La "guerra dei corpi" tra Occidente e fondamentalismo islamico intervista a Seyran Ates, avvocatessa turco-tedesca sotto minaccia per aver difeso le donne
Testata: Il Foglio Data: 01 marzo 2007 Pagina: 2 Autore: la redazione Titolo: «“C’è una guerra dei corpi tra occidente e fanatismo islamista”»
Dal FOGLIO del 1 marzo 2007:
Roma. Per capire Seyran Ates bisogna pensare l’esatto contrario della definizione che Günter Grass ha dato dell’occidente: un cesso intasato, “continuiamo a tirare l’acqua, ma la merda torna sempre a galla”. Per Seyran Ates l’occidente è la benedizione della libertà, è una parola profumata, ama usarla, di continuo, sempre, quasi come gli anglofoni usano “I mean”. Per questo, col suo timbro di donna ferita e tenace, ripete che non possiamo permetterci di perdere la “guerre dei corpi” contro l’islamismo. Non siamo immuni dal gorgo di mutilazione genitale, matrimoni forzati, burqa, niqab, hijab, acido in faccia e lapidazioni che segna l’universo islamico femminile. Nell’assedio del Teatro Dubrovka di Mosca, nell’ottobre 2002, quasi la metà dei terroristi erano donne, trasformatesi in teche di morte. Nel luglio 2003, due attentati suicidi a Mosca sono stati compiuti da donne non ancora trentenni. Poi c’è Wafa Idris, paramedico ventisettenne e prima donna- bomba al mondo, e Ayat al Akhras, diciotto anni, la più giovane palestinese a farsi esplodere. Seyran Ates ci tiene a ricordare che la Germania, il paese in cui lei ha trovato la libertà e da cui è stata bandita come avvocato, è la nazione da cui è passato l’angelo della morte Mohammed Atta. Ha dovuto chiudere il suo studio Seyran ha chiuso il suo studio a Kreuzberg, epicentro turco a Berlino, sospendendo la collaborazione con i due consultori che offrono assistenza alle musulmane. L’ultimo assalto lo ha subito alla fermata del metro: Seyran era con una cliente che voleva divorziare dal marito, che le pesta entrambe, gridando “hure!”, puttana, in faccia a Seyran. Questa donna vigorosa e combattiva ha 42 anni e alle spalle una vita di sacrifici. E’ arrivata in Germania a sei anni, figlia di immigrati, riuscì a laurearsi nonostante il boicottaggio dei fratelli fanatici. Seyran si è beccata una pallottola alla gola, i segni dell’assalto se li porta dietro, per il suo umanesimo antislamista. I lupi grigi volevano mettere a tacere questa splendida dissidente nata a Istanbul. Ma non era destinata a finire come Hrant Dink. Il proiettile si fermò tra la quarta e la quinta vertebra cervicale. La donna accanto a lei si accasciò, per non rialzarsi più. Seyran ci mise cinque anni per riprendersi dalle ferite. Non voleva autoesiliarsi come Ohran Pamuk, così ha capitolato, dandola vinta ai fanatici della purezza coranica. Iscritta all’Spd, ha ricevuto il premio Brentano: “Mi incoraggia ad andare avanti”. Sta pensando di rientrare in tribunale protetta da uno studio più grande. “Sono avvocato per passione”, ci racconta. “Non voglio fare la fine di Ayaan Hirsi Ali, amo Berlino, voglio vivere qui. Ho scelto di ritirarmi pur di non dover abbandonare il mio paese. Ma sono ottimista, se la società civile mostra coraggio”. A chi le chiede in cosa consista il suo lavoro risponde: “Guardare nel nido, che contiene sporcizia”. Uno degli ultimi casi che ha seguito è stato quello di Asya Atun, una ragazza turca uccisa dal fratello perché era fuggita dal marito, impostole dalla famiglia, e non portava il velo. Seyran tuonò contro la sentenza perché fu condannato solo chi sparò e assolti i genitori e fratelli sebbene fosse chiaro che il delitto era stato deciso da tutti. Seyran ha restituito la tessera dell’organizzazione umanitaria “Terre des femmes”. Le centinaia di donne “riunchiuse, che guardano il mondo attraverso le tendine e che stavolta non sanno neppure dove sono”, dovranno trovarsi un altro baluardo legale. Seyran è una rosa della straordinaria schiera di dissidenti islamici emersa negli ultimi tre anni. “Riceverai la punizione più grande possibile per la tua sporca esistenza”, recita l’ultima minaccia. “Avevo una cliente che voleva divorziare dal marito”, racconta Ates. “Era vittima di violenze domestiche. Aspettammo che uscisse dal palazzo di giustizia. Eravamo nella stazione della metropolitana, il marito ci aspettava. Corse incontro a noi, aggredì la mia cliente, mi colpì e mi gridò contro frasi impronunciabili. Le persone che avevamo vicino restarono a guardare mentre ci aggrediva. ‘Puttana, quali idee metti in testa a mia moglie?’. Appena vide la polizia, l’uomo fuggì. Dopo quell’episodio, ho iniziato a riflettere sulla mia posizione, le mie idee, il mio lavoro. Avevo capito che era diventato troppo pericoloso, era troppo, persino per me. Oggi sono madre di una bambina di due anni e mezzo, e per me lei conta più della mia stessa vita. Non potevo permettere che rimanesse sola, che mi uccidessero. Avevo troppa paura. Nel 1984 mi hanno sparato in faccia. Durante tutta la mia attività di avvocato a favore delle donne musulmane, ho ricevuto decine di minacce di morte, per esentirmi chiamare ‘puttana’, di sentirmi dire che non ero una buona musulmana, che non avevo diritto di vivere, e così via. Gli attacchi sono diventati sempre più estremi. Ho vissuto per anni nella paura”. Seyran sa che la politica e la polizia non possono proteggerla fino in fondo. “La violenza islamica sta guadagnando terreno in occidente. Il fondamentalismo cresce di anno in anno, è in corso un rifiuto sistematico della democrazia e della libertà da parte degli islamisti, che cercano di uccidere al cuore l’eguaglianza dell’uomo e della donna in Europa”. L’Europa ha commesso un errore dietro l’altro nelle politiche di integrazione. “Le nostre strutture non hanno alcuna funzione positiva. Non è facile quantificare il pericolo islamista. Ma basta prendere il numero delle donne che indossano il velo per strada, e avrai una fotografia dell’islamismo in Europa. A Berlino il fondamentalismo islamico cresce di giorno in giorno. Stanno arrivando moltissimi soldi dall’Arabia Saudita, e tutto sotto i nostri nasi. Atta è passato per Amburgo. I prossimi attacchi in Europa verranno dalla seconda e terza generazione di islamici. Le bombe di Madrid sono state la sveglia al realismo. E poi c’è stata Londra. Ciò che è successo in Gran Bretagna ci ha dimostrato che il terrorismo non è un fenomeno esterno all’occidente, ma interno alla democrazia. Il wahabismo è un prodotto esportabile in Europa. Sono stata molto colpita dal fatto che in Germania, per i Mondiali di calcio, non ci siano stati attacchi terroristici. Ma il fatto stesso di essere sollevati la dice lunga sullo stato delle cose. Così come non sono rimasta sorpresa dalla morte di Theo van Gogh. E non è stato un bene”. “Parole bellissime” Comunitarismo o multiculturalismo, secondo Seyran, sono “parole bellissime, ma prima una copertura per un’ideologia che non vuole vedere. I fanatici del multiculturalismo sono razzisti. C’è un odio di sé dei liberal: non hanno fiducia nella propria cultura e religione, e così sono indulgenti con le altre. La sinistra che è così lontana dalla religione difende la libertà religiosa nel portare il velo. Non appena è comparsa una politica di sinistra contraria al velo, Ayaan Hirsi Ali è stata allontanata. Ayaan è una delle donne più importanti del mondo islamico, vuole coraggiosamente dare un nuovo volto all’islam”. In Germania la comunità turca è storicamente moderata. “Ci sono milioni di musulmani pacifici che credono nell’islam e nelle tradizioni. Ma anche un cospicuo movimento islamista che non è così minoritario come si crede di solito. Oggi siamo a un bivio: verso quale società vogliamo dirigerci? L’islam oggi non è sinonimo di pace e libertà. Non dobbiamo dimenticare che molti musulmani non portano il velo, non pregano cinque volte al giorno e non hanno un’interpretazione rigorista e fanatica del Corano. E’ una partita ancora tutta da giocare. E’ ai moderati che dobbiamo dare più potere contro l’islamismo”. Seyran è ottimista per vocazione. “Anche se il diritto di critica in Europa è sotto una incredibile pressione, dopo il caso delle caricature danesi di Maometto. Dopo il primo annullamento dell’Idomeneo di Mozart a Berlino sono andata a vedere l’allestimento. Dovevo esserci. Ci sono state e ci sono migliaia di caricature degli ebrei e di Gesù nel mondo islamico, ma nessun musulmano è stato ucciso per questo. Ma noi consentiamo loro di camminarci in testa. Noi europei occidentali diamo per scontati i valori che ci hanno reso grandi nella storia. All’opposto abbiamo visto milioni di donne in Afghanistan andare a votare per la prima volta”. La subordinazione all’uomo E’ in corso una guerra sui corpi delle donne. “Una guerra fra musulmani. La sessualità femminile è al centro di questo conflitto. La segregazione delle donne è funzionale all’ideologia islamista. Oggi vediamo migliaia di donne manifestare in Europa, accanto ai mariti, per il diritto di portare il velo. Direte, com’è possibile? E’ un problema di ideologia, non di diritti, l’hijab è potere, dominio assoluto. Per questo mi viene da ridere quando sento dire che il velo è un simbolo di libertà religiosa. Il velo è un simbolo politico, non religioso, è la manifestazione pubblica di un’ideologia, la bellezza della donna deve essere coperta. E con essa ciò che l’occidente ha costruito in questi secoli dev’essere tenuto nascosto. Il velo simbolizza non la subordinazione a Dio, ma all’uomo. Per le femministe è più facile dire che indossare il velo è una forma di emancipazione che lottare contro l’obbligo del velo. I musulmani sono tutti uguali davanti a Dio. Ma nella società sono i principali agenti della discriminazione. Non dimentichiamoci di ciò che è seguito al discorso del Papa a Ratisbona. Ogni parola di Benedetto XVI era perfetta. Non era un discorso di odio e separazione, ma un ponte verso l’islam, forse il primo autentico”. Seyran non vuole più trascorrere la vita al fronte. “Non ne posso più di questa claustrofobia esistenziale. A ottobre ho ricevuto l’ultima minaccia di morte per aver pronunciato parole non compiacenti sull’uso del velo in pubblico. Ho paura, non come prima di decidere di abbandonare e chiudere lo studio. Il 90 per cento delle mie clienti mi diceva di aver paura di essere uccisa per aver denunciato il marito. Devo andare avanti anche per loro”
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