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Europa Rassegna Stampa
02.03.2007 I sionisti "sono figli di Satana" dice Ahmadinejad
ma per si gioca ancora a minimizzare le sue minacce

Testata: Europa
Data: 02 marzo 2007
Pagina: 6
Autore: SIAVUSH RANDJBAR-DAEMI
Titolo: «Un asse islamico Karthoum-Teheran. Ahmadinejad: sionisti figli di Satana»

Da EUROPA del 2 marzo 2007, un articolo nel quale non mancano i tentativi di sminuire la minaccia iraniana.
Sulla base di un'informazione incompleta e imprecisa:


Dopo un periodo concitato “in casa”, Mahmoud Ahmadinejad ha ripreso la sua diplomazia itinerante. Il presidente iraniano si è lasciato alle spalle i sempre più aggrovigliati problemi interni per dedicarsi ai suoi tour del Terzo Mondo. Dopo le calde accoglienze ricevute in America Latina e nell’Estremo Oriente islamico, l’ex sindaco di Teheran ha fatto tappa nella parte orientale dell’Africa, continente dove Teheran vanta solide alleanze maturate all’indomani della nascita della Repubblica islamica.
Oltre al nuovo Sudafrica, frutto degli sforzi del movimento anti-apartheid a cui il regime islamico diede un significativo apporto logistico e finanziario durante gli anni Ottanta, e l’Uganda, riconoscente per la mediazione decisiva dell’allora presidente Rafsanjani per il raggiungimento del cessate il fuoco nella guerra di frontiera con il regime di Khartoum negli anni Novanta, l’Iran – alla pari dell’alleato cinese – ha sempre mantenuto rapporti caldi con il Sudan, dotato di notevoli riserve petrolifere e capeggiato dal generale anti-americano Omar al Bashir. Nonostante l’arresto nel 2004 di Hassan al Turabi, ideologo principale dell’islamismo oggi regnante a Khartoum, considerato assai vicino al clero sciita, il regime di al Bashir ha mantenuto salde le relazioni con la dirigenza di Teheran, principalmente in virtù dei rapporti assai tesi che ciascuno dei due paesi intrattiene con l’Occidente. Mentre l’Iran si trova da tempo ai ferri corti con Usa e Ue a causa della crisi nucleare, il governo sudanese è tuttora ritenuto l’artefice principale delle violenze nel Darfur. Non a caso Ahmadinejad ha subito improntato la direzione dei colloqui verso la necessità di rafforzare un’alleanza che ha come scopo quello di controbattere quelle «forze egemoniche» che ambiscono «all’indebolimento del Sudan».
Incurante delle forti critiche ricevute dall’interno dell’ormai frantumata arena politica iraniana a causa delle sue recenti esternazioni sul programma atomico, paragonato a un «treno privo di freni o retromarcia», Ahmadinejad ha nuovamente espresso i pensieri che lo hanno portato, in Terzo mondo, a fortissimi livelli di popolarità. Davanti a un pubblico di alti funzionari governativi, il controverso presidente iraniano ha dichiarato che «gli Stati Uniti e Israele sono alla radice di tutte le guerre nel mondo». Dopo aver destato scandalo per aver prospettato la «cancellazione dalle carte geografiche» di Israele (un’affermazione poi così precisata: «come nel caso dell’Urss», sarà la gente a decidere il corso della storia),

L'Iran ripete da tempo che la migliore "soluzione" per Israele sarebbe un referendum  che, con una maggioranza precostituita, ne decretasse la fine.
Questa trovata propagandistica non attenua minimamente, però, la lugubre natura delle minacce di Ahmadinejad


e aver de- finito «una leggenda» l’Olocausto, Ahmadinejad ha definito gli israeliani come «l’incarnazione di Satana».
Il «regime sionista» sarebbe «una creazione britannica che rappresenta edonismo e incarna l’animo delle potenze oppressive».
Ma «i popoli del mondo», secondo il presidente iraniano «si sono svegliati e detestano le potenze che li opprimono». La conclusione è un invito: «Le tante potenze occidentali che pretendono di difendere la democrazia e i diritti dell’uomo fermino il loro sguardo sui crimini dei sionisti».
Soffermandosi sul programma atomico, Ahmadinejad ha poi nuovamente accusato l’Occidente di voler accentrare tutta la conoscenza scientifica nelle proprie mani, e ha invitato allo stesso tempo il mondo islamico a mantenere alta la guardia contro «i diavoli che vogliono dividerci».
L’ennesima stoccata anti-occidentale di Ahmadinejad sarà oggetto di apprensione presso i regimi moderati arabi, che nel corso degli ultimi venti mesi hanno dovuto assistere a una notevole crescita, all’interno delle proprie opinioni pubbliche, del sostegno per la Repubblica islamica. All’indomani della vittoria della rivoluzione del 1979, l’Iran fu bollato come una minaccia per il mondo arabo sunnita e, prima dell’avvento al potere dell’ex sindaco di Teheran, i suoi governanti hanno sempre riscosso ben poco successo nei loro improduttivi tentativi di costruirsi un seguito all’interno di paesi come Marocco ed Egitto, retti da governi filo occidentali. Oggi invece, secondo fonti di Rabat, l’evolversi del confronto tra Stati Uniti e Iran avrebbe portato a una crescita senza precedenti dei tentativi di conversione allo sciismo in un paese sorretto da una monarchia sunnita che si considera erede diretta del profeta Maometto.
Ahmadinejad sta quindi tentando con successo di equilibrare la sua crescente impopolarità all’interno del sistema politico iraniano con un sostegno crescente che spazia da Casablanca a Giacarta. Il leader Supremo Khamenei lo ha recentemente redarguito, per la seconda volta in meno di un anno, per il mancato adeguamento a una sua direttiva che impone una rapida privatizzazione di alcune parti della monolitica economia statalizzata iraniana.
Non si placano inoltre le proteste interne sull’uso, da parte di Ahmadinejad, di una strategia diplomatica che ha di fatto paralizzato il tentativo dell’ala riformista del regime e dei conservatori pragmatici, come Rafsanjani

Il "conservatore pragmatico", oltre a essere incriminato in Argentina per due stragi antisemite, ha teorizzato la razionalità di una guerra atomico con 5 milioni  di morti tra gli ebrei e 15 tra i musulmani: Israele perirebbe, l'islam no

e il caponegoziatore Ali Larijani, di riannodare il filo del dialogo con l’Occidente.
Il presidente iraniano è atteso sabato a Riyadh, dove intavolerà colloqui delicatissimi con la dirigenza saudita incentrati sulla montante tensione tra i due paesi cardine del Medio Oriente. Oltre alle fredde relazioni bilaterali, il piatto forte degli incontri sarà senza dubbio la situazione in Iraq – dove il conflitto settario tra sciiti e sunniti non conosce tregua – e in Libano, dove l’Hezbollah sostenuto da Teheran è da tempo ai ferri corti con il governo retto dal filosaudita Fuad Siniora. Una intesa risulterà però assai difficile senza la presenza del convitato di pietra, la Siria di Bashar al Assad, che detiene un ruolo insostituibile nella pacificazione dei suoi due vicini ma che da tempo Riyadh vorrebbe isolare.

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