Sulla STAMPA di oggi, 11/03/2007, a pag. 1-5, la cronaca di Paolo Mastrolilli della prima conferenza internazionale per la sicurezza irachena.
Fuori dal ministero degli Esteri iracheno si sentiva il rumore dei colpi di mortaio sparati dagli insorti nel perimetro della «Zona Verde» di Baghdad, ma dentro il palazzo la prima conferenza internazionale per la sicurezza del Paese si è svolta in un «clima costruttivo», e ha prodotto qualche «risultato concreto». Inoltre ha aperto la porta a un nuovo vertice a livello di ministri degli Esteri, che dovrebbe svolgersi ad aprile. A questo incontro saranno invitati i membri del G8, e quindi anche l’Italia.
I delegati delle nazioni vicine e dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu si sono seduti tutti intorno a un lungo tavolo rettangolare, per ascoltare le parole del premier Al Maliki, che ha aperto i lavori dopo la lettura di alcuni versetti del Corano. «L’Iraq - ha avvertito lo sciita a capo del governo - ha bisogno di aiuto in questa battaglia, che non minaccia solo noi, ma rischia di allargarsi a tutti i Paesi della regione».
Maliki ha detto che i terroristi all’opera nelle strade di Baghdad sono gli stessi che hanno colpito a New York o in Arabia Saudita, e quindi esiste un interesse comune a combatterli. Poi, senza citarle, si è rivolto a potenze come l’Iran e la Siria, intimandole a non usare l’Iraq come il terreno di una guerra per procura contro gli Stati Uniti: «Non accettiamo di essere il luogo dove si fanno i conti per dispute regionali e internazionali».
L’ambasciatore americano Khalilzad ha detto che gli Stati Uniti vogliono «un Iraq in pace con i suoi vicini, e i vicini in pace con l’Iraq», perché a nessuno conviene un Paese destabilizzato. Su questo ha trovato d’accordo l’inviato iraniano, Abbas Araghchi: «La violenza in Iraq non è buona per alcun Paese della regione». La divergenza, però, sta nel come fermarla.
Khalilzad ha sollecitato Teheran e Damasco a bloccare il flusso di uomini, mezzi ed esplosivi che passano dalle loro frontiere per alimentare la guerra. Araghchi ha risposto domandando «un calendario per il ritiro delle truppe americane», perché «la loro presenza non può aiutare la sicurezza dell’Iraq a lungo termine».
Questo è il cuore della disputa. In teoria gli Stati Uniti e l’Iran hanno interessi convergenti, perché la guerra civile a Baghdad minaccia entrambi.
Nella pratica, però, gli obiettivi divergono, perché Washington vuole conservare una presenza in un Paese amministrato da un governo democratico amico, mentre Teheran vuole consolidare la presa degli sciiti cominciata con l’esecutivo di Al Maliki, senza i marines alle porte.
Se sarà possibile fare progressi concreti si vedrà al vertice di aprile, a cui potrebbe partecipare la stessa segretaria di Stato Rice. La sede dovrebbe essere Istanbul, anche se gli iracheni vorrebbero ospitarlo ancora a Baghdad. Khalilzad ha detto di aver avuto scambi «diretti» con Araghchi, che però ha negato colloqui bilaterali. Invece si è sfiorata la lite, quando l’inviato americano Satterfield ha detto di avere una valigia piena di documenti che provano l’invio di armi iraniane alle milizie sciite. «Le vostre accuse - ha risposto Araghchi - sono solo una copertura per il vostro fallimento in Iraq». I colloqui bilaterali potrebbero avvenire ad aprile, anche se Washington resta ferma nella determinazione a lasciare fuori tutti gli altri punti cruciali delle relazioni con Teheran e Damasco, come il programma nucleare della Repubblica islamica. Il ministro degli Esteri iracheno Zebari, però, ha sottolineato che dei risultati concreti sono stati già raggiunti, ad esempio attraverso la formazione di gruppi di studio per affrontare singoli problemi regionali, come quello della sicurezza, l’energia, e i circa due milioni di profughi generati dalla guerra.
Fuori dal ministero gli insorti hanno colpito, per dimostrare che le parole del vertice erano vuote. Due colpi simbolici di mortaio sono atterrati nella "Zona Verde", nonostante le grandi misure di sicurezza, mentre un’autobomba ha ucciso circa venti persone nel quartiere sciita di Sadr City. Per la prima volta, poi, la guerriglia ha saldato la sua causa a quella dell’Afghanistan. Ieri infatti è stato pubblicato il video di due tedeschi squestrati a febbraio, Hannelore Krause di 61 anni e il figlio di 20, accompagnato da un ultimatum: se li vuole liberi, Berlino dovrà ritirare le proprie truppe dal territorio di Kabul entro dieci giorni.
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