Una vita spesa in difesa dei popoli oppessi, dimenticando Israele
Sarà anche vero, come dicono molti, che Le Monde è il giornale più noioso che esista, ed è anche noto che lo stesso quotidiano parigino è l’editore del Monde Diplomatique, la cui edizione italiana esce come supplemento al Manifesto, il che rende difficile capire come il francese possa essere definito vagamente liberal e di centro sinistra. Almeno il giornale romano si qualifica per quello che è, “ giornale comunista “, punto e basta, non si devono cercare altri aggettivi per qualificarlo. Noioso, quindi, su questo non ci piove, ma anche tra le sue pagine bianche e grigie, qualcosa che vale la pena commentare si trova sempre. Una pagina che guardo con attenzione è quella titolata “ Carnet”, dove si pubblicano annunci di nascite, matrimoni e ricorrenze varie, e necrologi, sui quali ultimi il mio sguardo sui ferma sempre con interesse. Sono in genere partecipazioni piuttosto lunghe, al nome dei famigliari che annunciano il nome del defunto, ne segue l’età, la malattia che ne ha causato il decesso, e una breve biografia per ricordarlo a quanti l’hanno conosciuto. Sovente, fra questi necrologi, ci sono cittadini ebrei francesi, non dimentichiamo che la Francia ha la più grande comunità ebraica d’Europa, più di mezzo milione. E la Francia, erede del governo collaborazionista di Vichy, ha lasciato nei suoi cittadini ebrei ferite che non si sono certo emarginate. Quegli anni vengono spesso ricordati nei necrologi, se il defunto è un sopravvissuto dai campi di sterminio, o se ne ha perduto dei famigliari. La loro lettura è come ripassare un pezzo di storia, le razzie, i trasporti ferroviari, il tradimento dei francesi filo-nazisti, una memoria triste che riemerge in una triste occasione. Nell’edizione di mercoledì 10 gennaio 2007, c’era l’annuncio funebre che i lettori vedono riprodotto in questa pagina. L’ho letto, come faccio d’abitudine, e mentre stavo riflettendo sul destino dell’avvocato Mireille Szatan-Glaymann, morta all’età di 71 anni per un cancro al polmone, mentre ne seguivo l’appassionante biografia che i suoi famigliari avevano fatto stampare sull’austera pagina del Monde, sono rimasto colpito da una assenza. Nella sua vita, Mireille Szatan-Glaymann si era salvata, nascondendosi, dalla deportazione nazista organizzata dai collabò francesi, da adulta ha sempre voluto combattere l’oppressione, lo sfruttamento, il razzismo e il colonialismo. Ha difeso, come avvocato, le cause del popolo vietnamita e di quello algerino, in lotta per la loro indipendenza (per le sue azioni è stata anche presa in ostaggio dall’OAS), ha solidarizzato con i lavoratori immigrati, con i sans-papiers e per la difesa dei prigionieri politici, e ha sostenuto i diritti del Popolo Palestinese ( le due P maiuscole sono nel necrologio). Ho però cercato invano, rileggendolo, se per caso mi era sfuggito un accenno a Israele, ma non l’ho trovato. Mi sono chiesto allora, se, per dimostrare la propria solidarietà ai popoli in lotta per l’indipendenza, fosse indispensabile, per un ebreo, dimenticare che un altro popolo, il proprio, aveva lottato per ricostituire uno Stato e che, da sessant’anni, lottava per non essere, ancora una volta, cancellato dalla faccia della terra. Perché M.me Mireille, in tutta la sua vita difficile ma anche onorevolmente impegnata, non ha mai sentito l’urgenza, il bisogno, la passione di spendersi un po’ anche da quel versante ? La domanda non è oziosa, se il caso fosse isolato non varrebbe la pena di rifletterci su. Isolato invece, purtroppo, non è. Sono troppi i Chomsky, i Finkelstein, i Morin, per non citare anche i tantissimi illustri sconosciuti, quanti anche nel nostro paese, che si dedicano con acrimoniosa attenzione a vivisezionare lo Stato ebraico con impegno quotidiano, come se la comprensione verso i palestinesi, sentimento più che nobile, non potesse essere accompagnato da una adeguata difesa delle ragioni di Israele. Quanti ebrei, a sinistra soprattutto, hanno escluso questo aspetto dalla loro vita politica ? Non voglio riferirmi a quanti della politica hanno fatto una professione, non si può pretendere che tutti abbiano lo stesso coraggio che ebbe Umberto Terracini, quando, in quasi totale solitudine politica, criticò, già negli anni ’50, l’antisemitismo sovietico. Penso all’ “Ebreo Comune”, al lettore di Repubblica, o dell’Unità, o del Manifesto, come fa, mi chiedo, a non rendersi conto che, in cambio di qualche buon articolo sulla Shoah, gli viene scaraventata addosso, quasi continuamente, una falsificazione della storia mediorientale che ha come obiettivo la distruzione dell’immagine di Israele ? Se ne rende conto, il nostro “ Ebreo Comune “ ? E se sì, perché non interviene a difesa di una identità che si trova accerchiata senza sosta ? Perché si rifiuta, non importa a quale livello, di dare una mano a Israele ? Perché lo esclude dalla sfera del proprio impegno civile ? E’ mai possibile che sia così difficile capire come oggi, a livello europeo, si stia espandendo, come negli anni trenta, una nuova forma di antisemitismo che di nuovo e diverso ha solo il nome ? Come è possibile non dire ad alta voce che antisionsmo è uguale ad antisemitismo ? Una prece per M.me Mireille, ma niente di più.