Scorretto il titolo, e anche l'articolo una cronaca di Alberto Stabile
Testata: La Repubblica Data: 06 marzo 2007 Pagina: 20 Autore: Alberto Stabile Titolo: «Vittima di un raid israeliano Maria costretta a vivere in Israele»
Le eliminazioni mirate sono una tragica necessità, imposta a Israele dall'aggressione terroristica subita. Mentre quest'ultima tende e fare il più alto numero possibile di vittime, senza discriminare tra combattenti e non combattenti, la reazione israeliana è mirata. Le eliminazioni non sono uccisioni extragiudiziali: sono compiute contro capi terroristi che non potrebbero essere arrestati, se non con alte perdite, anche e soprattutto tra i civili palestinesi. Soprattutto, sono compiute contro chi in quel momento è coinvolto nella progettazione di attentati e hanno per scopo salvare le vite di civili israeliani, non fare giustizia per precedenti attentati.
I terroristi agiscono all'interno delle città e dei villaggi, si confondono tra i civili e se ne fanno scudo. E' per questo che talvolta le eliminazioni mirate colpiscono innocenti.
In uno di questi casi, quello della bambina di 6 anni Maria Aman, rimasta paralizzata durante un' eliminazione avvenuta a Gaza, il ministero della Difesa israeliano si è fatto carico delle spese per la terapia di riabilitazione.
Alberto Stabile, in una cronaca pubblicata da REPUBBLICA il 6 marzo 2007, racconta questa storia in modo molto particolare.
Anzitutto mette sotto accusa la pratica degli omicidi mirati, senza spiegare perché sono necessari. Potrebbe ancora farlo in un articolo successivo, magari raccontando la storia di uno degli innumerevoli israeliani rimasti paralizzati o mutilati in un attentato.
In secondo luogo presenta le cure prestate a Maria Amin in Israele come una sorta di prigionia in territorio nemico. Il titolo enfatizza questa visione, eliminando ogni riferimento alle cure prestate alla bambina: "Vittima di un raid israeliano Maria costretta a vivere in Israele " .
Ecco il testo dell'articolo:
GERUSALEMME - La sedia a rotelle costruita apposta per lei l´avvolge tutta come una sorta di placenta meccanica. La sua vita è appesa a quel fascio di tubi che, dalla "placenta", s´insinuano come vene artificiali nel suo corpo di bambina. Tutto è immobile in lei, tranne le braci negli occhi, la bocca ancora capace di sorridere e il cervello precoce. Maria Aman, sei anni, vittima «collaterale» di un omicidio mirato avvenuto a Gaza dieci mesi fa, rimarrà così per il resto della sua esistenza: dipendente da tutto e da tutti, non ultimo dalle ingenti spese necessarie alla sua riabilitazione senza fine. Finora ci ha pensato il ministero della Difesa che, dopo aver ceduto alle pressioni dell´organizzazione umanitaria israeliana «Medici per i diritti umani», e prestato ascolto alla campagna di Gideon Levy, su Haaretz, ha finanziato le cure e permesso al padre della bimba, Hamdi, di ottenere un visto di uscita da Gaza per poter assistere la figlia durante la degenza all´ospedale Alin di Gerusalemme, specializzato nella riabilitazione dei bambini. Ma quanto potrà durare la carità di stato? Non a caso, la storia di Maria è tornata all´attenzione dei media dopo che il London Times di domenica ha fatto sapere d´aver raccolto diecimila dollari fra i suoi lettori. Notizia rilanciata dal sito di Yediot Ahronot, il più venduto giornale israeliano. Era il maggio del 2006, quando una potente offensiva israeliana s´era abbattuta su Gaza nel tentativo di bloccare i lanci di missili Qassam. Incessanti bombardamenti d´artiglieria avevano fatto terra bruciata della parte Nord della Striscia, mentre l´aviazione israeliana aveva ripreso la pratica delle esecuzioni mirate per liquidare le cellule palestinesi più attive e i loro cervelli. Una pratica, quella degli omicidi mirati, che, trattandosi di vere e proprie esecuzioni senza processo, oltre a sollevare non pochi interrogativi morali, aveva suscitato un´ondata di proteste anche da parte di osservatori israeliani, per il fatto che queste esecuzioni, avvenendo il più delle volte in strade affollate, comportavano drammatiche perdite fra i civili incolpevoli. Fu, infatti, durante il bombardamento missilistico di un aereo israeliano contro un attivista della Jihad islamica, Mohammed Dahduh, che, per sbaglio, venne colpita la macchina, acquistata due ore prima, su cui viaggiava la famiglia Aman. Morirono la madre di Maria, Naima, di 27 anni, un fratellino, Mohand, la nonna, Hanan, di 46 anni e uno zio. Il padre, Hamdi, di 28 anni, che era cresciuto nel rione del mercato Carmel, di Tel Aviv, e un altro figlio, Moaman, di due anni, ne uscirono relativamente incolumi. Maria, segnata per la vita. Da mesi Hamdi non lascia il capezzale della figlia. E adesso che i medici hanno deciso che la riabilitazione può proseguire a casa, chiede di poter vivere in un «ambiente arabo». Desidererebbe una casa nel villaggio di Beit Tzafafa, vicino all´ospedale e alla scuola elementare dove pensa un giorno di poter iscrivere Maria. Il ministero della Difesa gli aveva proposto un alloggio nel Kibbutz Ramat Rachel. «Ma che ci facciamo noi nel kibbutz - si chiede Hamdi - da una prigione vorrebbero mandarci in un´altra prigione». Un ragazzo-padre, con i capelli tagliati all´ultima moda e una felpa vistosa, Hamdi sembra aver trovato lo scopo ultimo della sua vita. Ha dormito per terra, pur di restare acanto a Maria. L´accarezza, la bacia, le parla, la coccola, la nutre, la lava, e culla tutto il tempo il suo corpo inanimato. Spera nel miracolo. Sogna di portarla all´estero, senza sapere che difficilmente troverà altrove un ospedale e specialisti migliori. «Non la lascerò mai. Per tutta la mia vita comprerò cose per lei, cucinerò per lei e la farò mangiare», promette.
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