Il nuovo antisemitismo chiede agli ebrei di odiare Israele intervista ad Emanuele Ottolenghi
Testata: Libero Data: 07 marzo 2007 Pagina: 32 Autore: Francesco Borgonovo Titolo: «L'antisemitismo cambia faccia»
Da LIBERO del 7 marzo 2007:
Gli studi contemporanei sul razzismo e la discriminazione hanno individuato una forma profonda di violazione della dignità umana: quella che risiede nel cosiddetto «misconoscimento», ovvero nella negazione dell'identità dell'Altro da sè. Un esempio riguarda il ruolo della donna: in alcuni ambienti - soprattutto quelli politici e professionali - le donne vengono accolte, ma a condizione che si liberino della propria femminilità, che assumano caratteri maschili in modo da poter competere con gli uomini sullo stesso piano. A leggere l'ultimo saggio del docente universitario e giornalista Emanuele Ottolenghi ("Autodafè", Lindau, pp. 380, Euro 24 ) sembra che la stessa tendenza si intrecci ai fenomeni di antisemitismo contemporaneo: l'ebreo viene accettato a patto che si privi della sua "ebraicità". «C'è un desiderio di imporre agli ebrei un'identità non scelta e definita da loro stessi», spiega a Libero l'autore. «L'accettazione completa e incondizionata non esiste ancora. Gli ebrei vengono accettati, ma a patto che abbandonino la propria identità, rinuncino alla propria tradizione religiosa e cancellino il legame con Israele». Questo processo è particolarmente evidente in alcune delle più recenti rappresentazioni che vengono offerte degli ebrei e dell'Olocausto. Ottolenghi prende a esempio due film: "La vita è bella" di Roberto Benigni e "Il Pianista", di Roman Polanski. «Sono interessanti, commoventi, ben fatti» spiega «però entrambi hanno come protagonista un ebreo che di ebraico non ha nulla. Non lo vediamo mai andare in sinagoga, per esempio, non è in nessun modo riconducibile alla propria cultura. Non c'è nulla che ce lo faccia identificare come ebreo fino a che non scopriamo che viene perseguitato come tale». Insomma, ciò che suscita la partecipazione del pubblico non è tanto la discriminazione dei personaggi in quanto ebrei, ma il loro essere "vittime". «Alla fine delle due storie» prosegue Ottolenghi «a sopravvivere all'Olocausto non è il popolo ebraico, ma piuttosto la musica classica in un caso e la risata, l'ironia, nell'altro». In quest'ottica, il legame degli ebrei con Israele assume un valore ancora più forte, per cui attaccare lo stato ebraico significa attaccare anche gli ebrei e la loro cultura. Un atteggiamento che - se pur sopravvive in certi ambienti dell'estremismo di destra - si ritrova soprattuto nelle file della sinistra italiana, «che non si limita a criticare la politica dello stato, ma lo delegittima, lo demonizza e ne preconizza la distruzione come passo necessario per la pace in Medio Oriente e la libertà Palestinesi», sostiene Ottolenghi. «Agli Ebrei viene chiesto di schierarsi. Quelli che si schierano contro Israele sono buoni, quelli che si rifiutano di denunciare Israele come il male assoluto sono cattivi e attaccarli non è segno di antisemitismo», conclude. Israele, forse oggi più che mai, rappresenta il cuore pulsante dell'identità ebraica. «C'è un fortissimo legame degli ebrei con Israele» spiega Ottolenghi «che non si esprime necessariamente nel desiderio di trasferirsi lì. C'è un rapporto intimo, che non contraddice il fatto che si viva altrove nel mondo e in Europa. Questo legame infastidisce chi è infastidito dagli Ebrei».
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