In Afghanistan per vincere il terrorismo bisogna combattere Giulio Meotti intervista Amir Taheri
Testata: Il Foglio Data: 13 marzo 2007 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Per restare senza combattere tanto vale che l'Italia se ne vada»
Dal FOGLIO del 13 marzo 2007:
Roma. “Per l’Italia non combattere equivale a restare in Afghanistan per sempre. Tanto vale andarsene”. Fra i massimi studiosi di medio oriente, vicedirettore del primo quotidiano di Teheran (Kayhan) fino all’arrivo dell’ayatollah Khomeini, editorialista di Asharq Alawsat e Wall Street Journal, autore di saggi sull’islam tradotti in venti lingue, l’esule iraniano Amir Taheri ha appena incontrato il ministro degli Esteri afghano, Rangin Dadfar Spanta. “Sono gli afghani come lui a ricordarci che è ancora in corso una guerra, non un nation-building” dice Taheri al Foglio. “Non combattere è la peggior opzione. Consentire che alcune zone tornino nelle mani dei Taliban potrebbe destabilizzare Pakistan, Iran e l’intero medio oriente. L’Afghanistan ha bisogno di tre anni prima che esercito e polizia siano pronti. Nel frattempo la Nato, sotto mandato Onu, ha il dovere morale e legale di aiutare il nuovo regime a stabilire l’autorità. Gli italiani in Afghanistan sono stati superati in audacia non solo da britannici e americani, ma anche da canadesi e polacchi, perfino neozelandesi e australiani”. L’Italia era assegnata alla task force per ricostruire il sistema giuridico. “I risultati sono catastrofici. Meno del dieci per cento dei giudici richiesti dalla Nato sono assegnati”. Il presidente Hamid Karzai ha bisogno di nuove relazioni con Iran e Pakistan. “I due paesi hanno strategie differenti basate sulla stessa idea: gli Stati Uniti, piegati da faide interne, non hanno la volontà necessaria per riscrivere il medio oriente. Il Pakistan, che in nome del pan-pashtunismo aveva creato i talebani, ha più di mezzo secolo di esperienza nella guerra a bassa intensità. Lo ha fatto in Kashmir, ora lo sta facendo in Afghanistan, dove Musharraf spera di mantenere in vita gli studenti coranici. L’Iran rivendica un droît de régard su Kabul sulla base del trattato di Parigi del 1855. Come in Iraq, in Afghanistan la strategia si basa sull’idea che gli occidentali se ne andranno, consentendo ai guerrieri del Corano di proclamare la vittoria divina. Teheran e Islamabad si preparano. ‘Noi prepariamoci a combattere il terrorismo per molti anni’ ha detto Spanta”. Per Taheri l’Iran non è il solo paese confinante a temere la nuova democrazia afghana, pur essendo il primo ad aver riconosciuto il nuovo ordine. “Il Turkmenistan sta soffocando sotto un medievale culto della personalità, l’Uzbekistan è una semidittatura, la Cina è un regime comunista e il Tajikistan vede al potere un’alleanza di neocomunisti e islamisti”. L’intellettuale iraniano accusa di tradimento gli studiosi di islam e gli esperti di cose afghane. “Il primo argomento naïf della sinistra occidentale è che il presidente Karzai sarebbe solo un quisling americano, mentre i talebani sono dei combattenti che hanno liberato il proprio paese. Anche Karzai è stato un eroe della resistenza contro i sovietici, in cui il ruolo principale è stato svolto non dai talebani, ma dall’Alleanza del Nord di Massoud. Il secondo inganno ideologico consiste nell’enfatizzare la natura etnico-nazionale dei talebani. Invece è un movimento rivoluzionario islamico. Oggi al loro fianco combattono circa tremila jihadisti arabi, algerini e sauditi, egiziani e uzbeki. L’Afghanistan è Asia centrale e l’Asia centrale è la piattaforma per l’arrivo in Europa dei jihadisti. L’Afghanistan è stato ed è tornato a essere anche il paradiso dei ceceni, assenti dall’Iraq”. Taheri ci tiene a enfatizzare l’effetto epocale della guerra che nel 2001 ha deposto il regime dei talebani. “Gli Stati Uniti hanno privato il jihadismo del principale paradiso operativo. Oggi i talebani sono pronti a riprenderselo con le armi. Sta alle democrazie in armi fermarli. Sta a noi ricordare che il mullah Omar non era eletto, mentre Karzai ha preso undici milioni di voti sotto la supervisione dell’Onu e dell’Unione europea. Ma molti europei hanno paura delle immagini degli afghani, soprattutto donne, che vanno a votare. E’ la più grande storia di successo del presidente Bush”. Taheri invita Karzai a varare l’attesa amnistia al vaglio del Parlamento, sul modello di quella sudafricana che ha sanato simbolicamente le piaghe dell’apartheid. “Numerosi paesi occidentali, ong e la Commissione Onu per i diritti umani, hanno lanciato una campagna per prevenire l’amnistia. L’argomento è che i ‘signori della guerra’ fuggirebbero alla giustizia. Per l’Onu il termine ‘signore della guerra’ evoca omicidi di massa. Per gli afgani sono eroi della resistenza anticomunista. Se adottiamo la definizione dei benpensanti, anche Karzai è un signore della guerra. Come i due speaker del Parlamento. E milioni di afghani avrebbero le mani piene di sangue per aver combattuto tre decenni. ‘Signori della guerra’ è una spada di Damocle sulla testa di milioni di afghani. La grande maggioranza di afghani sostiene l’amnistia e il desiderio che il passato non torni a dividere, il mese scorso trentamila persone hanno marciato a Kabul chiedendo a Karzai di firmarla”. Il costo del nostro fallimento sarebbe altissimo. “L’Afghanistan è il secondo fronte, dopo l’Iraq, della grande guerra islamista contro l’occidente. Baghdad e Kabul sono legate dalla stessa funzione di trincea antijihad. La vera questione afghana non è seriamente dibattuta in Italia, dove si ignora la natura religiosa e regionale di questa guerra. L’Afghanistan non è una questione di Croce rossa internazionale. L’oscurantismo islamico sta cercando di trasformare l’Afghanistan nuovamente in una piattaforma per l’addestramento, il reclutamento e l’invio di guerrieri islamici che perseguono la distruzione della civiltà moderna, di cui l’Italia fa parte. Gli italiani sono minacciati da questo progetto come qualunque altro paese occidentale. Non è ammessa codardia mascherata da tatticismo. ‘Gli afghani sono determinati a combattere la visione oscurantista e disumana dei talebani’ ha detto il ministro degli Esteri afghano Spanta. Sono le democrazie che devono adesso condividere questa determinazione”.
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