L'ospedale Alyn. Una lettera inviata ad Alberto Stabile 09/03/2007
Leggo con ritardo il suo articolo con i riferimenti all'ospedale Alyn di Gerusalemme. Non posso fare a meno di scriverle perchè sono non solo figlio di un Uomo che ha dedicato anni di amore a questa istituzione che si alimenta con gli aiuti di privati cittadini, ma anche perchè, due anni fa ho assistito, in una stanza dell'ospedale, ad un episodio che desidero raccontarle, anche per farle capire una realtà a lei evidentemente non nota. In questa stanza vi erano un padre, ebreo ortodosso, che assisteva un bimbetto nella culla, tenuto in vita da un respiratore, ed un giovane assistente che insegnava a camminare ad un bambino arabo di circa dieci anni, assistito da sua madre, di chiare origini arabe, e di evidente decorosa povertà. Ad un certo punto il bambino, afflitto o da una malattia, o dalle conseguenze di un incidente (io, visitatore che passava da lì per caso non ero tenuto a saperlo) si è distaccato dall'anello di gomma che lo aiutava a camminare, e ha fatto un passo o due da solo. Ebbene, di colpo vi è stata in quella stanza, per i 4 presenti (il bimbo nella culla, ovviamente, non conta) un grido di gioia e di festa condivisa. Quel passo ebbe il potere di unire nella gioia una donna araba col suo bambino, l'assistente israeliano ed un padre ebreo ortodosso presente per puro caso. Io ero solo uno che passava per caso, ma fui coinvolto da quell'atmosfera di gioia. Vede signor Stabile, io la invito ad andare a visitare quel meraviglioso ospedale, dove alcuni giovani che non possono venir dimessi vivono in un'ala attrezzata come un piccolo villaggio, con la sua via (che in realtà è un corridoio dell'ospedale attrezzato proprio come una via, con tanto di nome), i suoi alberi e il suo vigile urbano (l'infermiere che cura l'assistenza a più ricoverati limitatamente a ciò che non possono farsi da soli). Si potrà rendere conto, con tale visita, di come sia profondamente ingiusto paragonare tale meravigliosa istituzione ad una prigione. E come sia profondamente ingiusto parlare di sforzi economici per essere curati in quella "prigione". L'ospedale cura tutti i bambini che, con certe patologie, arrivano da altri ospedali di Israele, dei paesi arabi in generale (non solo dei territori) e dell'Europa. Ci vada, signor Stabile, e poi mi faccia conoscere le sue impressioni. Sono anche pronto ad accompagnarla. Chissà, forse anche lei diventerà un donatore, ed avrà il suo nome menzionato nell'albero dei donatori.