"Pellegrinaggio" alla barriera difensiva un'iniziativa tutt'altro che imparziale
Testata: Libero Data: 27 febbraio 2007 Pagina: 17 Autore: Andrea Colombo Titolo: «In pellegrinaggio al muro anti-kamikaze»
L'Opera romana pellegrinaggi ha inserito la barriera di separazione tra le tappe proposte ai pellegrini cattolici in Israele. Di per sè, non c'è nulla di male. Ma giustizia vorrebbe che una visita fosse dedicata anche ai feriti e ai famigliari delle vittime degli attentati suicidi. Che la "barriera della vita" serve a fermare. Il giudizio dei pellegrini sulla barriera potrebbe così essere più equo, basarsi sui fatti e non sui pregiudizi dettati dalla propaganda.
Da LIBERO del 27 febbraio 2007:
Il muro della discordia, che a Bètfage divide i Territori palestinesi da Israele per evitare attacchi kamikaze, è diventato un luogo di pellegrinaggio dei cattolici italiani. Ad annunciarlo è padre Cesare Atuire, sacerdote ghanese, ora direttore generale dell'opera romana pellegrinaggi, nel corso della trasmissione di attualità religiosa "A sua immagine" andata in onda domenica su RaiUno. IL "DOCU-REALITY" L'occasione è stata la presentazione della prima puntata del "Docu-reality inter religioso" in cui tre coppie (islamica, ebraica e cattolica), ripercorrono le zone dove visse Gesù, la Terra Santa martoriata dal conflitto israelo-palestinese. Durante l'intermezzo fra prima e seconda parte del "Docu-reality", il conduttore Andrea Sarubbi chiede provocatoriamente a padre Atuire: "Ma allora anche il muro è diventato un luogo di pellegrinaggio?". Sorprendentemente il sacerdote risponde: "Sì. Il muro di separazione è diventato un altro posto da vedere, per riflettere su una pace che fa fatica ad arrivare". Come dire: la struttura costruita dagli israeliani per difendersi dagli attacchi suicidi dei terroristi palestinesi si è trasformata in una tappa fondamentale dei pellegrinaggi organizzati dal Vaticano in Terra Santa, accanto al Monte Carmelo e la Basilica della Natività. Nel sito ufficiale dell'organizzazione che gestisce i pellegrinaggi non si fa cenno alla fermata presso il muro di separazione. Ma chi ha partecipato ultimamente ai viaggi nei luoghi di Gesù assicura che la tappa al muro c'è eccome. D'altronde quella struttura non si può non notare nella strada fra Betlemme e Gerusalemme. CREARE PONTI Padre Cesare, raggiunto telefonicamente, spiega il senso di questa iniziativa: "Il muro di separazione sorge proprio vicino al santuario di Bètfage, dove Gesù iniziò il suo ingresso a Gerusalemme nelle settimana santa. Qui c'è un check point a ridosso del muro, al confine fra il territorio controllato dall'Autorità nazionale palestinese e Israele. I soldati spesso chiedono ai pellegrini di scendere dal pullman per i controlli. Sono sempre molto rispettosi verso di noi, ma le regole di sicurezza valgono per tutti. Qui, davanti a questo muro di separazione, non diamo giudizi, ma invitiamo i pellegrini a riflettere su quello che è il simbolo di un fallimento". Per don Atuire "è vero che grazie a questa barriera gli attentati sono diminuiti. Però ha creato delle condizioni difficili per i palestinesi, con famiglie divise, impedimenti per raggiungere i posti di lavoro. È un filtro, sì, ma non favorisce il processo di pace". Ma come è possibile che una struttura nata per arginare i terroristi diventi una meta per i pellegrini? "Dove la diplomazia fallisce, riescono i pellegrini. Noi cerchiamo di avvicinare i due popoli e il muro rappresenta una sfida. Nemmeno Israele è contento di questa soluzione. Il muro è negativo per tutti. Non basta dire "è una vergogna". Noi vogliamo agire concretamente per creare ponti". Insomma, lo scopo di questa tappa è, in ultima analisi, quella di abbattere il muro. E creare le condizioni affinché i due popoli in lotta, palestinese ed ebraico, s'incontrino. D'altronde, spiega ancora padre Cesare, "lo stesso governo israeliano è molto contento della nostra opera in Terra Santa. I pellegrini portano lavoro in zone depresse, e riducono la disperazione". IL DIBATTITO L'eco di questa insolita sosta di "riflessione" rimbalza anche nel "Docu-reality". L'argomentazione di Margherita, la partecipante di religione ebraica, che "da quando c'è il muro, gli attentati sono notevolmente diminuiti", non viene accolta con entusiasmo né dalla palestinese Khalida ("è un limite... che ne sa un bambino che passa cos'è questo muro?"), né dal cattolico italiano Cristian ("dimostra l'impossibilità di progettare il futuro"). D'altronde le immagini del muro di separazione erano state introdotte da padre Giulio Michelini, francescano in Terra Santa specializzato in Antico testamento, con parole inequivocabili: "Questa strada è probabilmente quella che Gesù faceva per andare a Gerusalemme, ma oggi è interrotta dal muro! È di un'evidenza enorme". Il palestinese Khalid ha gioco facile ad aggiungere: "È un punto di arrivo vergognoso". IL MARTIRE Eppure è lo stesso Khalid a leggere, nella prima parte del "Docu-reality", la scritta apparsa a Gerico in onore di un kamikaze, capo delle brigate dei martiri di Al Aqsa, formazione il cui principale fine è la distruzione dello Stato d'Israele. Altro che "gente molto semplice e tranquilla", come il giovane definisce i suoi concittadini palestinesi. Qui si respira un clima di violenza incredibile. Tanto che lo stesso Sarubbi, il giornalista che ha avuto l'idea del programma, ammette: "Da un punto di vista logistico ci siamo appoggiati all'opera romana pellegrinaggi perché così eravamo sicuri di poter girare con relativa calma nei Territori palestinesi". In questo contesto allora il muro è, come ha detto Tobia, uno dei protagonisti del "Docu-reality", una "dolorosa necessità".
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