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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Analisi del periodo 08/03/2007
 

" Repubblica" del 6 marzo, pagina 20. Il titolo: "Vittima di un raid israeliano Maria costretta a vivere in Israele".

Che cosa può dedurre il lettore? Primo, che Israele ha compiuto un raid, un bombardamento nel quale è stata colpita una bambina, appunto Maria. Sì, ma contro chi e dove? Del perché questo titolo non lo dice Lo racconta poi nel suo servizio il giornalista, ma non è difficile immaginarlo: contro palestinesi e precisamente a Gaza, città dove peraltro (lo dice il sottotitolo) "non può essere curata".

E perché mai? Torniamo al titolo, che non lo spiega, ma mette in gran risalto invece che. Maria è "costretta a vivere in Israele". E’ dunque stata catturata e deportata in Israele dopo che gli incursori hanno impedito ogni cura in loco?

Non è esattamente così. Bisogna però non solo leggere l’articolo, ma addentrarsi nei meandri o, come si dice, leggere quasi "tra le righe".

Per esempio, è appena accennato, con grande delicatezza, che il raid (ma sì, bisogno pur dirlo, l’"omicidio mirato") dell’aereo israeliano aveva mirato alla macchina su cui viaggiava un capo della fazione palestinese di Hamas, responsabile del lancio indiscriminato dei missili Kassam sul territorio israeliano. Appena accennato perché l’accento è sull’aereo incursore.

Contro la continua pioggia dei Kassam sul suo territorio forse Israele avrebbe fatto bene a spedire dei telegrammi di protesta all’Unione Europea o all’ONU, che sicuramente avrebbero fatto cessare il lancio di quei missili che i media non si stancano mai di definire "artigianali", cioè praticamente tenuti insieme da fil di ferro e nastro invisibile.

Invece no. "Incessanti bombardamenti d’artiglieria avevano fatto terra bruciata della parte nord della Striscia, mentre l’aviazione israeliana aveva ripreso la pratica delle esecuzioni mirate per liquidare le cellule palestinesi più attive e i loro cervelli". Invece di limitarsi a inviare avvisi di garanzia.

Purtroppo un giorno "il bombardamento missilistico di un aereo israeliano contro un attivista della jihad islamica" (mai chiamarli terroristi perché potrebbero offendersi) sbaglia il bersaglio e colpisce un’auto dove la madre della piccola Maria, un suo fratellino e la nonna restano uccisi. Maria, sei anni, è paralizzata. E’ una sciagura figlia della guerra, un evento doloroso, uno sbaglio terribile.

Per Maria le cure sono difficili e costose.

Finalmente se ne è assunto la responsabilità e il carico il ministero (israeliano) della Difesa, ma solo, si legge, dopo avere "ceduto alle pressioni dell’organizzazione umanitaria (israeliana) e prestato ascolto alla campagna di Gideon Levy su "Haaretz" (giornale israeliano)".

Le cure della piccola Maria sono continuate, dopo l’ospedale, in ambiente privato, sempre però, si suppone (il giornalista non lo dice), in territorio israeliano. Ora però il padre di Maria ("un ragazzo-padre con i capelli tagliati all’ultima moda e una felpa vistosa") chiede di poter vivere in un "ambiente arabo", ancorché, si suppone sempre, entro i confini israeliani.

Ma il crudele ministero della Difesa gli propone "un alloggio nel kibbutz Ramat Rachel" e fa dire al padre di Maria: "Ma che ci facciamo noi nel kibbutz, da una prigione vorrebbero mandarci in un’altra prigione".

E "sogna di portarla all’estero, senza sapere che difficilmente troverà altrove un ospedale e specialisti migliori".

Questa gli è proprio scappata. Ma allora Maria non è proprio "costretta a vivere in Israele". La sua disgrazia è già abbastanza grande da non aver bisogno delle parole del giornalista di Repubblica. Né hanno bisogno di lui gli stessi palestinesi. Magari solo quelli che non si fanno saltare in aria tra la folla e non tirano missili nemmeno artigianali.

 


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