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Informazione Corretta Rassegna Stampa
01.03.2007 Un mosaico di segnali e di minacce
il terrorismo globale e il tentativo di delegittimare e distruggere Israele nell'analisi di Federico Steinhaus

Testata: Informazione Corretta
Data: 01 marzo 2007
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: «Un mosaico di segnali e di minacce»

Nei primi due mesi del 2007 molti tasselli si sono aggiunti al complesso mosaico del mondo islamico ed arabo in particolare, in riferimento sia alla minaccia globale del terrorismo sia più specificamente al tentativo di delegittimare per poi distruggere lo stato d’Israele.

Possiamo tentare di elencarne alcuni, che in parte confermano quanto già era ben noto. La nostra attenzione deve rivolgersi pertanto non al singolo dato ed alla singola informazione ma all’insieme, che traccia una strada che con molta evidenza diventa sempre più minacciosa ed ingovernabile.

Lo scorso 22 gennaio una accurata analisi pubblicata dal quotidiano Al-Sharq Al-Awsat a firma del docente universitario ed esperto di problemi mediorientali Mamoun Fandy ha segnalato come particolarmente attuale il pericolo che i Fratelli Musulmani possano prendere il sopravvento nel quadro dei sistemi politici ed istituzionali egiziano e siriano. In Egitto essi sono già ora molto più influenti e radicati del partito di governo, ed in Siria essi stanno minando il potere che Assad padre e figlio hanno fondato su una coesistenza di sciiti (da qui il sostegno a Nasrallah ed Hezbollah) e sunniti (confortati dal fatto che il leader politico di Hamas Mashaal viva a Damasco sotto la protezione del regime).

In riferimento alla Palestina il docente sottolinea che il trasferimento della rappresentatività dal Fatah a Hamas, cioè dalla componente laica a quella islamista della popolazione, comporta uno spostamento delle rivendicazioni dalla sfera politica e territoriale, gestibile attraverso accordi politici, a quella squisitamente religiosa, che è per sua natura intransigente ed impedisce qualunque ipotesi di flessibilità.

Quanto sopra spiega anche l’interesse prioritario che l’Arabia Saudita identifica nella gestione della crisi libanese e della corsa all’arma nucleare da parte dell’Iran. Fin dalla conclusione della guerra tra Israele e Hezbollah  e con maggiore intensità nel corso dell’inverno l’Arabia Saudita ha esercitato forti pressioni e gettato sul piatto la propria influenza per  trovare un punto di accordo fra il governo libanese ed Hezbollah che consenta loro di gestire insieme il potere senza scardinare le istituzioni nazionali libanesi; contestualmente l’Arabia Saudita ha inviato segnali molto chiari all’Iran per fermare le sue ambizioni regionali (che ha definite una interferenza straniera) ed un riarmo che ha lo scopo di minacciare l’intero scacchiere mediorientale, facendo intravedere la possibilità che essa faccia un uso cinico dell’arma del petrolio sui mercati mondiali per soffocare l’economia di Teheran.

Non a caso il re saudita Abdullah Bin Abd Al-Aziz ha rilasciato lo scorso 27 gennaio un’ intervista al quotidiano Al-Riyadh, nella quale ha testualmente detto che “Mr. Ali Larijani (segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale dell’Iran) è venuto da me...ed io gli ho dato dei buoni consigli...La politica (saudita) e particolarmente la politica estera è stata sempre contrassegnata da saggezza e da successo perché essi (i sauditi) conoscono i loro limiti trattando con altri stati...Ho consigliato al sig. Larijani di riferire queste considerazioni al suo governo ed ai suoi lacchè...Noi abbiamo consigliato agli iraniani di non esporre la regione del Golfo a pericoli che potrebbero colpire questo o quello stato...Ogni paese che deciderà di compiere azioni poco sagge sarà ritenuto responsabile di queste dalle nazioni della regione...”.

A proposito dell’Iran merita anche di essere segnalato un articolo di Hossein Shariatmadari, un intellettuale molto vicino al “moderato e ragionevole” Ali Khamenei; questi, che è direttore del quotidiano Kayhan,  il  28 gennaio ha commentato la risoluzione dell’ONU che condannava la negazione dell’Olocausto. Definendo quella decisione come “il chiodo che sigilla definitivamente  la bara dell’ONU” egli ha affermato che nessun paese del mondo è mai riuscito a dimostrare con prove inoppugnabili che lo sterminio degli ebrei europei sia realmente avvenuto; ma, ed è questo il lato più significativo del suo intervento, egli lega strettamente questa polemica alla legittimità di Israele, che poserebbe su una volontà dell’ONU di usare lo stato ebraico come arma contro il mondo islamico: “Il mito dell’Olocausto è una scusa usata dall’occidente per creare l’illegale regime sionista”; “Non vi è dubbio che questa risoluzione (dell’ONU che vieta la negazione dell’Olocausto) è un ulteriore tentativo di proteggere il regime che occupa Gerusalemme. In questa situazione non vi è dubbio riguardo al ruolo che è stato assegnato ad Israele, cioè di agire brutalmente contro il popolo palestinese e tutte le altre nazioni musulmane”.

Il quadro regionale è divenuto, da un anno a questa parte, molto complesso ed inestricabile. L’Iran ha instaurato forti legami con Hezbollah in Libano, con il terrorismo di matrice sciita in Iraq, con Hamas in Palestina e con la Siria mediante un trattato di mutua difesa firmato alla vigilia della guerra di luglio;  fornisce armi finanziamenti e uomini (consiglieri, addestratori, intelligence) a tutte le forze in campo, e non da ultimo  tutto ciò è strettamente collegato alle ambizioni nucleari iraniane oltre che al suo messaggio religioso totalizzante. A causa di queste relazioni incrociate  che non si possno trovare soluzioni separate per un solo settore della crisi regionale senza considerare anche gli altri. In questo quadro il solco profondo che l’Iran sta scavando fra sciiti e sunniti non potrà restare senza conseguenze politiche drammatiche (di cui è già testimone l’autorizzazione al sorvolo che gli Emirati del Golfo avrebbero data ad Israele per un eventuale bombardamento dei siti nucleari iraniani).

Da qualche tempo le comunicazioni tra le fazioni radicali e terroriste dell’Islam avvengono attraverso Internet, che è rapido, anonimo, poco costoso. Oltre ai siti ufficiali od ufficiosi molti altri vengono creati e poi cancellati giorno per giorno allo scopo di impedire una loro identificazione. Le lingue usate sono molte, orientali ed occidentali, e servono sia come veicolo di propaganda sia per la trasmissione di informazioni ed istruzioni operative. La jihad della propaganda è divenuta rapidamente parte integrante della jihad combattuta con le armi.

Nel sito di cui diamo il link di MEMRI (che insieme a PMW è la fonte prevalente di queste informazioni) http://www.memri.org/bin/opener_latest.cgi?ID=IA32807 si possono trovare indicazioni specifiche sui vari siti utilizzati dagli islamisti. In parallelo oltre ai siti ed ai forum esiste una intensa attività di hacker legati alla jihad elettronica da una comune ideologia e da identiche finalità; il loro intento è di danneggiare le attività elettroniche (siti, forum,ecc.) di quelli che considerano i nemici dell’Islam (vedasi MEMRI http://www.memri.org/bin/opener_latest.cgi?ID=IA32907 ).

Concludiamo con una breve panoramica sulla situazione in Palestina.

L’accordo firmato alla Mecca (non a caso: l’Arabia Saudita da tempo tenta di disinnescare la mina vagante della politica palestinese gestita da Hamas) fra Hamas e OLP lo scorso 8 febbraio è estremamente ambiguo su vari aspetti. Esso si occupa delle relazioni fra Hamas e Fatah e dell’adesione di Hamas all’OLP, che le era stata rifiutata in precedenza, ma è tortuoso sul resto. Il governo a guida Hamas non tratterà con Israele, ed in sua vece lo farà il presidente Abbas per conto dell’OLP; nella sua dichiarazione di conferimento a Hamas della guida del governo – e dunque senza che Hamas abbia sottoscritto queste procedure – egli fisserà i punti di riferimento della trattativa con Israele, consistenti principalmente nella cessazione del terrorismo e nella creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967. Non vi si fa cenno al riconoscimento di Israele, al problema di Gerusalemme, al ritorno dei profughi (che sono invece punti cardinali della strategia di Hamas). Inoltre, negli accordi si stabilisce che le organizzazioni facenti parte del governo (leggi:Hamas) non saranno obbligate a condividere le decisioni del governo stesso, che obbligheranno i soli ministri (leggi: trattative con Israele).

In questo quadro politico risulta particolarmente inquietante l’indirizzo educativo che viene impartito attraverso le scuole, un indirizzo ancor più di prima ed ancor più esplicitamente– se possibile - indirizzato all’odio verso Israele e l’occidente. La stessa senatrice Hillary Clinton, lo scorso 8 febbraio, ha segnalato che i nuovi libri di testo per il 12. livello incitano i bambini a considerare il conflitto con Israele come esistenziale, da inserire in un conflitto di civiltà che vede Israele Stati Uniti ed Occidente come nemici da abbattere. Questi testi scolastici, che inquadrano il conflitto con Israele in termini di scontro religioso in cui non vi è posto per una convivenza fianco a fianco, sono opera del direttore di un apposito comitato, Naim Abu Al-Humos, membro di Fatah e ministro dell’Educazione dai tempi di Arafat. Anche nei clip trasmessi dalla televisione di stato palestinese il motivo conduttore rimane il medesimo; uno, nuovissimo, combina l’audio di una canzone il cui ritornello afferma che “ Io sono palestinese e la mia casa è la mia casa. Le anime malvagie, mille anime malvagie sono dentro la mia casa!” con le immagini di ebrei in preghiera al Muro del Pianto. La conclusione è altrettanto esplicita: “Noi siamo tutti palestinesi nel sangue e nell’identità, Fatah, Hamas, e la Jihad, ed il Fronte Popolare...Noi vogliamo liberare la terra mediante l’unità nazionale”( PMW Bulletin [pmw@netvision.net.il].

Federico Steinhaus

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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