata e contribuisce a ingrossare i ranghi dei loro nemici. Non è un caso che gli inglesi se ne siano accorti e abbiano deciso di abolire l'uso dell'espressione «guerra al terrorismo».
Combattere il terrorismo esige altre politiche. Occorre isolare i nemici, suscitare contro di essi la riprovazione delle società musulmane, impedire che dispongano di un territorio su cui combattere e di un retroterra su cui appoggiarsi. Sino a quando gli Stati Uniti non avranno modificato il loro vocabolario e la loro strategia, sarà lecito chiedersi quale uso intendano fare delle loro basi.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT