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Il Foglio Rassegna Stampa
01.03.2007 Impegno militare e trattativa con l'Iran
la strategia americana in Iraq nell'analisi di Christian Rocca

Testata: Il Foglio
Data: 01 marzo 2007
Pagina: 1
Autore: Christian Rocca
Titolo: «Dopo le truppe, il vertice»
Dal FOGLIO del 1 marzo 2007:

Milano. La nuova strategia della Casa Bianca sull’Iraq, annunciata all’inizio di gennaio da George W. Bush tra lo scetticismo generale, comincia confusamente a delinearsi in tutti i suoi aspetti, politici, economici, militari e diplomatici. Nel giro di poche settimane, su precisa pressione di Washington, a Baghdad è stato trovato l’accordo su una legge petrolifera a garanzia della minoranza sunnita, un passo ritenuto fondamentale per la riconciliazione nazionale. Col budget iracheno 2007, poi, sono stati stanziati 10 miliardi di dollari per la ricostruzione e lo sviluppo del paese. E’ stato inoltre avviato il piano per la sicurezza di Baghdad, garantito da un ulteriore invio di soldati americani sotto la supervisione del generale David Petraeus. Infine, l’altro ieri, Condoleezza Rice ha annunciato un ulteriore tentativo diplomatico del governo iracheno, in pieno accordo con la Casa Bianca, per coinvolgere nella crisi la comunità internazionale ed evitare che i paesi vicini interferiscano negativamente nella costruzione del nuovo stato democratico. Non è la prima volta che viene convocato un vertice regionale sull’Iraq, con la presenza sia degli Stati Uniti sia dell’Iran, ma soltanto adesso si innesta in un piano strategico ben definito. Gli aspetti politici ed economici sono i meno controversi, mentre la stessa cosa non si può dire sul rinnovato impegno militare con i 21.500 soldati né sulle iniziative diplomatiche con i paesi vicini, in particolare con l’Iran e la Siria. Le due cose, apparentemente in contrasto l’una con l’altra, vanno di pari passo. La Casa Bianca aveva bisogno di far capire agli interlocutori che non avrebbe abbandonato il campo, specie dopo la sconfitta alle elezioni di metà mandato. Così, prima di partecipare a un meeting con i paesi responsabili del caos iracheno, ha rinnovato l’impegno militare in Iraq, mostrandosi decisa a voler sconfiggere gli insorgenti e le milizie sciite. Con 21.500 uomini in più, e un piano per la sicurezza in corso, Bush ha abbandonato la posizione di debolezza in cui il disfattismo internazionale lo voleva relegare. (segue dalla prima pagina) L’incontro sul futuro dell’Iraq si terrà in due fasi, a metà marzo e all’inizio di aprile, a Baghdad la prima e probabilmente a Istanbul la seconda. Al primo appuntamento parteciperanno alti funzionari dei paesi confinanti dell’Iraq, più quelli della Lega araba e dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina). Per gli Stati Uniti parteciperanno l’ambasciatore Zalmay Khalilzad e David Satterfield, l’advisor sull’Iraq di Rice. Al secondo incontro ci saranno i ministri degli Esteri degli stessi paesi, più quelli del G8 (Italia, Germania, Canada, Giappone). L’idea di una conferenza regionale (organizzata da Washington, non da Baghdad come questa) era stata suggerita a dicembre dalla Commissione Baker-Hamilton, ma la Casa Bianca aveva rigettato l’idea di colloqui diretti con Iran e Siria proprio perché in quel momento di grande difficoltà militare e con la sconfitta del Partito repubblicano alle elezioni di metà mandato sarebbe stata accolta come una dichiarazione di resa. L’ex consigliere di Condi Rice, Philip Zelikow, in poche parole ha spiegato al New York Times la linea americana: “Ci eravamo convinti che gli iraniani non prendevano sul serio il nostro impegno, così abbiamo fatto una serie di cose perché ci prendessero sul serio, in modo che ora si possa provare con la diplomazia”. Più uomini per ristabilire la sicurezza, botte alle milizie di Moqtada, pressioni sul fiacco governo Maliki, accuse circostanziate sul coinvolgimento iraniano nel caos iracheno, autorizzazione a colpire gli agenti di Teheran, intransigenza sul nucleare degli ayatollah, quindi anche colloqui diplomatici internazionali, ma da posizioni di forza. Ai puristi della dottrina Bush, come Michael Rubin e Frank Gaffney, l’idea dell’incontro non va giù, non tanto perché sarebbe un’inversione di rotta, piuttosto perché sono anni che i tentativi di dialogo vanno a vuoto. Ce ne sono stati altri, infatti, di questi vertici durante i quali americani e iraniani hanno discusso insieme del futuro iracheno. Nel novembre del 2004, a Sharm el Sheickh, Colin Powell e il ministro degli Esteri iraniano Kamal Karrazi hanno addirittura cenato seduti uno accanto all’altro, nel corso dell’International Compact on Iraq. Alla presidenza non c’era ancora Ahmadinejad e a Beirut non era ancora stato ucciso l’ex premier antisiriano Hariri, ma gli incontri sono continuati anche dopo. A settembre scorso, alle Nazioni Unite, diplomatici americani, iraniani e siriani si sono incontrati per discutere del futuro dell’Iraq, mentre un anno fa è stato annunciato un vertice per la stabilizzazione dell’Iraq tra Khalilzad e alti funzionari iraniani che poi non si è mai tenuto. Washington ovviamente si tiene aperte tutte le opzioni, come ha detto Dick Cheney l’altro giorno a proposito dell’eventualità di colpire militarmente i siti nucleari iraniani. Ed è anche probabile che la Casa Bianca proceda pragmaticamente per tentativi, adeguando di volta in volta la propria strategia agli eventi. Ma ci sono anche ragioni di politica interna a giustificare la tempistica dell’annuncio dell’iniziativa diplomatica: la Casa Bianca spera che la maggioranza democratica ammorbidisca la sua opposizione sulla richiesta di 100 miliardi di dollari per il finanziamento dei nuovi 21.500 soldati in discussione in questi giorni. I diplomatici americani puntano molto sul vertice, anche se mettono in conto la possibilità che gli iraniani lo snobbino, come è accaduto in occasione di precedenti incontri organizzati dalla leadership irachena. L’agenda del vertice non è stata ancora formalizzata, però è certo che non si parlerà dei progetti nucleari iraniani sui quali c’è già una risoluzione di condanna dell’Onu e si lavora al Consiglio di sicurezza per un inasprimento delle sanzioni economiche. All’incontro di Baghdad, il governo iracheno chiederà ai paesi vicini di fermare l’afflusso di armi, militanti e denaro proveniente dai loro confini. Gli americani apriranno il capitolo delle bombe di fabbricazione iraniana e, martedì, il nuovo capo dell’intelligence di Washington, John McConnell, ha detto al Senato che “probabilmente” i vertici iraniani, compresa la guida suprema Ali Khamenei, sono al corrente della fornitura iraniana degli esplosivi.

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