La terapia contro l'odio di Moshe Bejski l'artefice del Giardino Dei Giusti
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 13 marzo 2007 Pagina: 0 Autore: Gabriele Nissim Titolo: «LA TERAPIA CONTRO L’ODIO DI MOSHE BEJSKI»
Dal supplemento culturale del SOLE 24 ORE di domenica 11 marzo 2007:
Moshe Bejski, il grande artefice del Giardino dei giusti di Yad Vashem, si è spento a Tel Aviv il 6 marzo, all’età di 86 anni, dopo una lunga malattia. Fino all’ultimo è stato coerente con la sua impostazione morale. Mai aveva cercato onori e gloria sulla scena pubblica. Eppure il suo lavoro ostinato attorno alla Shoah ha rappresentato un’innovazione profonda. Bejski era convinto che la questione eticamente più importante nella trasmissione della memoria fosse la valorizzazione delle esperienze degli individui che si erano prodigati per la salvezza degli ebrei rifiutandosi di accettare l’antisemitismo di Stato. A dire il vero il concetto di "giusto" non lo convinceva del tutto perché dava l’idea che per aiutare un uomo perseguitato occorresse essere perfetti e portatori di un comportamento morale al di fuori della norma. Riteneva invece, come Hannah Arendt, che i salvatori non fossero santi o eroi, ma individui che ai tempi del nazismo erano stati capaci di pensare da soli e non avevano soffocato la propria dignità di esseri umani. Se si fosse valorizzata la categoria dell’eccezionalità e dell’eroismo come avrebbe voluto Moshe Landau - il famoso giudice del processo Eichmann con cui Bejski polemizzò a lungo - si sarebbe regalato un facile alibi al silenzio degli "indifferenti" e non si sarebbe apprezzato il valore di personaggi ambigui come il faccendiere tedesco Oskar Schindler, l’antisemita polacca Sophia Kossak, o il politico bulgaro Dimitar Peshev, che nonostante tutte le contraddizioni ideologiche e personali cercarono di soccorrere gli ebrei. Erano "imperfetti" eppure avevano aiutato.
Perché ricordare i salvatori? Moshe Bejski non aveva dubbi. La memoria degli uomini "giusti" permetteva ai sopravvissuti di ritrovare la speranza in quel mondo da cui erano stati cacciati. Egli stesso aveva sperimentato in Polonia un’esperienza inimmaginabile: reso orfano dalle SS, tradito dagli amici, rinchiuso nel campo di Plaszow in attesa di morte certa, aveva trovato sulla propria strada Oskar Schindler, che gli aveva stretto la mano e inserito nella famosa lista. Gli sembrò l’ultimo uomo buono esistente sulla faccia della terra. Un individuo donnaiolo e ubriacone, che si arricchiva utilizzando gratuitamente la manodopera ebraica, gli aveva fatto ritrovare la fiducia nell’umanità e dato la forza di non odiare il popolo tedesco, perché non tutti i tedeschi erano uguali.
Quell’uomo lo aveva salvato due volte: gli aveva ridato la vita e lo aveva reso immune dall’odio. Lo aveva riconciliato con l’umanità. E quella terapia non valeva soltanto per lui, e per migliaia di sopravvissuti, ma anche per le nuove generazioni. Il riconoscimento pubblico dei giusti - come è avvenuto recentemente in Francia, dove il presidente Chirac ha voluto onorarli con un monumento al Pantheon, ricordando coraggiosamente la vergogna di Vichy - dà la possibilità a molti paesi di attivare una purificazione morale. Ecco perché Moshe Bejski non voleva che i giusti fossero ricordati soltanto nel giardino di Yad Vashem, ma sperava che diventassero patrimonio dell’umanità intera.
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