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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.03.2007 La ragione messa al bando
gli ingiusti attacchi ad Ayan Hirsi Ali secondo Christopher Hitchens

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 marzo 2007
Pagina: 47
Autore: Cristopher Hitchens
Titolo: «La ragione tradita»
Dal CORRIERE della SERA del 13 marzo 2007:

Wystan Hugh Auden, di cui si è celebrato il centenario della nascita a fine febbraio, aveva la straordinaria capacità di evocare il senso della disperazione ispirando, al contempo, resistenza al fatalismo. Tra le sue poesie, la più amata è probabilmente 1˚ settembre 1939,
da cui egli scorge l'Europa che precipita in un baratro di tenebre.
Riflettendo sulle possibili cause all'origine di tale catastrofe per la civiltà, egli scrisse: «L'esiliato Tucidide sapeva / Tutto ciò che un discorso possa dire / Sulla Democrazia, / E ciò che i dittatori fanno, / Le sciocchezze senili che pronunciano / Davanti a un apatico sepolcro; / Analizzò tutto nel suo libro, / La ragione messa al bando, / La sofferenza che si fa abitudine, / Malgoverno e angoscia: / Ci è inflitto di nuovo tutto questo».
«La ragione messa al bando». È un verso decisamente forte, e amaro. Mi è tornato alla memoria leggendo le abiette, astiose recensioni con cui si è voluto angariare il successo del best-seller di Ayaan Hirsi Ali Infidel
(Free Press 2007), il quale ripercorre la fuga di una ragazza somala dalla mercificazione sessuale, il suo approdo a una nuova vita in Olanda e, da ultimo, il beffardo esilio (a seguito dell'assassinio del suo amico Theo van Gogh) negli Usa. Due tra i più influenti osservatori e intellettuali in Europa, Timothy Garton Ash (sulla
New York Review of Books) e Ian Buruma, hanno criticato Hirsi Ali, o chi ne prende le difese. Il primo descrivendola come «fondamentalista dell'Illuminismo». Nel domenicale New York Times Book Review,
Buruma ha ulteriormente attinto al linguaggio della tirannia e dell'intolleranza, bollando il punto di vista di Hirsi Ali come «assolutista».
Ora, personalmente conosco sia Garton Ash che Buruma, e ricordo bene come i due si divertissero — era la stagione della Guerra Fredda — ad ascoltare quanti proponevano una fasulla «equivalenza morale» tra il blocco sovietico e quello americano. E buona parte delle loro critiche prendeva di mira proprio il linguaggio. Buruma fu a dire poco caustico con quei tedeschi sinistroidi che additavano il «terrorismo a danno dei consumatori» della Repubblica federale. Di esempi, in tal senso, ce ne sono per tutti i gusti. I più paradossali, però, erano (e, riflettendoci su, sono tuttora) quelli per cui, da un'analisi del sistema carcerario Usa, si teorizzava un parallelismo tra quest'ultimo e i gulag. Nel suo libro, Ayaan Hirsi Ali sostiene quanto segue: «Ho lasciato il mondo della fede, delle mutilazioni genitali e del matrimonio forzato per quello della ragione e dell'emancipazione sessuale. Ora, dopo avere compiuto questo viaggio, so che uno di questi due mondi è semplicemente migliore rispetto all'altro. Non per i suoi frivoli gingilli, ma per i valori fondamentali».
Ecco le citazioni che rendono quantomeno giustizia a Hirsi Ali. Che scaglia le sue critiche contro l'Occidente, ma preferisce quest'ultimo a una società in cui la donna è asservita, la censura dilaga e viene ufficialmente predicata la violenza contro i miscredenti.
Da vittima — e reduce — di questo sistema nella sua patria africana, Hirsi Ali sente di avere acquisito il diritto a dire tutto ciò.
Che cosa c'è di «fondamentalista»?
L'edizione datata 26 febbraio della rivista americana Newsweek
riprende il discorso proprio da dove Garton Ash e Buruma lo hanno lasciato. E rimarca, in un articolo di Lorraine Ali, che è «ironico come questa sedicente "infedele" spesso appaia recisa e reazionaria almeno quanto i fanatici che tanto strenuamente ha osteggiato». Ebbene, sfido l'autrice dell'articolo a fornirci la sua definizione di «ironia», e a produrre anche solo una dichiarazione di Hirsi Ali che si avvicini alla concretizzazione di tale rivendicazione.
Completa l'articolo di Newsweek un tradizionalmente superficiale botta e risposta intitolato, si stenta a crederci, «Vita di un dinamitardo». Soggetto di quest'assurdo titolo è una donna che ha subito minacce di violenza rivoltante, da parte di quella tipologia di musulmani che spazia dai moderati agli estremisti, sin da bambina. Che, più di recente, ha ineluttabilmente visto un amico olandese morire sgozzato per strada, ricevuto l'avvertimento che la prossima vittima sarebbe stata lei e, infine, traslocato a Washington, dove è costretta a vivere sotto scorta. E che non ha mai usato né incoraggiato la violenza. Eppure, a chi allude Newsweek
quando parla di «dinamitardo»?
Gira e rigira, il principio di parallelismi tanto fasulli è sempre lo stesso. Si inizia con la sdegnosa, ingannevole incapacità di ravvisare alcuna differenza tra vittima e aggressore, e si finisce con l'asserire che, a incitare la violenza, è «in realtà» la sua stessa vittima.
Un tempo, Garton Ash e Buruma avrebbero avuto buon gioco nel liquidare gli apologeti che avessero accusato i detrattori dell'Urss o della Repubblica popolare cinese di «infiammare la Guerra Fredda» perché non disposti a scendere a compromessi sui diritti umani. Perché, allora, chiudono un occhio con l'Islam, che è ideologia della violenza insurrezionale e, al contempo, di certe inflessibili dittature? È perché l'Islam è una «fede»? O perché è la fede — almeno in Europa — di alcune minoranze etniche? In nessun caso, tuttavia, si potrebbe giustificare una protezione speciale dalle critiche.
La religione avanza enormi pretese, compresa quella dell'autorità temporale sul cittadino, che non possono evidentemente sottrarsi a una minuziosa analisi. Senza contare il fatto che, all'interno di queste «minoranze», esistono altri gruppi minoritari smaniosi di affrancarsi dai boss del rispettivo ghetto. (Tale era, tra l'altro, la posizione degli ebrei olandesi al tempo di Spinoza). La questione è molto complessa e richiede, a chi desidera affrontarla, un'abbondante dose di abilità e ingegno. Le ultrasemplificazioni patetiche che tratteggiano scetticismo, agnosticismo e ateismo come posizioni ugualmente «fondamentaliste» non risultano, nel nostro caso, di alcuna utilità. È anche interessante notare il meccanismo che si innesca nel momento in cui Newsweek
raccoglie il grido di battaglia: il nemico del fondamentalismo viene presentato come un personaggio-limite mentre, prima ancora che si palesi l'inganno, il querulo, sventurato musulmano è assurto a incontrastato dozzinante della terra di mezzo.Ma si potrebbe citare un altro esempio di deriva linguistica.
Nei circoli dell'American Civil Liberties Union, ci attribuiamo spesso il reciproco appellativo di «assolutisti del Primo emendamento», intendendo in tal modo, con effetti piuttosto ironici, che preferiamo interpretare le parole dei Padri fondatori, se spinti a farlo, alla lettera. E il loro significato letterale, in questo caso, (ci) pare racchiuda l'idea che il Congresso non possa bandire alcuna opinione né istituire alcuna religione di Stato. In altre parole, difendiamo tutte le possibili manifestazioni dell'opinione di un individuo, comprese quelle che consideriamo riprovevoli, ed è nostra convinzione che nessuno possa essere costretto a praticare o a rinnegare una qualsiasi fede religiosa.
Forse, tra me e me, direi che si tratta di un principio fin troppo rigido; di più: un dogma. Ma chi avrebbe il coraggio di sostenere che esso equivalga all'idea per cui le critiche alla religione vanno censurate, o alla convinzione secondo cui il credo religioso è qualcosa da imporre al prossimo?
Indulgere a tali equazioni significa capitolare dinanzi ai demagoghi e rassegnarsi ad ascoltare, velato dalle loro grida di trionfo, il cupo lamento contro la trahison des clercs
e la «ragione messa al bando». Forse, però, avessi dichiarato che i miei principi derivavano da un'ineluttabile rivelazione divina, e mi fossi detto pronto a dare fortuito sfogo alla mia violenza per garantire loro il «rispetto» dovuto, avrei potuto sperare in un parterre di intellettuali almeno in parte più solidale.

(Traduzione di Enrico Del Sero)

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