L'Afghanistan dimostra che la guerra con il fondamentalismo islamico è in corso e bisogna combatterla
Testata: Il Foglio Data: 07 marzo 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Scontro di civiltà - I talebani hanno rapito l’inviato di Repubblica. Parte l’offensiva Nato»
Dal FOGLIO del 7 marzo 2007:
I talebani hanno ottenuto una piccola ma significativa riconquista territoriale nel sud dell’Afghanistan, e sulla loro scia al Qaida, motore del terrorismo internazionale e della sua rete europea apparentemente in sonno dagli attentati londinesi del luglio 2005, si garantisce nuove protezioni. Il Pakistan nucleare, conteso tra occidentalisti e islamisti, particolarmente forti negli apparati dei servizi segreti che custodiscono Osama bin Laden, è al centro del grande gioco strategico, come sempre in coppia con il rivale indiano, nucleare anch’esso. A cerchi concentrici, il fuoco della crisi raggiunge il mondo iraniano-sciita e si estende a tutto il medio oriente, compresi l’Arabia Saudita, l’Iraq, la Siria, l’Egitto, il Libano e la Palestina, e un aspetto decisivo della crisi è il suo carattere prenucleare particolarmente visibile a Teheran. Si può esorcizzare lo scontro di civiltà finché si voglia, ma quello scontro è in corso, ha il carattere della guerra di lunga durata, ha lo sfondo religioso noto come islamismo politico, l’occidente e l’Europa ne sono investiti in pieno. Che fare? E’ ovvio: combattere. Investire di più nella difesa, mettere risorse e tecnologia a disposizione delle truppe al fronte, unire le forze intorno alle istituzioni militari internazionali, come la Nato che in Afghanistan è benedetta e incoraggiata a combattere dall’Onu. Le conferenze di pace ci sono già state, come a Bonn dove fu tracciato il percorso, rispettato, che ha portato alla formazione di un’autorità centrale a Kabul, e tra un’elezione e l’altra a un dato straordinario e, per il nemico, formidabile, temibile: gli studenti, comprese le donne, in Afghanistan sono passati in cinque anni da uno a cinque milioni. Infatti si moltiplicano gli attacchi alle scuole secolari, visto che l’islamismo politico prevede solo quelle coraniche, le madrasse dove si insegnano odio antioccidentale e terrorismo. Ieri in questo contesto è partita l’offensiva per impedire l’assedio talebano di Kandahar, con truppe e forze aeree britanniche, canadesi e americane. L’Italia di D’Alema e Parisi dove sta? Altrove, spesso isolata anche in Europa, a predicare alle farfalle e a censurare con il ditino alzato gli occidentali che combattono.
Di seguito, la cronaca del rapimento dell'inviato di REPUBBLICA Daniele Mastrogiacomo:
Roma. I talebani hanno rapito Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica, che si era spinto nella turbolenta provincia meridionale di Helmand, dove ieri la Nato ha lanciato l’operazione Achille – la più grande fino a oggi – per ripulire la zona nord dai fondamentalisti in armi. Mastrogiacomo non dava più sue notizie da domenica sera e il telefono dell’inviato risultava sempre spento. Assieme a due guide era già arrivato a Kandahar – l’ex “capitale spirituale” dei talebani nel sud del paese, la cui riconquista è l’obiettivo principale della loro campagna di primavera – proveniente da Kabul. Poi il giornalista di Repubblica deve avere deciso di mettersi in viaggio verso Laskargah, il capoluogo della provincia di Helmand, dove si trova un ospedale di Emergency. E’ la stessa strada sulla quale è stato rapito lo scorso autunno il freelance Gabrielle Torsello. Un tragitto pericolosissimo, tenendo conto che talebani e truppe britanniche, che si contendono il controllo della zona, stavano per darsi battaglia. Mastrogiacomo aveva forse in programma un incontro con i talebani. “Domani – ha detto a Radio Capital – vado a fare la cosa bella”. Aveva anticipato di essere pronto a un cauto abboccamento, “noi partiremo alle otto e mezza di mattina, poi loro ci indicheranno la strada, ora girate a destra, ecc…”. Ma è stato sequestrato. Le prime notizie fornite da Qari Mohammed Yousuf, uno dei portavoce dei talebani, non lasciavano ben sperare: “Abbiamo catturato una spia inglese che sostiene di essere un giornalista”. Per le spie catturate dai fondamentalisti – e gli inglesi non godono di buona fama – la sentenza di morte è già scritta. Poi devono essersi resi conto di avere nella mani un ostaggio molto più prezioso, ma per un po’ hanno continuato a confondere la nazionalità – del resto l’inviato di Repubblica parla perfettamente inglese ed è nato a Karachi, in Pakistan – parlando di un giornalista britannico. Il Foglio, grazie a contatti in Afghanistan, aveva ottenuto dai talebani il nome di uno degli interpreti catturati, che si chiama Jamail, lo stesso di Mastrogiacomo. Ma sono stati gli stessi fondamentalisti ad annunciare di avere nelle mani il giornalista italiano di Repubblica. Non è chiaro il luogo esatto dove è stato sequestrato Mastrogiacomo. Ma nella stessa zona, la parte settentrionale di Helmand, la Nato ha lanciato ieri un’offensiva per anticipare il già tanto annunciato grande attacco di primavera. Una forza d’urto composta da 4.500 soldati dell’Alleanza atlantica e mille dell’esercito afghano ha cominciato ad avanzare alle cinque del mattino di ieri. Il tenente colonnello Tom Collins, portavoce della Nato a Kabul, ha spiegato di “considerarla un’operazione importante, simile a quelle dello scorso anno”, quando britannici e canadesi combatterono duramente per liberare il sud infestato dalla presenza dei guerriglieri fondamentalisti.
Le tattiche da esercito regolare Ora l’obiettivo è liberare Musa Qalah, un villaggio occupato dai talebani un mese fa, dopo che una tregua concordata con gli anziani del posto aveva consentito agli inglesi di ritirarsi dalla zona. I fondamentalisti hanno scelto un’inusuale tattica difensiva da esercito regolare, scavando trincee e disseminando di mine il terreno, tattica perlomeno vulnerabile davanti all’avanzata di truppe della Nato e afghani, appoggiati da tank, aerei, elicotteri e mezzi blindati. Forse vogliono combattere secondo il dettame di uno dei loro leader militari più feroci, il mullah Dadullah, che alle singole azioni suicide preferisce le grandi battaglie campali, che esaltano la volontà collettiva di martirio. O forse attendono l’ultimo momento per sciogliere le righe e cominciare con la consueta tattica di logoramento, fatta di imboscate, attentati e assassini mirati. Inoltre, va garantita la sicurezza della diga di Kajaki, ripetutamente attaccata, che fornisce elettricità a due milioni di persone. Per i talebani sarebbe un colpo importante. Un’intera provincia piomberebbe nel buio e nell’instabilità. Il timore è che i talebani, messi sotto pressione, decidano di ripiegare verso la confinante provincia di Farah, sotto comando italiano, dove sta aumentando la presenza di forze ostili. E’ la naturale evoluzione di un fronte dove alcuni combattono e altri no. Una volta saggiati quali sono gli anelli più duri e quelli più deboli della catena, i talebani lanceranno gli attacchi di primavera contro gli schieramenti che avranno scoperto più sguarniti e meno pronti – non per le ragioni militari che si decidono sul campo, ma per quelle politiche che si decidono a casa – a ingaggiare battaglia.
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