Jimmy Carter Palestine Peace not Apartheid 12/03/2007
Di solito, quando leggo un libro per recensirlo, metto dei puntini a margine dei paragrafi che contengono verità ben espresse o, in alternativa, evidenti falsità ed errori significativi, e faccio delle orecchie alle pagine rilevanti. Quindi, al momento di preparare la recensione, riguardo i passi che ho segnato. Con Palestine di Jimmy Carter, però, mi sono trovato in difficoltà: a causa della faziosità, addirittura oltraggiosa, della “ricostruzione storica” e delle argomentazioni presentate, ho finito per segnare quasi tutte le pagine. I libri propagandistici sul conflitto arabo-israeliano di certo non mancano, e negli ultimi anni ne sono stati pubblicati in continuazione. Il libro di Carter, però, rappresenta qualcosa di insolito e degno di nota: l’autore, infatti, è un ex presidente americano, insignito del premio Nobel per la pace, che a dispetto dei suoi 83 anni è ancora attivo sul piano dell’impegno internazionale (sovrintende lo svolgimento di libere elezioni in ex dittature, raccoglie fondi per debellare malattie in Africa) e che, nel 1978-1979, ha fatto da mediatore, con intelligenza e successo, agli accordi di pace fra Israele ed Egitto. Si tratta, pertanto, di una persona che conosce, o dovrebbe conoscere, gli israeliani, gli arabi e l’andamento dei processi di pace. La prima regola del pacificatore è quella di mantenere l’imparzialità. Palestine, però, manca totalmente di senso dell’equilibrio. Già il titolo dice tutto: Israele, agli occhi di Carter, è uno Stato dell’”apartheid”, un altro Sudafrica. Non una vittima dell’estremismo degli arabi e del loro rifiuto di ogni compromesso, ma, semplicemente, il Male. L’apartheid. Ma questa accusa, che oggi è diventata un chiodo fisso di coloro che odiano e demonizzano Israele (“Stato dell’apartheid”, “Muro dell’apartheid”, “mentalità dell’apartheid”…) è del tutto ridicola. In Israele vivono 1.300.000 cittadini arabi che, pur essendo di tanto in tanto vittime di qualche discriminazione, godono dei pieni diritti di cittadinanza (di voto, di proprietà, di assistenza sociale eccetera) e di un livello di libertà di gran lunga superiore a quello degli abitanti di tutti i paesi arabi; un arabo-israeliano siede nel Consiglio dei ministri e 10-12 arabi vengono regolarmente eletti fra i 120 membri del Parlamento (e tutto ciò nonostante il fatto che la maggioranza degli arabo-israeliani si identificano con i nemici palestinesi e libanesi – gli hezbollah – di Israele).naturalmente, ci sono anche 3,5 milioni di arabi che vivono in Cisgiordania e nella striscia di Gaza sotto un regime di semi occupazione militare, con enormi ripercussioni sulle loro vite e la loro libertà; ma questo è un altro discorso e, almeno in parte, si tratta di una conseguenza diretta dell’aggressione contro Israele lanciata dall’Egitto e dalla Giordania nel 1967 (e del fatto che, in seguito, gli arabi hanno continuato ad abbracciare la via del terrorismo e del rifiuto di ogni accordo). Le convinzioni cristiane di Carter, un battista dallo spirito profondamente religioso, danno una chiara impronta a questo suo breve libro. Rispetto agli evangelici, Carter ha una posizione piuttosto insolita. Nel corso degli ultimi decenni, i cristiani evangelici sono emersi sulla scena politica americana come una potente lobby pro Israele.Molti evangelici identificano senza mezzi termini gli arabi con i biblici Figli delle Tenebre. La maggior parte di loro sono convinti che il ritorno degli ebrei a Sion (e la loro successiva conversione al cristianesimo) sia una condizione necessaria perché possa aver luogo il Secondo Avvento. Ma Carter, questo ex predicatore laico battista che teneva corsi di catechismo, sembra invece affermare che la fondazione dello Stato ebraico (nel cuore di un Medio oriente arabo-islamico) sia stata un atto immorale, o quantomeno un errore. La posizione di Carter diventa ancora più curiosa se consideriamo il confronto personale che ha avuto con questi fondamentalisti. In fin dei conti, furono proprio dei fanatici islamici iraniani a occupare l’ambasciata americana a Teheran nel 1979, l’evento che portò direttamente alla fine della carriera politica di Carter come presidente. Palestine è un’insolita combinazione di storia e memorie personali. Carter enfatizza i propri interventi nelle questioni del Medio Oriente riflettendo, al contempo, sulle tappe fondamentali degli ultimi sessant’anni di guerra e di ricerca della pace. Però procede in modo molto selettivo e tendenzioso. Per esempio, dedica diverse pagine ai colloqui falliti di Taba del 2001, che ebbero come protagonisti leader israeliani e palestinesi di secondo piano. Ecco invece tutto quello che ha da dire sulla precedente sessione di negoziati, fra il presidente palestinese Yasser Arafat, il primo ministro israeliano Ehud Barak e il presidente americano Bill Clinton, tenutisi a Camp David nel luglio 2000 (un incontro storico che verrà senz’altro ricordato): “Nonostante questi handicap, gli Stati Uniti sponsorizzarono una serie di colloqui di pace a Sharm -el- Sheikh, presso la base aerea di Bolling e, quindi, a Camp David, con una sessione di due settimane di incontri, nel luglio 2000”. Tutto qui. Neanche una parola sull’andamento dei colloqui di Camp David, sull’offerta da parte di Barak del ritiro dal 100% della Striscia di Gaza e del 91% della Cisgiordania a favore dell’entità statale palestinese, sul puro e semplice rifiuto di questi termini – senza nemmeno mettere sul tavolo una controproposta – da parte di Arafat, o sulla Seconda Intifada lanciata dai terroristi palestinesi in risposta ai negoziati. Stando a Palestine, a CampDavid non sarebbe successo nulla. Carter non si destreggia meglio nemmeno con la successiva proposta di pace avanzata da Clinton, come estremo tentativo, il 22 dicembre 2000. Si dimentica di dire ai suoi lettori che Clinton offrì ai palestinesi la sovranità sul 100% di Gaza e sul 94-96% della Cisgiordania (con una compensazione territoriale da parte di Israele per il restante 4-6%),su metà di Gerusalemme e sul Monte del Tempio.Parla invece molto (e in modo menzognero) di “cantoni”, come se ai palestinesi non fosse stato offerto un territorio cisgiordano contiguo. Carter, bontà sua, si spinge ad ammettere che “il presidente Arafat rifiutò la proposta”, ma induce in errore i lettori riguardo alla risposta (positiva) che venne data da Israele.le mappe che presenta per illustrare le diverse proposte sono chiaramente riprese da bozze dell’Olp; chi vuole avere un quadro realistico di ciò che venne offerto e rifiutato nel 2000, può guardare le mappe riportate in The Missing Peace, il memoriale di Dennis Ross, capo negoziatore americano per la pace in Medio Oriente.