Lo scorso 20 dicembre è uscito sul Corriere della Sera un lungo articolo di Benny Morris, nel quale lo storico israeliano delinea un possibile, ravvicinato futuro, nel quale una seconda Shoahpotrà di nuovo verificarsi. Se a qualcuno è sfuggito lo cerchi, non se lo lasci sfuggire, è pubblicato su www.informazionecorretta.com .La descrizione che ne fa è apocalittica ma credibile, nel senso che tutte le previsioni che ipotizza sono sì apocalittiche, ma appartengono ad un quadro politico che abbiamo davanti agli occhi già adesso. Ovviamente il nuovo Hitler è Ahmadinejad, non altri, e basterebbe già questo riferimento per rendere seria l’analisi di Morris. Che è un curioso personaggio, passato dall’essere icona venerata da tutti coloro che fanno dell’odio contro Israele la loro fede politica – alla quale si accompagna sovente anche quella professionale – intervistato sui giornali di tutto il mondo, affascinati dalla sua posizione di storico all’Università di Beer Sheva e nel contempo principe degli storici revisionisti,quelli che avevano fatto della loro ricerca sulla nascita dello Stato ebraico la loro fortuna intellettuale. Morris era il primo fra tutti, quello che nell’ormai lontano 2001, subito dopo l’attacco alle Torri gemelle, avevo voluto conoscere per capire come ragionava un accademico di tutto rispetto, uno storico che con i suoi libri, anche se molto contestati in Israele, aveva contribuito ad erodere l’immagine del suo paese. Mi diede appuntamento al caffè Atara, non più nella vecchia sede di rehov Ben Yehuda,dove aveva aperto i battenti negli anni trenta, diventando uno dei luoghi più frequentati dagli intellettuali e dai politici di Gerusalemme, ma in rehov Haza, dove aveva appena riaperto dopo che il proprietario aveva ceduto il vecchio bar a un Burger King. In una soleggiata mattina di metà novembre 2001, mi trovai davanti a un Benny Morry completamente diverso da come mi aspettavo. “ Pochi giorni fa i terroristi palestinesi hanno fatto saltare il bar Moment, a pochi isolati da qui, dove vado a far colazione la mattina, stavo uscendo di casa quando ho sentito una terribile esplosione, se fossi arrivato da Moment qualche minuto prima non saremmo qui ora a parlare “ mi disse quasi senza interrompere per bere il suo cappuccino. L’avevo ascoltato come se davanti a me avessi avuto il più falco di tutti i falchi, mi diceva che il governo doveva essere molto più duro con i terroristi, adottare misure drastiche, che Arafat ( ancora vivo) era un bugiardo e come lui tutti i leaders arabi, che per loro la menzogna non è diversa dalla verità, dipende dal contesto. Alla mia osservazione che “Vittime” era un libro che accusava apertamente Israele di avere commesso ingiustizie nei confronti dei palestinesi, non volle ritornare su quanto aveva scritto, in quello come in altre opere, ma mi disse che i palestinesi avevano subito ben di peggio dagli stati arabi, difendendo con forza Israele che, da quando è diventato uno Stato indipendente, ha dovuto sì uccidere, ma soltanto perchè si è sempre trovato sotto attacco. La conversazione andò avanti per un paio d’ore, sempre con un Morris del tutto diverso da quello che era stato fino a pochi giorni prima. Lo stavo intervistando per Libero, allora un quotidiano che da poco era stato rimesso in vita da Vittorio Feltri, dalla tiratura ancora risicata, per cui il mio pezzo, uscito il 16 novembre 2001, ebbe un’eco limitata, ben diverso da quanto avvenne un paio di settimane dopo quando Morris raccolse tutti gli argomenti che mi aveva illustrato in un magistrale articolo che diede al Guardian, uno dei quotidiani inglesi soltamente critici e ostili a Israele, presso il quale lui godeva, evidentemente, buona fama. Un articolo che fece gridare allo scandalo tutti i fans dell’altro Morris, quello che era stato così occupato nella sua attività accademica di ricercatore da non accorgersi che accanto a lui, praticamente sotto casa, il terrorismo uccideva cittadini inermi, gente come lui, che si era salvato per miracolo. E aveva aperto gli occhi. La risposta immediata all’articolo del Guardian fu la sua cancellazione nei media di sinistra. Era caduto, come si diceva un tempo, in disgrazia. Da allora, Morris ha curato le ristampe dei suoi libri con nuove prefazioni, e,pur senza cambiare il testo, ha praticato su se stesso l’operazione di revisione che era la sua specialità applicata ai testi ufficiali della storiografia israeliana. E’ questo nuovo Morris, quindi, lo storico che ha scritto questo documento straordinario uscito in italiano sul Corriere, nel quale ha affrontato il reale pericolo rappresentato da uno Stato come l’Iran, che per bocca del suo premier, dichiara che appena avrà l’arma nucleare, cancellerà Israele dalle mappe geografiche. Gli scenari che Morris descrive sono orripilanti, saranno sufficienti quattro o cinque lanci di missili che un milioneo più di israeliani, nelle aree di Tel Aviv,Haifa e Gerusalemme, quelle più densamente abitate, moriranno sul colpo, mentre milioni saranno gravemente irradiati. Certo, moriranno anche gli arabi, che in Israele sono 1,3 milioni, più i circa 3,5 milioni dei territori, saranno moltissimi a perire, ma questo nonha alcuna importanza per il Fuerher iraniano, che ha messo in conto la reazione israeliana, facendo anche delle cifre. “ Se Israele cercherà di rispondere colpendoci, potremo avere anche 10 milioni di morti, ma avremo raggiunto il nostro obiettivo, cancellare l’entità sionista dalla terra palestinese “, ha dichiarato e tutti i media l’hanno riportato. Come si vede, non siamo nel campo delle supposizioni, dei si dice, sono le parole esatte di Ahmadinejad. Di fronte a tutto questo l’Europa reagisce come sappiamo, Israele è ovviamente preoccupato del tempo che passa e che non lavora certo in suo favore, e prende atto che l’opinione pubblica occidentale è come cloroformizzata di fronte all’apocalisse annunciata. Perchè l’arma nucleare sia pronta si prefigura la data del 2009, praticamente domani. Gli interventi delle istituzioni internazionali finora hanno fallito tutti i tentativi, l’arroganza di Ahmadinejad essendo grandissima, non c’è risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu che tenga, o che possano valere le minacce di sanzioni economiche. La locomotiva degli eredi di khomeini viaggia a forte velocità, senza che, finora, nessuno abbia ancora trovato il modo di arrestarla. Che Israele sia preoccupato ci sembra ovvio, anche se l’argomento viene affrontato con la cautela dovuta. Che però non risolve il problema, che resta come Benny Morris l’ha descritto nelle sue pagine che ci auguriamo non siano profetiche. Che ci aprano gli occhi, questo sì, ma che sviluppi nello stesso tempo una consapevolezza diffusa, al punto da sviluppare un vasto movimento d’opinione, per dire che una seconda Shoah non verrà più accettata. A qualunque prezzo.