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Il Manifesto Rassegna Stampa
27.02.2007 Israele, Iran , Louis Farrakhan: una pagina dedicata alla disinformazione
sul quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 27 febbraio 2007
Pagina: 10
Autore: Fausto Della Porta - la redazione - Franco Pantarelli
Titolo: «Iran, a tutta sanzione - foto notizia - Farrakhan l'ultimo grido: neri, non partite per l'Iraq»
Dal MANIFESTO del 27 febbraio 2007, una cronaca di Fausto Della Porta sulla crisi iraniana, tendente a presentare come sostanzialmente ragionevoli e moderate le posizioni del regime degli ayatollah.
Per contro, secondo il quotidiano comunista,  Israele e Stati Uniti guidano una "escalation diplomatica contro il quarto esportatore di petrolio mondiale
".

Ecco il testo: 

I cinque membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti e la Germania si sono riuniti ieri a Londra per iniziare a stendere la nuova risoluzione che prevederà ulteriori sanzioni contro Tehran. Mentre l'embargo varato dall'Onu riguarda soltanto il materiale utile a sviluppare tecnologia nucleare, questa volta al Palazzo di vetro si prepara il divieto di recarsi all'estero per membri della teocrazia sciita legati al programma atomico e il blocco di alcune attività commerciali. «Abbiamo avuto una prima discussione positiva sul prossimo passo da intraprendere, iniziando a lavorare a una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza», ha commentato alla Reuters John Sawers, direttore politico del ministero degli esteri britannico.
«Siamo impegnati a cercare una soluzione negoziale», ha continuato Sawers, ma da Washington il portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, Sean McCormack, ha chiarito la strategia degli Stati Uniti, che hanno già portato nel Golfo Persico due delle loro più potenti portaerei: «Noi crediamo che voglia una nuova risoluzione, un nuovo passo avanti che aumenti la pressione diplomatica sull'Iran». L'altro ieri al presidente Ahmadinejad, che da Tehran aveva definito «irreversibile» il programma nucleare, aveva risposto da Washington il segretario di stato Usa, Condoleezza Rice, invitandolo a «premere il tasto di stop».
L'Iran, che rivendica il diritto a portare a termine il proprio programma atomico - mirato, sostiene, unicamente a uso civile - ieri ha definito un'eventuale sospensione dello stesso «illegale e illogica». «Sospendere l'arricchimento dell'uranio come precondizione per avviare colloqui rappresenta una richiesta illegale e illogica che contraddice la dignità nazionale iraniana», ha dichiarato il portavoce governativo Gholamhossein Elham. Ma da quando, nel dicembre scorso, il Consiglio di sicurezza ha imposto a Tehran delle sanzioni «lievi» relative al blocco di trasferimento di tecnologia missilistica e nucleare, è partita una vera e propria escalation. Una settimana fa Tehran - contrariamente a quando richiesto dalla prima risoluzione - ha rifiutato di fermare l'arricchimento dell'uranio e dato il via libera al secondo pacchetto di sanzioni discusso per la prima volta ieri nella capitale britannica.
Se gli Usa vogliono negoziare con l'Iran, devono fare una proposta «attraverso canali ufficiali», che Teheran potrebbe prendere in esame «positivamente», ha detto il capo negoziatore sul nucleare, Ali Larijani, citato dall'agenzia ufficiale Irna. «Porre delle condizioni significa indicare il risultato dei colloqui prima ancora di tenerli. Per questo motivo una tale politica non ha ottenuto finora risultati».
L' escalation diplomatica contro il quarto esportatore di petrolio mondiale presenta non pochi problemi per gli Stati Uniti e Israele, che guidano il fronte dei «duri». Cina e Russia (entrambi membri permanenti, con diritto di veto del Consiglio di sicurezza), sono contrarie a ulteriori significative sanzioni contro Tehran, il cui greggio fa gola al Pechino e al suo boom economico e a cui Mosca fornisce armamenti e «assistenza» alle centrali atomiche.
La tensione degli ultimi giorni ha portato il dollaro al ribasso (1.3 biglietti verdi per un euro) e il greggio a 61 dollari al barile. Ma è soprattutto in Iraq che gli ayatollah di Tehran e gli uomini del Pentagono hanno iniziato a fronteggiarsi a viso aperto.
Le forze statunitensi hanno fatto sapere anche ieri di aver scoperto e sequestrato armi e componenti di fabbricazione iraniana, utilizzate dalla guerriglia per la costruzione dei potenti ordigni artigianali pronti ad essere collocati sul ciglio della strada, in un villaggio sciita nei pressi di Bauqba, circa 60 chilometri a nord di Baghdad. Le nuove prove - mostrate dagli statunitensi alle telecamere di mezzo mondo come fossero bombe atomiche - sulla presunta fornitura d'armi agli insorti iracheni da parte di Teheran includono proiettili anticarro, bombe per mortaio e razzi Rpg.

Un breve trafiletto è dedicato a un operazione antiterroristica israeliana Nablus.
Con significative omissioni: non si fa cenno alle tre officine per la fabbricazione di esplosivi scoperte durante l'operazione, nè allo scontro a fuoco tra Tsahal e terroristi durante il quale è stato colpito il palestinese che sembra invece, a giudicare dall'articolo, essere stato ucciso a sangue freddo durante una perquisizione, né alla rivendicazione dell'omicidio del "colono" israeliano da parte della Jihad islamica, a conferma di quanto affermato dalla polizia israeliana.

Ecco il testo: 


Palestina L'esercito israeliano è entrato nella città di Nablus, dove da domenica ha imposto il coprifuoco e sta effettuando arresti e perquisizioni casa per casa (un palestinese è stato ucciso). L'azione può contribuire al sabotaggio del Governo di unità nazionale. Un colono è stato trovato morto a Hebron: secondo la polizia ucciso «da terroristi».

Omesse anche le informazioni sull'antisemitismo del leader della Nation of Islam Louis Farrakhan, che piace al MANIFESTO per le sue campagne anti- Bush.
Di seguito, un articolo di Franco Pantarelli:


New York «Neri, non andate in Iraq. Se non volete processarlo,fate qualsiasi cosa per dire al mondo che qualcosa non ha funzionato nella nostra leadership e che ne siamo pentiti»: l'oggetto è naturalmente George Bush e chi parla è Louis Farrakhan, il leader nero della Nazione dell'Islam che domenica ha pronunciato una sorta di addio alla vita pubblica con un duro attacco all'amministrazione. Lo ha fatto a modo suo, ovviamente, con le sue solite affermazioni apocalittiche («Dio è arrabbiato con il nostro paese»), con conclusioni a dir poco azzardate («in Iraq musulmani, cristiani ed ebrei vivevano fianco a fianco prima che arrivassero gli americani«) e glorificando innanzi tutto se stesso. «Il mio tempo è scaduto e l'ultimo atto non può durare in eterno», ha detto emozionato, sollevando urla e pianti fra le 20mila persone radunate nello stadio di Detroit per tributargli il saluto finale.
Lo ha fatto anche senza dare nessuna indicazione concreta su chi debba dirigere la Nazione dell'Islam dopo di lui, anche se gli osservatori «esterni» prevedono l'ascesa di Ishmael Muhammad, un 42enne che ricopre l'incarico di responsabile dell'organizzazione nazionale e che proprio come tale è visto come l'uomo che più di ogni altro ha cognizione delle divisioni che tormentano il movimento da anni e quindi capace di operare la «svolta» che molti considerano indispensabile: avvicinarsi di più ai musulmani «normali», cioè contrari alla visione «separatista» di Farrakhan e non proprio entusiasti del suo acceso antisemitismo.
Senza quella svolta, è l'opinione corrente, difficilmente il movimento potrà frenare il suo declino, ma che nella sua leadership ci sia davvero la capacità di operarla è tutto un altro discorso. A suo tempo, come si sa, il problema della leadership fu risolto con l'assassinio di Malcom X. I sospetti su Farrakhan come il mandante di quel crimine non sono mai stati dimostrati ma neanche la «riappacificazione» avvenuta anni fa fra lui e la famiglia di Malcom X è mai riuscita a sopirli). Quello però era un tempo in cui l'insegnamento dell'Islam negli Stati uniti era riservato in gran parte a incanalare il senso di ribellione dei neri. Ora, dei sei milioni di musulmani che secondo le stime vivono in questo paese solo il 40 per cento è composto di neri americani mentre il restante, maggioritario 60 per cento è costituito da immigrati da paesi appartenenti all'area musulmana, quindi con tutt'altre tradizioni.
I problemi di salute di Louis Farrakhan sono cominciati dieci anni fa. Per combattere il sorgere di un cancro alla prostata gli furono inoculate sostanze radioattive che ebbero ragione del cancro ma danneggiarono anche altri organi interni. Ora, a 73 anni, lui paga lo scotto di quell'operazione. Quanto la sua situazione sia grave non è chiaro e nessuno di coloro che lo circondano accettano di parlarne. Ma la solennità del discorso da lui pronunciato ieri ha indotto molti a prevedere un'agonia non molto lunga.
L'ultima grande performance di Farrakhan fu la «marcia di un milione di uomini» su Washington del 1995, per la quale lui riuscì ad ottenere l'appoggio, o comunque la non ostilità, di tutti i leader neri. Gli uomini confluiti nella capitale non erano un milione, ma l'evento ebbe comunque un grosso impatto. Poi per lui arrivò il cancro.

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